Davanti alla manovra l’opposizione ritrova unità ma non responsabilità

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Davanti alla manovra l’opposizione ritrova unità ma non responsabilità

Davanti alla manovra l’opposizione ritrova unità ma non responsabilità

25 Maggio 2010

La manovra di finanza pubblica per mettere in sicurezza il nostro debito pubblico di fronte agli attacchi della speculazione internazionale, che fa il suo mestiere, non è stata accolta dall’opposizione con quel senso di responsabilità che ci si sarebbe potuti  aspettare da chi desidera presentarsi come alternativa di governo. Quando dico opposizione intendo riferirmi non solo a quella palese, ma anche a quella strisciante, che alberga in quegli ambienti che continuano a sperare in un governo dei tecnici, o in un governo di unità nazionale, o in  un governo di emergenza, e che hanno cercato, in tutti i modi, di fare emergere dissensi, nella maggioranza, allo scopo di preparare il terreno a tale evenienza.

Si tratta della terza ondata. La prima si è verificata lo scorso anno ed è stata innescata dagli “scandaletti  rosa” delle escort et similia . Ma dopo che questa ondata si è dissolta in una schiuma inconsistente, ecco la seconda, quella basata sullo scandalone della protezione civile e dei grandi eventi, con il costruttore Anemone, come capofila. Ma l’anemone è un fiore effimero e lo scandalone si sta frantumando in una serie di episodi di incerta natura penale, in cui la magistratura fa fatica a districarsi, e da cui emergono leggerezze e compiacenze soprattutto da parte della tecnocrazia, quella che, secondo il disegno di cui sopra, dovrebbe esercitare il ruolo di supplenza rispetto alla classe politica della maggioranza.

Dato che  ora anche questa vicenda non serve più a realizzare la agognata  mutazione politica, è emersa una nuova speranza, quella che siano le difficoltà riguardanti la  crisi finanziaria il mezzo per realizzare l’obbiettivo, da lungo tempo desiderato, di “mandare a casa” Silvio Berlusconi e di liquidare il PDL. Ecco così che quando Giulio  Tremonti ha cominciato a mettere insieme i pezzi della sua manovra, lavorando per conto proprio, si è ventilata l’ipotesi che essa potesse trovare l’opposizione di Berlusconi e del Pdl e potesse così generare una crisi politica che, unendosi a una crisi finanziaria comportasse, per questo settembre o per ottobre, un governo di tecnici, di unità nazionale guidato dallo stesso Tremonti  magari con l’appoggio della lega Nord che frattanto aveva aperto un dialogo che l’Italia dei valori.

Ma le cose stanno andando diversamente. Il premier ha preso in mano la situazione, ha mantenuto fermo l’obbiettivo quantitativo della manovra e ha cercato di smussarne non tanto i contenuti, che per la verità erano ancora molto vaghi, quanto il messaggio, che poteva risultare quello della “macelleria sociale”. E le ha tolto l’aspetto verticista, stabilendo un nuovo percorso, per cui  le misure vengono sottoposte alle parti sociali e agli organi del PDL e successivamente vengono fatte oggetto di delibera collegiale del consiglio dei Ministri. Inoltre le riduzioni di spesa  di competenza dei vari Ministeri  non vengono calate dall’alto su di essi, con un diktat del Ministro dell’economia, ma vengono decise, su proposta dei Ministri competenti, fermo restando l’obbiettivo quantitativo complessivo.

Poiché la manovra è di 24 miliardi e quindi dovrà toccare, inevitabilmente, molti interessi, ora l’opposizione ufficiale e quella strisciante chiedono a gran voce che Silvio Berlusconi “ci metta la faccia” . Ciò con la sottintesa speranza che, ciò facendo, perda finalmente quella popolarità, che non si è riusciti a togliergli con guerre giudiziarie e con le due ondate scandalistiche menzionate. Sino a pochi giorni fa, la speranza era del tutto diversa, ossia che la manovra fosse intestata al Ministro dell’economia e che a causa di ciò questi acquisisse il titolo per sostituire il governo Berlusconi con un governo tecnico capace di attuare  quel programma di rigore che il parlamento e il governo, con la guida di Berlusconi non  sarebbero apparsi  in grado di attuare.

La tesi del governo tecnico e la tesi per cui la manovra di messa in sicurezza dei conti pubblici deve essere di Berlusconi, che ci deve mettere la sua faccia, sono entrambi espressione di una nozione tecnocratica ed elitaria del potere, che priva la politica economica della sua natura politica. Una manovra di ampia portata, come quella  che si rende necessaria in Italia e che comporta , come suo primo episodio, il varo di una serie di norme, che consentono di ridurre le spese e di accrescere le entrate, mediante il recupero di imponibili nascosti, per lo 1,8 % del Pil , in un biennio, non si può fare in modo efficace con una mera operazione di vertice, sia essa del Ministro dell’economia o del presidente del consiglio. Deve essere deliberata  dal governo, deve essere  assunta dai partiti di governo come proprio compito, deve essere  condivisa nella impostazione dai loro gruppi parlamentari, deve essere discussa con le parti sociali. Ciò non per realizzare soluzioni “concertate”,  ma per consentire al governo, di deliberare, dopo avere ascoltato i portatori dei vari interessi. Il presidente del consiglio ha il compito di dirigere questo processo, non quello di sostituirvisi.

