Dalle sanzioni contro la Corea del Nord si salva solo Kim Jong-il
14 Dicembre 2010
Il lusso non è reato. Ma lo diventa quando si tratta di un dittatore comunista che si procaccia qualunque bene di lusso violando embarghi e sanzioni, mentre il suo popolo muore di fame. Succede in Corea del Nord, dove i vizi del tiranno sono soddisfatti con fondi neri e traffici internazionali. Ma in ballo c’è la geopolitica mondiale.
La passione per il lusso è comune ad ogni tiranno. Intere collezioni di fuoriserie, flotte di yacht da favola, tesori di ogni genere, dagli arredi di sontuosi palazzi fino a sterminati guardaroba dei più grandi stilisti. Il tiranno è chic. Quando poi, come nel caso di Kim Jong-il, la tirannide si sposa con la megalomania, allora la lista della spesa comprende anche le delizie della cucina austriaca, lunghissimi pianoforti a coda realizzati da artigiani, cantine con i grandi vini europei. Kim infatti adora le prelibatezze austriache e in generale l’alta qualità dell’Europa occidentale. Ma la vera sorpresa è che Kim non si muove mai dal suo paese per fare shopping. Lui ha una rete di “compratori” clandestini sparsi per il mondo, incaricati di fare acquisti che poi finiscono in Corea del Nord – e questo sistema funziona perfettamente da decine d’anni.
E’ quanto emerso dalla confessione di un uomo d’affari austriaco arrestato a Vienna all’inizio di Dicembre per violazione dell’embargo internazionale imposto dalle Nazioni Unite contro la Corea del Nord per i suoi test nucleari. Il businessman stava cercando di comprare ben otto Mercedes limousine e due yacht prodotti dai famosissimi cantieri Azimut-Benetti, per un controvalore di quasi quindici milioni di euro. Forse era un regalo di compleanno per Kim. Il sistema si basava su società fittizie, false fatture di consegna e valigie strapiene di banconote. Questi complessi traffici riuscivano a violare, sistematicamente, sia l’embargo totale imposto dagli Usa, sia le sanzioni commerciali dell’Onu, il cui ultimo inasprimento, datato giugno 2009, proibisce ogni importazione ed esportazione di armi nucleari – ma non riesce a bloccare lo smercio di Mercedes a benzina.
Secondo fonti americane, a Pyongyang ci sarebbe addirittura un apposito ufficio per organizzare l’acquisto in tutto il mondo di beni di lusso per Kim – l’ “Ufficio 39”. Pyongyang è molto attiva anche sui mercati della contraffazione valutaria, del traffico di droga, specialmente anfetamine per i mercati del sudest asiatico, e del contrabbando di sigarette – tutti canali per incassare i soldi con cui Kim può fare il suo shopping all’estero.
E’ qui, fra i traffici clandestini e i flussi di denaro, che si spostano gli equilibri geopolitici. Più che le sanzioni e gli embarghi facilmente aggirabili, contano i trasferimenti di capitali, specialmente quelli che non ci sono più. Ad esempio la presidenza Obama, dal 2009, non ha più versato un centesimo nelle casse della Corea del Nord. Anche Seoul ha seguito a stessa politica di “astinenza” economica da quando si è insediato il presidente conservatore Lee Myung Bak.
Alla luce della strategia erratica di Pyongyang che alterna minacce di guerra ad offerte di pace, il recente bombardamento dell’isolotto sudcoreano di Yeonpyeong può essere interpretato come una richiesta di fondi. Viceversa, la cosiddetta “sunshine politics”, seguita dall’ex presidente sudcoreano di centrosinistra Roh Moo-hyun, era incentrata su generosi aiuti economici ai fratelli del nord in cambio di una convivenza più mite.
Nei dieci anni in cui la Corea del Sud fu governata da due presidenti liberali, Seoul inviò a Pyongyang l’astronomica cifra di tre miliardi di dollari. Con un po’ di cinismo, quei fondi erano come un “pizzo” estorto dal Nord al Sud in cambio della sua “protezione”. Con la svolta conservatrice, Seoul ha praticamente chiuso il portafoglio. Infatti, dietro alla facciata del pacifismo e della cooperazione tra le due Coree, la realtà è che con quei fondi la Corea del Nord sta realizzando il suo programma nucleare.
A parte l’opacità del sistema finanziario internazionale, che guarda solo al denaro e non alle tasche da cui proviene, il vero perno è la Cina, dove sono i conti correnti e dove arrivano le merci per Kim. In particolare, è nell’ex colonia portoghese di Macao, ora territorio della Repubblica Popolare, che si concentrano i traffici diretti da e per la Corea del Nord. Da Macao entrano poi in Cina dove i nord-coreani acquistano valuta estera pregiata, come dollari, euro e yen.
Finché la piccola Corea del Nord resterà protetta dalla grande muraglia cinese, anche se in posizione sempre più subordinata, le sanzioni colpiranno la popolazione mentre Kim, con la sua corte, continuerà a vivere nel lusso sfrenato.