Dalla bocciatura del Lodo escono tutti sconfitti: il Cav., il Pd e pure la Corte

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Dalla bocciatura del Lodo escono tutti sconfitti: il Cav., il Pd e pure la Corte

09 Ottobre 2009

Spentosi il clamore, oggi è possibile contare i morti ed i feriti che lascia sul terreno la sentenza della Corte costituzionale sul lodo Alfano. Più che addentrarsi sui dettagli giuridici della (discutibile) sentenza, quel che importa è analizzare le profonde conseguenze che la medesima ha apportato ed apporterà in futuro sul nostro sistema politico e istituzionale.

Il primo ferito grave è sicuramente l’assetto bipolare del sistema. Non c’è dubbio che la sentenza sferra un duro colpo alla leadership del Presidente Berlusconi e, conseguentemente, al tentativo di costruire anche nel nostro Paese un sistema politico moderno basato su due grandi partiti a vocazione maggioritaria che si contendono il primato cercando di attirare il consenso dell’opinione pubblica e di quella moderata collocata al centro dello schieramento politico. Forse per noi italici (abituati ad un quindicennio di bipolarismo urlato) sembrerà strano, ma la politologia insegna che i sistemi politici maggioritari e bipolari sono quelli nei quali è decisiva la cattura degli elettori mediani, quelli in grado di fare la differenza fra i due schieramenti. Tali sistemi sono per tanto quelli più equilibrati (perché riducono il potere condizionante delle estreme) e quelli più efficienti (perché sono aperti e concorrenziali e quindi inducono ciascuno schieramento a migliorare la propria offerta politica).

Ed è chiaro che se la campagna di delegittimazione mediatico – giudiziaria contro Berlusconi dovesse conseguire l’obiettivo (eliminarlo dalla scienza politica) la soluzione più probabile sarebbe il precipitare in qualche pastrocchio all’italiana (governo istituzionale, del presidente, tecnico, di decantazione, di emergenza…) del tipo di quelli che abbiamo già conosciuto negli anni passati e dei quali stiamo ancora pagando il conto.

Ma anche l’opposizione non se la passa granché bene. Con la sentenza di ieri possiamo dare per definitivamente sepolta la prospettiva di avere anche in Italia un partito di sinistra moderato, responsabile, europeo, maggioritario e di governo. Un partito depurato dall’eredità comunista ma lontano dalla demagogia poujadista e massimalista della sinistra radicale. Il vero vincitore della partita è Antonio Di Pietro alle cui sirene sarà sempre più difficile resistere per il PD, chiunque sarà il prossimo segretario. Il sogno veltroniano, pigramente tenuto in vita da Dario Franceschini, ma comunque essenziale per un sinistra di governo, è oggi sempre più un sogno!

Gravi conseguenze vi sono anche per le istituzioni di garanzia del Paese. Istituzioni il cui equilibrato funzionamento è essenziale per il sistema. In primo luogo, il Presidente della Repubblica il quale certo non fa una gran bella figura. Il Presidente Napolitano poco più di un anno fa promulgò il Lodo accompagnandolo con una nota nella quale (implicitamente) rispondeva alle accuse di illegittimità costituzionale, sottolineando come la legge rispondeva a tutte le obiezioni con le quali la Corte aveva nel 2004 bocciato il Lodo Schifani. E’ ovvio che non spetta al Presidente della Repubblica compiere un puntuale scrutinio di costituzionalità di tutte le leggi approvate dal Parlamento. Ma è altrettanto ovvio che se su una legge molto importante, al centro di una dura battaglia politica che denunciava proprio la sua incostituzionalità, il Presidente non si accorge che la legge è illegittima perché invade frontalmente una sfera riservata alla Costituzione, dobbiamo concludere che il Presidente è quantomeno molto distratto. Forse Berlusconi ha sbagliato ad attaccare direttamente Napolitano subito dopo aver appreso della sentenza, ma certo è che l’avallo presidenziale al momento della promulgazione era apparso a tutti come la migliore garanzia della legittimità della legge.

Ma le ricadute più pesanti riguardano proprio la stessa Corte Costituzionale, la quale sino ad oggi era stata capace di mantenere il proprio profilo istituzionale, sottraendosi al tritacarne della polemica politica. La questione è semplice. Nel 2004 (non nel 1964!) la Corte aveva cassato il Lodo Schifani individuando alcuni specifici punti nei quali la legge era in contrasto con la Costituzione. La questione relativa alla necessità o meno di intervenire sulla materia della sospensione dei processi per le alte cariche dello Stato con legge costituzionale, pur presente in motivazione, non era in alcun modo utilizzata nel dispositivo della sentenza. In tal modo la Corte aveva implicitamente ammesso la legittimità di un intervento legislativo ordinario su tale materia, sempre che fossero stati corretti i punti censurati. Né può validamente obiettarsi che nella stessa motivazione la Corte abbia usato la formula secondo cui eventuali altri vizi di legittimità erano da ritenersi assorbiti. Non c’è bisogno di essere Santi Romano per capire che se un giudice verifica che un certo atto è stato adottato da un organo incompetente (e tale può ritenersi il Parlamento quando legifera in materia costituzionale secondo il procedimento legislativo ordinario) il vizio è talmente radicale da non poter essere ritenuto assorbito da vizi di merito. Sarebbe come se un giudice amministrativo di fronte ad un atto adottato da un’autorità incompetente e viziato da eccesso di potere lo annulla per tale ultimo vizio senza affrontare la questione di competenza. E poi di fronte ad un nuovo atto emanato dalla medesima autorità ed emendato dall’eccesso di potere lo annulla una seconda volta per incompetenza. Di fronte ad un simile corto circuito giudiziario, il cittadino interessato all’atto si rivolgerebbe quanto meno alla Corte europea dei diritti dell’uomo!

Delle due l’una: o fu sbagliata la sentenza del 2004 o lo è quella di oggi. Ed anche ammettendo che la Corte si sia resa conto del proprio errore (cosa dubbia visto che, secondo la nostra rudimentale cultura giuridica, la sentenza del 2004 fu ineccepibile in quello che disse come in quello che non disse) rimangono da spiegare i motivi che hanno indotto la stessa ad un radicale revirement, ignorando quelle ragioni di prudenza e di equilibrio che dovrebbero sempre ispirare la condotta di una corte suprema. Il perché abbia adottato un comportamento così disinvolto su una vicenda così delicata e politicamente sensibile, una vicenda che sta infestando la politica italiana da oltre quindici anni. E’ difficile, molto difficile, scacciare il pensiero che la Corte abbia agito sulla base di motivazioni prettamente politiche. Che la Corte abbia voluto assecondare i disegni di quanti all’opposizione (ma anche nella maggioranza?) non vedono l’ora di sbarazzarsi di Berlusconi, l’anomalia della politica italiana, il parvenu, l’usurpatore che partendo in politica da zero è riuscito nel volgere di pochi anni a conquistare non solo le leve del potere ma anche il cuore degli italiani (o quantomeno della maggioranza di essi).

Che la Corte ha forse deciso di scendere in campo?