Dalla dittatura di Castro e Che Guevara solo morte e povertà

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Dalla dittatura di Castro e Che Guevara solo morte e povertà

20 Febbraio 2008

Cosa accadrà dopo le dimissioni di Fidel Castro? La
transizione alla democrazia, probabilmente, è “inevitabile”, come sostiene il
candidato repubblicano statunitense John McCain. Ipotesi plausibile, visto che
Raul Castro, il fratello di Fidel, è molto anziano e nel partito al potere non
è emersa alcuna personalità in grado di reggere una successione. Castro aveva
concentrato tutta la legittimità del suo regime sulla sua figura, è difficile
pensare a un partito al potere senza il “Lider Maximo”.

Chi non crede nel ritorno alla democrazia a Cuba può
benissimo indicare alcuni fattori negativi: non c’è alcun movimento di
resistenza e dissidenza compatto e organizzato che possa prendere il potere.
Gli esuli stessi sono politicamente divisi. La frustrazione della popolazione è
crescente, ma tutte le forze armate e di sicurezza sono saldamente nelle mani
del regime. Insomma, non si possono fare previsioni sul futuro di Cuba
post-castrista. In compenso si può fare benissimo un bilancio di 49 anni di
potere assoluto di Fidel Castro.

Il “Lider Maximo”, prima di tutto è responsabile
dell’instaurazione della dittatura comunista. Emerse come il leader della
rivoluzione democratica contro il dittatore populista (di sinistra) Fulgencio
Batista. La rivoluzione del 1959 venne vissuta dalla maggioranza dei suoi
promotori come una lotta per il ritorno alla democrazia. “Quando ero studente di legge all’Università
dell’Avana iniziai da subito a manifestare il mio dissenso contro la dittatura
di Batista. Noi tutti eravamo contro la dittatura, non avremmo mai pensato di
aiutare l’instaurazione di un nuovo regime dittatoriale” – ci spiega Angel
Cuadra, poeta della rivoluzione e poi dissidente anti-castrista, internato per
quindici anni nel gulag cubano – “Volevamo ripristinare la Costituzione del
1940 che era stata sospesa da Batista e ritornare a votare. Quando Castro prese
il potere, instaurò da subito un nuovo assolutismo. Noi dissidenti, che lo
avevamo sostenuto, iniziammo a considerarlo come un traditore”. Castro
non fu affatto costretto dalle circostanze (e dagli Americani) a sopprimere la
democrazia e ad erigere uno Stato totalitario.

A dire il vero, Castro non era, tra i membri della nuova
classe dirigente, il più totalitario. Il più ortodosso filo-sovietico era
proprio il mitizzato Che Guevara. Anche prima della vittoria, Guevara scriveva
“Appartengo a coloro che credono che la soluzione dei problemi di questo mondo
si trovi dietro la cortina di ferro”: idee chiare su come seguire il modello
totalitario di Stalin. Nei mesi successivi alla vittoria del gennaio 1959,
contribuì attivamente alla fucilazione di 600 persone tra i membri dell’opposizione.
Nominato ministro dell’industria (seppur privo delle basilari nozioni di
economia) ricalcò per Cuba il modello sovietico, con la centralizzazione nelle
mani dello Stato di tutti i mezzi di produzione, iniziò una vasta opera di
irreggimentazione della gioventù e creò a Guanaha il primo campo di
concentramento per prigionieri politici. 
Nel frattempo si costituivano da subito dei tribunali speciali in cui
non esisteva diritto alla difesa. In giugno Castro sospese le elezioni e alle
opposizioni, arrogantemente, rispose: “Elezioni? A che servono?”. Subito dopo
sospese la costituzione del 1940 (che garantiva i diritti fondamentali) e
governò in modo assolutistico.

I comunisti non erano affatto egemonici nel fronte
rivoluzionario. Contro Batista era attivissima la Chiesa locale guidata
dall’arcivescovo Serantes. Questi aveva condannato la non democraticità di
Batista, gli atti di violenza delle milizie di destra “Tigri” e aveva perfino
permesso la partenza di molti sacerdoti per la Sierra, dove si organizzava la
guerriglia anti-batistiana. Dopo la vittoria di Castro la Chiesa si è opposta
alla dura repressione delle formazioni non comuniste e il dittatore ha invitato
tutti i sacerdoti ad andarsene.

