Dalla Dc al Cav. passando per Craxi. Parabola storica e politica di Baget

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Dalla Dc al Cav. passando per Craxi. Parabola storica e politica di Baget

24 Maggio 2009

Con la morte di don Gianni Baget Bozzo scompare una delle figure più interessanti e multiformi della tradizione politico-religiosa dell’Italia post-bellica. Osservando il suo itinerario di militante politico, ma anche di storico, di politologo e infine di teologo è possibile individuare alcuni passaggi decisivi della storia politica e religiosa del nostro Paese.

La prima e fondamentale matrice costitutiva di Baget è certamente l’antifascismo giovanile, alla strutturazione del quale apporta un contributo determinante il futuro cardinal Siri, professore di liceo del giovane Baget nella Genova degli anni Quaranta. Il forte legame spirituale e di amicizia e una peculiare declinazione tradizionalista del cattolicesimo romano sono i tratti costanti del rapporto tra i due che resterà saldissimo fino al momento lacerante della condanna a divinis subita da Baget nel 1985 a seguito della sua scelta di candidarsi alle elezioni europee nelle file del Psi.
Ma nella fase giovanile di Baget c’è un altro personaggio di decisiva importanza: si tratta di Giuseppe Dossetti. La sua scelta democristiana è tutta da ricomprendere nella breve, ma intensa, stagione del cosiddetto «gruppo dossettiano», all’interno del quale Baget Bozzo svolge un ruolo di primissimo livello. Allievo prediletto di Dossetti, egli è il vero ideologo di «Cronache Sociali». Più che una certa visione progressista del cattolicesimo politico, Baget mutua da Dossetti la capacità di coniugare discorso politico e discorso religioso, una sorta di approccio mistico e divino che riesce a fornire alla militanza politica un intenso significato spirituale.

La nota decisione dossettiana di sciogliere la corrente ad inizio anni Cinquanta per proseguire in quell’opera di approfondimento religioso che il futuro parroco reggiano aveva individuato come decisiva per sostanziare l’operato dei cattolici nello spazio pubblico, priva Baget di un punto di riferimento, in questa fase, imprescindibile. Per due anni Baget riesce a colmare questo vuoto accanto a De Gasperi. Da qui nasce la collaborazione alla rivista «Terza Generazione», interamente finanziata da De Gasperi il quale negli ultimi anni della sua vita sembra aver fatto proprio l’insegnamento di Dossetti relativo alla centralità del percorso formativo e di crescita cultural-politica della componente giovanile del partito. Il passaggio del testimone tra De Gasperi e Fanfani è profondamente avversato da Baget, che nel politico aretino vede l’avvio della deriva democristiana verso la partitocrazia e la perdita dell’ancoraggio alle radici religiose. Così si spiega il progressivo avvicinamento a Gedda, al «Quotidiano», la successiva fondazione de «L’ordine civile» e la lotta accanto ai Comitati Civici dello stesso Gedda contro l’apertura a sinistra e in nome di un netto anticomunismo. L’apertura ai socialisti viene a simboleggiare nell’ottica di Baget una «doppia eresia»: al contempo politica e religiosa. La «grande crisi» che attraversa complessivamente il cattolicesimo trova la sua declinazione politica in quella che Baget definisce, a partire dal 1962, la «fine della democrazia cristiana» (che in realtà aveva già dimostrato tutta la sua gravità con la fine del degasperismo), e la sua declinazione religiosa nell’esperienza del Concilio Vaticano II.

Per Baget il Concilio segna il vero e proprio «dramma» religioso del cattolicesimo e una parte consistente della responsabilità è individuata nel ruolo sempre più invadente svolto dai media. Sono infatti i grandi mezzi di comunicazione di massa a costruire l’dea di una Chiesa cattolica che deve necessariamente cambiare per tornare a rendersi credibile di fronte al mondo. La nascita della rivista Renovatio ecclesiae è la risposta tradizionalista alla crisi della religione cattolica post-conciliare e il tentativo di condannare il diffondersi di una teologia che ha oramai deciso di abbandonare la ricerca sulle verità fondamentali e si accontenta della divulgazione moralistica.

