DDL Riforme, l’intervento in Senato di Quagliariello

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DDL Riforme, l’intervento in Senato di Quagliariello

23 Settembre 2015

Signor Presidente, colleghi senatori, in quest’aula non stiamo discutendo solo della riforma del Senato, ma anche della norma di chiusura di un nuovo assetto istituzionale e dell’avvento di un nuovo sistema politico. Lo dico non certo per evocare scenari da ultimi giorni di Pompei, né per drammatizzare questo passaggio come se l’approvazione della riforma – che io auspico – dovesse essere il segnale in grado di scatenare l’inferno (o il paradiso!). Lo dico, molto più semplicemente – direi “serenamente” se ormai lo “stare sereni” non avesse assunto connotati sinistri -, perché sia chiara la portata del passaggio che stiamo affrontando.

 

Siamo a uno snodo cruciale, della legislatura e non solo. Dal giorno in cui il percorso di riforma sarà giunto a compimento nulla sarà come prima: avremo una nuova impalcatura costituzionale, ma avremo anche, in combinato disposto con essa, un nuovo sistema elettorale. Avremo un assetto compiuto e potremo anche tornare a votare, opzione finora non formalmente preclusa ma ostruita nella sostanza dalla aleatorietà di un sistema in transizione. Per questo vorrei dedicare il tempo che mi è concesso all’oggi, al domani ma anche, seguendo l’ammonimento di Aldo Moro, a un prossimo dopodomani.

 

Do per acquisite le tante ragioni per le quali abbiamo sostenuto e sosteniamo questa riforma e continueremo ad adoperarci per migliorarla. Essa non è uno sparo nella notte ma il frutto di un lavoro maturato nel corso di tutta questa legislatura, dalla commissione istituita dal presidente Napolitano, al governo Letta, fino all’opera spesso oscura ma determinante che abbiamo assicurato su aspetti magari meno mediatici ma di enorme rilievo come quelli che sottendono al nuovo Titolo V.

 

Potremmo persino vantare un diritto di primogenitura sulla possibile soluzione per l’elezione dei futuri senatori. Argomento, questo, che a mio parere deve essere “laicizzato”. Non è infatti dal sistema di elezione dei suoi componenti che derivano i caratteri e le prerogative del Senato. Al contrario: noi dobbiamo decidere quali siano ruolo e funzioni del Senato nella nuova architettura, e da ciò dedurre il più coerente sistema di elezione. E’ evidente allora che un Senato che sia sede di rappresentanza delle istituzioni legislative territoriali non possa non essere collegato ai consigli regionali (e non credo nemmeno che possa privarsi dei presidenti delle Regioni). Ma, allo stesso modo, un Senato che concorra a primarie funzioni costituzionali non può essere avulso dalla sovranità del corpo elettorale.

 

In questo senso, l’idea della selezione dei senatori contestuale all’elezione dei consigli regionali era lì fin dall’inizio dell’iter della riforma, presentata nei nostri emendamenti non come mediazione al ribasso ma come proposta originaria in grado di conciliare le differenti peculiarità del futuro Senato. Ci si sarebbe dunque potuti arrivare molto prima, risparmiando al cammino delle riforme tensioni e torsioni che certamente non hanno giovato.

 

Su questo e su altri aspetti il testo può e deve essere migliorato. Non nel senso di attribuire al Senato un improprio ruolo di contrappeso, perché i contrappesi vanno ricercati altrove in una logica di sistema, ma ripristinando funzioni che nelle varie letture si sono perse per strada, garantendogli un peso effettivo nell’elezione dei giudici costituzionali, coinvolgendolo nel collegamento con l’Europa, nel controllo e nella valutazione delle politiche pubbliche. Ancora, ho proposto un emendamento per scolpire in Costituzione la pari dignità fra le diverse aree del nostro Paese, fra Nord e Sud.

 

Non solo insomma diciamo sì alle riforme, ma fino all’ultimo istante lavoreremo per dare al Paese le migliori riforme possibili.

 

La consapevolezza del momento che stiamo vivendo ci impone tuttavia di non fermarci alla lettera di questo testo. Le istituzioni sono infatti come un organismo, che vive nello spazio e nel tempo politico e che esige equilibrio, proporzione e un’armonia intrinseca tra le diverse parti che lo compongono. Proprio per ricercare questo equilibrio il governo Letta propose una deroga rafforzativa all’articolo 138, affinché i due rami del Parlamento potessero affrontare in un disegno organico la forma di Stato, la forma di governo, il bicameralismo, la legge elettorale.