Il capo dei sindacati dello zucchero, David Salvador,
aveva guidato i maggiori scioperi contro Batista, ma, democratico convinto, non
aveva accettato che nel ‘59 i vertici del sindacato venissero nominati dal
regime saltando le elezioni: è stato arrestato e subito dopo il suo sindacato,
fuso per ordine di Castro con tutti gli altri, si troverà costretto a
sopprimere il diritto di sciopero. “Il sindacato non è un organo rivendicativo”
(Castro).

Uno dei leader dell’opposizione, Humberto Sorì Marin, era
un liberale radicale e, nominato ministro dell’agricoltura, progettò la
redistribuzione dei latifondi ai piccoli proprietari: Castro non approvò il suo
piano e fece occupare le terre dall’esercito, sopprimendo con la forza ogni
tentativo di resistenza contadina alla nazionalizzazione totale delle campagne.
Matos, conquistatore di Santiago ed eroe della guerriglia sulla Sierra, si
oppose alla nazionalizzazione forzata delle campagne: fu arrestato e giudicato
con un processo senza difesa in cui il verdetto finale fu condizionato
personalmente da Castro.

Dopo la nazionalizzazione delle campagne, gran parte dei
gruppi di guerriglia urbana anti-batistiani si rifugiarono nuovamente sulla
Sierra per combattere il nuovo dittatore. Il mitologico Che e Raul Castro
scatenarono contro di loro una repressione così feroce da battere, in numero di
vittime e di atrocità, decenni di regime di Batista: le famiglie dei contadini
ribelli furono deportate in massa dall’altra parte dell’isola (lo stesso
Guevara organizzerà a Guanaha i primi campi di “rieducazione” organizzati sul
modello dei gulag sovietici). Uno dei leader della rivolta anti-castrista,
Carrera, che era anche uno dei protagonisti della rivoluzione del ’59, fu
ucciso personalmente da Guevara, suo rivale personale. A Santa Clara furono
fucilati senza processo 381 “banditi” in un solo giorno. Nella prigione di
Lloma de Coches le vittime furono più di 1000 in pochi giorni. Il capo
dell’opposizione studentesca a Batista, Luis Boitel, poi unitosi alla rivolta
anti-castrista, fu rinchiuso nel carcere duro a Boniato: morì in seguito a 53
giorni di sciopero della fame dichiarando “faccio lo sciopero per ottenere i
diritti riservati ai prigionieri politici; quegli stessi diritti che voi
chiedete per gli altri Paesi dell’America Latina e negate al vostro”.

Nella metà degli anni ‘60 i comunisti egemonizzavano in
modo assoluto il fronte rivoluzionario: gli altri partiti erano stati
smantellati. Già dal primo anno era stata costituita un’efficiente polizia
segreta, la DSE, guidata da Ramiro Valdes. Era (anzi è, perché esiste tuttora)
divisa in tante sezioni quante sono quelle della società cubana: le prime due
controllano personalmente ogni membro dell’amministrazione pubblica, la III controlla
il mondo dell’arte e dello sport (gli scrittori rivoluzionari Padilla e Arenas
sono le vittime più illustri), la IV controlla tutti i settori dell’economia,
la V i trasporti e le comunicazioni non telefoniche (ogni lettera spedita è
passibile di controllo), la VI (la più numerosa, con più di 1000 agenti) si
occupa delle intercettazioni delle telefonate di ogni cittadino cubano, la VII 
controlla ogni membro del corpo diplomatico e l’VIII assicura di guidare
bene i turisti: i nostri intellettuali di
sinistra che vanno in vacanza a Cuba devono veramente vedere che questa sia un
paradiso
.