Per certi aspetti in maniera speculare al suo maestro Dossetti Baget, a partire dai primi anni Sessanta, sembra aver definitivamente abbracciato la via dell’approfondimento religioso, che egli persegue anche da un punto di vista personale con la scelta sacerdotale del 1967. La sua profonda passione politica però non tarda a manifestarsi nuovamente e lo fa, come spesso accaduto per l’esperienza di Baget, non secondo i canali più tradizionali. Baget decide, sul finire degli anni Settanta, di scrivere due testi che diventeranno ben presto imprescindibili per comprendere la storia politica dell’Italia post 1945 e in particolare della sua componente cattolica. Con Il partito cristiano al potere. La Dc di De Gasperi e Dossetti e Il Partito cristiano e l’apertura a sinistra (entrambi pubblicati dalla casa editrice fiorentina Vallecchi tra il 1974 e il 1977) Baget non solo offre una sua personale (e acutissima) lettura degli eventi. In realtà riporta sulla scena pubblica la ricostruzione di una stagione politica che, anche se abbastanza recente, aveva finito per essere travolta dall’oblio. Quindi non tanto Baget «riscopre» la politica, ma la politica «riscopre» Baget. E questa riscoperta avviene all’interno dello spazio politico culturale più fecondo degli anni a cavallo tra il Settanta e l’Ottanta e cioè il socialismo craxiano. Baget comincia a collaborare con «Repubblica» di Scalfari e pur lontano anni luce per formazione e sensibilità condivide con il fondatore del quotidiano romano l’avversità nei confronti della DC, dell’idea morotea poi andreottiana dell’unità nazionale e ancor più radicalmente di quella, secondo Baget superata dopo il 1962, dell’unità dei cattolici in politica.

L’avvicinamento a Craxi trova ragioni politiche concrete nel traumatico passaggio del rapimento di Aldo Moro, nel corso del quale Baget sostiene come Craxi fin dal primo momento la logica del negoziato con le Brigate rosse e dello scambio di prigionieri, e vede nell’ostinata reazione democristiana tutta l’ansia di un partito oramai solo dedito alla gestione del potere e privo di qualsiasi traccia di cultura oltre che di progettualità politica. Baget condanna l’immobilismo della Dc ridotta a partito dei vescovi, che ha da tempo smesso di curarsi del suo elettorato, vivendo della rendita garantita dalla copertura ecclesiastica.

Ma Baget nel socialismo italiano di fine anni Settanta trova anche un’elaborazione culturale nuova (come peraltro una parte non trascurabile di cattolici provenienti dal collateralismo democristiano come Gennaro Acquaviva e Luigi Covatta) ben simboleggiata dalle riflessioni social-liberali di «Mondoperaio» e dal famoso discorso di Martelli sui meriti e i bisogni al Congresso di Rimini del 1982.
Il coinvolgimento politico di Baget nelle file del Psi è oramai totale e giunge sino alla candidatura alle elezioni europee del 1985, candidatura pagata a caro prezzo sia per la condanna ecclesiastica (e l’obbligo di non poter celebrare la Messa sino al 1994) che per l’insulto politico, di chi lo accusa di essersi venduto al partito dell’aborto e del divorzio. In realtà, almeno da un punto di vista politico, l’obiettivo di Baget è chiarissimo: scalzare l’egemonia democristiana sul voto cattolico (peraltro in una fase, quella degli anni Ottanta, in cui anche con il contributo dei cosiddetti «esterni», la Dc torna a sostenere con forza le ragioni dell’unità dei cattolici in politica).

A partire dalla metà degli anni Novanta la storia si fa cronaca. Il saldo anticomunismo e la dissoluzione del sistema politico della cosiddetta Prima Repubblica sull’onda della bufera giudiziaria portano Baget quasi inevitabilmente verso Silvio Berlusconi. Più che la matrice socialista craxiana probabilmente qui è decisiva la concezione religiosa della storia alla base dell’operato politico di Baget Bozzo. Per lui infatti la storia è sempre storia della salvezza. Non vi è distinzione nel suo pensiero tra storia della Chiesa e storia dell’umanità. Da questo punto di vista dunque Silvio Berlusconi si presenta come una sorta di elemento «salvifico» di fronte all’ipotesi che il potere possa essere monopolizzato dagli eredi della tradizione comunista. Manca naturalmente la profondità storica per emettere giudizi, o comunque riflessioni un minimo fondate, sull’ultima parabola politica di Baget Bozzo. La speranza è che, nel prossimo futuro, la sua figura diventi oggetto di una ricerca storica seria, non ideologica e soprattutto finalizzata a riscoprire in questa figura così ricca di sfumature, una serie di linee di fondo dell’evoluzione delle due tradizioni cardine della nostra cultura politica nazionale: quella cattolica e quella socialista.