Comunque  va ricordato che quando è stata considerata incostituzionale la norma che lo proteggeva da processi in corso, si è affermato, da parte della Corte costituzionale che il presidente del consiglio è solo un primus inter pares, non può pertanto avere un trattamento particolare, che violerebbe il principio di eguaglianza. E questa opinione allora venne accolta con grande favore, proprio da coloro che ora invece dicono che il presidente del consiglio in questa manovra deve metterci la faccia, perché essa è tutta compito suo. Entrambi queste  posizioni sono sbagliate. Il premier ha un compito di guida, ma la manovra è collegiale. 

Sino ad ora essa non è ancora delineata nelle sue singole strutture, non si può fare su di essa una analisi di dettaglio. E avendo io già espresso in varie sedi le mie opinioni su aspetti singoli , non voglio ripetermi qui. Farò dunque  alcune considerazioni generali. La prima riguarda la sua urgenza. La manovra  non è urgente nella attuazione, ma nella approvazione. Infatti la situazione attuale dei nostri conti pubblici è sotto controllo e ciò è oggetto di unanime riconoscimento. Il governo italiano, nei quasi tre anni da quando a fine state 2007 è scoppiata la crisi internazionale, ha agito con prudenza. Ed era prevista una manovra correttiva di 1,6 punti di Pil, in due tranches di 0,8 punti nel 2011 e nel 2012 , da varare questa estate , con la preparazione della legge di finanza pubblica per il 2011.

Ma i fatti che sono accaduti da quando si è verificata la crisi greca hanno imposto di anticipare la approvazione di tale manovra per due ragioni, fra di loro connesse. La prima è che l’eurozona è ora sottoposta a pressioni sul debito pubblico degli stati membri, che sono state innescate da quella crisi. La seconda è che per difendere i debiti pubblici dell’eurozona è stato creato un armamentario di interventi finanziari da parte degli stati membri  dell’eurozona e della Bce, la banca centrale europea, che come contropartita comportano un impegno chiaro di tali stati a migliorare i loro conti pubblici. 

La nostra manovra per il 2011 e il 2012 risulta facilitata dal fatto che l’economia italiana, quest’anno, appare in grado di crescere di più del previsto. La stima ufficiale era di un +0,8 del PIL in termini reali. Ma ora si può stimare una crescita fra 1% e 1,2% , dovuta al deprezzamento dell’euro che sospinge il commercio estero più del previsto. Ma tale deprezzamento che è di 22 punti , su 146 cioè del 15% genera un maggior tasso di inflazione dello 0,5 % nel 2010 e di altrettanto nel 2011 e ancora di almeno lo 0,3 nel 2013. Dunque un 1,3% di Pil più del previsto che si somma con lo 0.2-0,4% di crescita reale del Pil nel 2010 in più del previsto. In totale un 1,5-1,7% aggiuntivo. Ciò comporta maggiori entrate per il 43% di questa cifra e quindi per 0,6-0,7% del Pil. A me pare importante che ciò venga utilizzato per accelerare il rientro nel tetto del 3% e per migliore l’obbiettivo del 2012 che era di un rapporto deficit/Pil del 2,7% . Per il 2011 l’obbiettivo di deficit/Pil era di 3,7%. Ora sarebbe desiderabile che per il 2011 si punti al 3,4% e per il 2012 al 2,4% . In questo modo il rischio di un attacco al nostro debito si ridurrà di molto . Ma sopratutto verrà rassicurato il risparmiatore italiano che sino ad ora era abituato ad investire nel debito pubblico nazionale , e che è stato turbato dalle vicende del debito pubblico di altri stati europei ed anche dagli allarmi sulla situazione italiana diffusi dall’opposizione, per scopi di strumentalizzazione politica.

Sullo sfondo della manovra rimangono  la questione della riforma delle pensioni, la questione  delle misure per contrastare la tendenza alla crescita della spesa sanitaria pubblica. La questione delle privatizzazioni degli enti pubblici locali. Se queste questioni vengono affrontate in modo blando, come pare, non vi sarà molto spazio per la riduzione delle imposte. Se venissero affrontate in modo incisivo sarebbe possibile una ampia riduzione fiscale, che, a sua volta, consentirebbe alla nostra economia di crescere di più. Studi econometrici effettuati da Cosimo Magazzino e da me dimostrano che per l’Italia la crescita ottimale del Pil si avrebbe con una spesa pubblica attorno al 38% del Pil. Essa è invece attorno al 50% . Risultati analoghi emergono  per gli altri stati dell’Unione europea, ma con variazioni.

Per alcuni il livello massimo del rapporto spesa/Pil per una crescita  ottimale del Pil  è a una percentuale sul Pil maggiore che per l’Italia. Ciò, probabilmente perchè la qualità della loro spesa è migliore e la pressione fiscale meglio distribuita. Se queste stime sono attendibili, e ci sono buone ragioni per supporlo, se ne desume che ogni azione di riduzione della dimensione del governo rispetto al mercato, che riusciremo a effettuare darà luogo, soprattutto nel medio-lungo termine, a una maggiore crescita del Pil. La percezione di ciò, purtroppo, nel Paese non è ancora chiara. Comunque  la sinistra italiana non ha titolo per criticare il governo se esso non riduce abbastanza la dimensione dell’economia pubblica. Infatti questa  sinistra non perde occasione per attaccare il governo, ogni volta che esso fa economie di spesa. E valga per tutti l’insulto che il capo dell’opposizione , l’onorevole Bersani, ha indirizzato a Maria Stella Gelmini, ministro dell’Istruzione, che ha impostato una politica di contenimento strutturale della spesa pubblica nel settore dell’istruzione, basata su principi di efficienza. Chi lancia questi insulti non è in grado di dare lezioni di rigore e non è credibile quando sostiene , per altro in modo molto vago, che occorrono riforme finalizzate  allo sviluppo.