Non basta: un altro organismo, il DEM, organizza migliaia
di informatori e delatori sparsi segretamente tra la popolazione civile,
l’esercito e la stessa polizia segreta. La Dirrecion 5 del DEM, è specializzata
nell’eliminazione fisica degli avversari politici indicati da Castro in
persona. Nei campi di “rieducazione” (il primo dei quali, lo voglio ricordare,
è stato organizzato personalmente da Che Guevara) gli UMAP, sono stati
sistematicamente rinchiusi cattolici, protestanti, testimoni di Geova,
omosessuali e tutti i “potenzialmente pericolosi per la società”. Questo
sorvolando sul trattamento carcerario: celle di 30 metri quadrati per 42
prigionieri, sfruttamento delle fobie dei detenuti, scarpe zavorrate col
piombo, uso del pentothal e altre droghe per tenere svegli i prigionieri, uso
dell’elettroshock, finte esecuzioni, ecc…

Tutti questi sacrifici, almeno, sono serviti a fare di
Cuba (che sotto la dittatura di Batista era uno dei paesi più benestanti
dell’America Latina) un paese in cui la popolazione vive meglio? Evidentemente
no, perché i risultati economici sono miseri. Il benessere, obiettivo principale del regime socialista di Castro, non
è garantito: il Pil pro-capite è di 4500 dollari. Un’inezia rispetto ai 31.000
dollari dell’Italia. Meno dell’Albania (5500 dollari), giusto per fare un
esempio di confronto con un paese povero europeo. E meno di un terzo rispetto
al Pil pro-capite dei democratici Cile e Argentina (rispettivamente 14.500 e
13.000 dollari) e poco più della metà della Colombia, pur flagellata dal
terrorismo (7500 dollari).

I difensori ad
oltranza del sistema cubano salvano almeno la sanità. Ma un’inchiesta
indipendente condotta dal professor Julian Antonio Mone Borrego nel marzo
scorso, svela una realtà ben diversa da quella spacciata dalla propaganda:
nell’ospedale di Santa Clara, un’invasione di scarafaggi, ha contaminato tutto,
dal cibo al materiale medico; a Ciego de Havila, la mancanza di equipaggiamento
e medicinali di prima necessità ha costretto l’ospedale locale “Antonio Luaces
Iraola” e “Roberto Rodriguez” alla sospensione di tutte le operazioni
chirurgiche. A Camaguey, tutti gli ospedali locali registrano carenze di
materiale di base per i test di laboratorio. A Holguin, continui blackout hanno
costretto il personale medico a ricorrere alle lampade a petrolio per
illuminare i locali. Persino nella capitale, nel gennaio scorso, un paziente
malato di Aids, e ricoverato in un sanatorio specializzato, lamentava
condizioni igieniche impossibili: acqua contaminata ed escrementi animali in
tutti i locali. A Cienfuegos, nelle farmacie, è mancata l’aspirina per mesi. A
questi episodi va aggiunta una carenza cronica di autoambulanze, tempi di attesa
lunghissimi per i pazienti e una crescente frustrazione del personale medico e
paramedico, che si vede molto spesso negare ogni richiesta da una burocrazia
lenta e corrotta.

Sarebbe sbagliato
anche dare la colpa all’embargo statunitense (iniziato 46 anni fa), come ripete
sempre la propaganda cubana e filo-cubana in tutto il mondo. Perché fino al
1991, Cuba è stata sostenuta economicamente dall’Unione Sovietica. E dopo la
dissoluzione dell’Urss, il regime di Castro ha stabilito nuovi contatti
commerciali con l’Europa, con i paesi ex sovietici e, dal 1998, mantiene
rapporti commerciali privilegiati con il Venezuela di Hugo Chavez, il maggior
produttore di petrolio di tutta l’America Latina. Tuttora il Venezuela vende il
petrolio a Cuba a prezzi politici, fuori mercato.

In compenso il regime di
Castro ha primeggiato nell’esportazione di un prodotto speciale: la violenza
politica. Decine di migliaia di consiglieri militari e soldati (più o meno)
volontari sono andati a combattere in Angola, Mozambico, Etiopia e Nicaragua,
per “esportare la rivoluzione”. Il regime castrista è sospettato di avere anche
sostenuto segretamente la guerriglia comunista nel Salvador, la guerriglia
delle Farc in Colombia, indirettamente anche il terrorismo dell’Eta in Spagna.

E’ ancora difficile calcolare
i danni, la sofferenza, la miseria e i lutti provocati, a Cuba e nel resto del
mondo, da questi 49 anni di potere assoluto di Fidel Castro. Tutta la verità
potrà emergere solo quando cadrà del tutto il regime rivoluzionario instaurato nel
1959. Per ora limitiamoci a sperare che i suoi successori non siano
“all’altezza” del padre della rivoluzione cubana.