Dalle banche è dipesa la crisi e dalle banche dipenderà la ripresa

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Dalle banche è dipesa la crisi e dalle banche dipenderà la ripresa

03 Aprile 2009

 

I fatti dell’economia sono argomento che suscita oggi un’attenzione del grande pubblico assai maggiore rispetto all’ordinario, attesa la, a dir poco, difficile congiuntura internazionale. Avuto riguardo a quest’ultima,  non vi è dubbio che un  dato ad essa centrale  è lo stato del sistema creditizio, le cui gravi carenze sono state uno dei detonatori della crisi che dagli Stati Uniti si è propalata nel mondo “globalizzato”. Considerato questo aspetto è comprensibile “l’odio sociale”, che monta verso le banche, entrate “nel mirino” non solo delle solite frange di estremisti anti capitalismo e anti globalizzazione, ma anche di ampi strati di popolazione, tutt’altro che di indole antagonistica ma solamente preoccupata (giustamente)  del vivere quotidiano.

Venendo al nostro Paese, si può agevolmente rilevare che le banche – per cause diverse, che per brevità omettiamo di elencare – hanno retto meglio all’impatto della crisi rispetto alle “consorelle” degli altri paesi, anche dell’Unione Europea. Siffatta circostanza ha consentito al Ministro Tremonti di impostare degli interventi di sostegno al settore creditizio non soverchiamente invasivi e, sostanzialmente, “di mercato”. Ciò non di meno, quasi giornalmente si ripropone la discussione circa l’utilità dell’attrazione verso la sfera pubblicistica degli istituti di credito, sia per meglio controllare l’utilizzo del denaro pubblico destinatovi (ma tale questione ha senso soprattutto negli Stati Uniti e in alcuni paesi dell’unione), sia per meglio indirizzare il sostegno che essi debbono offrire alla ripresa economica (e su questo punto, specificazione del precedente, da noi, il tema è effettivamente appropriato).

Francamente la discussione pubblico/privato in senso stretto è priva di senso, almeno in Italia. Per le banche il problema non è la natura giuridica pubblicistica o privatistica, bensì i profili della reputazione e della liquidità. La “reputation”, la percezione di credibilità, affidabilità e massima serietà da parte degli utenti – imprese e famiglie – è la base della fiducia che essi ripongono nei riguardi degli istituti di credito. Principalmente per le imprese (e, quindi, per l’economia nazionale), però, la fiducia ha valenza biunivoca e deve anche estrinsecarsi nell’attribuzione, da parte delle banche, di linee di credito, in presenza, “ovviamente”, dei necessari presupposti tecnici.

Per deliberare linee di credito occorre, in primo luogo, la “materia prima” e sotto questo profilo i “Tremonti bond” superano brillantemente ogni astratto dualismo tra Stato e privato, mettendo a disposizione delle banche una provvista di denaro fresco (se si vuole, a un prezzo non basso). In parallelo, lo Stato chiede, tuttavia, di effettuare dei controlli di carattere straordinario, rispetto all’ordinaria vigilanza esercitata funzionalmente dalla Banca d’Italia, circa le modalità di utilizzo dei mezzi patrimoniali da esso forniti. Da ciò, la chiamata in campo delle Prefetture, operativamente in corso di realizzazione. La questione diviene a questo punto delicatissima, giacchè non è certo in via burocratica che le banche possono essere costrette a prescindere dal merito di credito nell’attribuire finanziamenti, ma sono questi ultimi il propellente che condurrà le aziende verso la ripresa. Si tratterà, veramente, di saper operare in punta di spillo.

Nei prossimi mesi ineluttabilmente si appesantirà la qualità del credito erogato, attesa la situazione delle imprese già destinatarie di finanziamenti. Le banche, quindi, saranno gravate di fardelli crescenti. Dobbiamo solo augurarci che il mondo del credito sappia ritrovare in se stesso ed esprimere appieno le capacità tecniche più tradizionali, le sole suscettibili di consentire di selezionare nuovi affidamenti in ragione della ponderata valutazione delle potenzialità dei progetti di sviluppo sottoposti. La sfida per il Paese non è, quindi, di pubblicizzare o di burocratizzare il credito, ma di ritrovare appieno “l’arte” del fare banca, negli ultimi anni troppo spesso accantonata, a causa dei seducenti richiami della finanza funambolica.