Davanti alla nuova sfida nucleare Bersani dice (ancora) “nì”

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Davanti alla nuova sfida nucleare Bersani dice (ancora) “nì”

08 Marzo 2010

Il Pd è favorevole o contrario al nucleare? O, meglio, è favorevole o contrario alla possibilità per le imprese elettriche operanti nel paese di tornare a investire in questa tecnologia? E, quindi, rispetto alla strategia governativa conduce una opposizione senza se e senza ma, oppure la sua è una critica costruttiva per correggere le eventuali storture? Apparentemente – se almeno si giudica dagli atti parlamentari – il Pd non è contrario a priori. Se invece si giudica in base alla percezione pubblica delle posizioni del principale partito d’opposizione è vero il contrario. Finalmente, il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, intervistato sul Secolo XIX, esprime in modo chiaro la posizione del Pd. Forse. Più o meno. Grosso modo.

La domanda è chiarissima: “E il nucleare?” (prima di leggere la risposta, bisogna tener conto del fatto che a Genova hanno sede Ansaldo Energia e Ansaldo Nucleare, eredi di quel che resta delle competenze tecniche del nostro paese, e che il capoluogo ligure si è candidato – per voce della sindaco democratica, Marta Vincenzi – a ospitare l’Agenzia di sicurezza nucleare).

Ecco, testualmente, le parole di Bersani:

"Un’azienda come l’Ansaldo avrebbe solo da guadagnare se facessimo le cose che dobbiamo, come il “decommissioning” (lo smantellamento delle vecchie centrali, ndr). Invece questo percorso è stato abbandonato, con un piano portato avanti dal ministro Claudio Scajola che è velleitario e irrealizzabile. Tanto per dire: si può parlare di nucleare senza aver previsto siti di superficie per le scorie e con procedure che escludono sostanzialmente le responsabilità dei territori? Noi siamo disponibili a ragionare, ma su cose concrete".

Ora, cosa ha detto Bersani? Assolutamente nulla. Ha pacchianamente sviato la questione. Per certi versi ha ragione: senza un percorso chiaro per lo smaltimento delle scorie, nessuno si sogna di rischiare. L’iter autorizzativo delineato nel decreto del Mse è discutibile. Tutte queste cose, e altre, le spiega benissimo Diego Menegon in questo Focus dell’IBL. Ma tutto ciò c’entra solo marginalmente con l’oggetto della discussione parlamentare di oggi, che non riguarda la realizzazione di centrali nucleari – e dunque l’effettivo ritorno all’atomo – ma la costruzione della cornice di norme e regole che rendano possibile tale sviluppo – e dunque stiamo parlando di uno dei tanti tasselli relativi al ritorno potenziale all’atomo.

Un partito serio – come senza dubbio aspira a essere il Pd – non può permettersi ambiguità su questi temi. Deve saper dire se è favorevole o contrario all’opzione nucleare (che è cosa enormemente diversa dall’essere favorevoli o contrari al decreto del governo, o favorevoli o contrari a uno specifico progetto). Dalla risposta che si fornisce a questa domanda, discende poi logicamente il tipo di approccio, sia nella comunicazione sia nell’azione parlamentare e nell’elaborazione di progetti di legge, verso la maggioranza e i suoi tentativi. Voglio essere chiaro: si può benissimo essere favorevoli all’opzione nucleare e contrari al modo in cui il governo sta tentando di declinarla. O si può essere serenamente contrari. Ma non si può nascondersi dietro questioni specifiche per evitare il cuore del problema, perché da un lato è un tema troppo importante e di troppo ampia dimensione per essere dribblato, dall’altro perché un “nì” equivale, agli effetti pratici, a un “no”. Una centrale costa troppi soldi e troppo tempo perché qualcuno investa in presenza della percezione di un forte rischio politico. Il niet del principale partito d’opposizione sortisce esattamente questo fatto. Quindi, nicchiare è un modo ipocrita di essere contrari.

Bersani, che ha le palle, le mostri e prenda una decisione. Farebbe un favore a sé, al suo partito, al mercato e a tutti i cittadini che prendono il nucleare sul serio (favorevoli o contrari che siano).