 

Non sto qui a ripercorrere le vicissitudini che bloccarono quel tentativo, ma è un fatto che oggi ci troviamo a discutere di un nuovo sistema che sconta la frammentarietà della sua costruzione e che, proprio per questo, impone la disponibilità a procedere per aggiustamenti successivi in un tempo politicamente utile. Del resto, all’esigenza di uno spazio per la ricerca di un equilibrio di sistema risponde anche la decisione di rinviare al prossimo anno l’entrata in vigore della nuova legge elettorale.

 

Cosa c’entra la legge elettorale con le riforme al nostro esame? C’entra tantissimo. C’entra perché il combinato disposto tra Italicum e riforma del Senato introdurrà nel nostro Paese un nuovo sistema politico, e con la stessa chiarezza con la quale noi sosteniamo le riforme non possiamo non porci il problema del volto che avrà l’Italia un minuto dopo e di quali culture politiche avranno in Italia diritto di cittadinanza.

 

Chiamo le cose con il loro nome e dico che un sistema che bandisca le coalizioni rischia oggi di bandire la cultura liberale, cattolica, laico moderata, dalla rappresentanza politica. Le nuove regole, innestate sul panorama attuale, possono bloccare il gioco democratico in uno scontro tra sistema e anti-sistema nel quale alle forze del sistema resti la sola alternativa tra sciogliersi nella socialdemocrazia o scomparire. Ed è evidente che tale prospettiva ponga un problema di non poco momento a quanti fra noi hanno garantito il percorso delle riforme non perché avessero cambiato idea sulla propria collocazione, ma perché ritenevano che ci fosse bisogno di scrivere nuove regole comuni senza che questo significasse confondersi o annullare la propria identità.

 

Vedete colleghi, a lungo la sinistra italiana è stata attraversata da un dibattito tra chi propugnava l’adesione alla famiglia socialdemocratica europea e chi invece, come Pietro Scoppola, pensava che l’attuale Pd dovesse racchiudere una pluralità di tradizioni e culture, ivi compresa quella cattolica-democratica. La contesa si è risolta in questa legislatura, quando un leader post-ideologico ha traghettato il Partito democratico nel Pse. Noi abbiamo assistito con grande rispetto a questa scelta identitaria, ma essa deve implicare la consapevolezza dell’importanza delle radici culturali, e non la pretesa di privare del diritto di cittadinanza altre culture e altre famiglie politiche.

 

Insomma: proprio ora che il Pd ha sciolto ogni ambiguità e abbracciato la socialdemocrazia, sarebbe paradossale che le forze popolari italiane perdessero per legge ogni spazio di autonomia e diritto di rappresentanza. Non si tratta di un’iperbole: il combinato disposto delle riforme e dell’Italicum con premio alla lista replicherebbe infatti, amplificandolo per effetto del ballottaggio, il fenomeno delle ultime europee, quando la paura di una vittoria dell’antipolitica convogliò consensi trasversali verso la proposta socialdemoderatica assegnandole il monopolio coatto del buonsenso.

 

Ci è stato detto: “Il premio alla lista dà maggiori garanzie alla stabilità dei governi”. E’ vero, ma proprio la parabola del PdL dimostra che aggregazioni anti-frammentazione non garantiscono di per sé la durata dei governi in assenza di meccanismi di stabilizzazione dell’esecutivo che rimandano a quell’ormai mitico ordine del giorno Perassi ancora in attesa di attuazione.

 

Ci è stato detto: “Potevate pensarci prima, l’Italicum lo avete votato anche voi”. A questo rispondo con una obiezione e con una contestazione. La contestazione è che ci abbiamo pensato eccome. Ho raccolto un’ampia antologia di interventi parlamentari, interviste, dichiarazioni, che testimoniano come il tema della modifica della legge elettorale con previsione del premio alla coalizione fosse stato posto a tempo debito e in ogni sede. E certamente sarebbe stato sollevato alla Camera se non fosse stata apposta una fiducia che personalmente ho sempre considerato inopportuna e la cui incidenza politica oggi si comprende appieno. L’obiezione, invece, è che dall’Italicum in poi è cambiato il mondo, e non tutti i cambiamenti potevano essere previsti.

 

E’ accaduto che in quest’ultimo anno il baricentro del centrodestra si è allontanato dal centro. Ed è accaduto che un governo emergenziale, formato da avversari per esaurirsi entro l’orizzonte delle riforme e consentire poi la ristrutturazione delle rispettive metà campo, è stato proposto come un governo di coalizione e di legislatura, con il paradosso di trovarsi però a fine legislatura con le coalizioni messe fuorilegge. In queste condizioni, per una forza che non sia né socialdemocratica né lepenista, semplicemente non ci sarebbe spazio che non sia quello di un’annessione. Neanche lo spazio per un’alleanza.

 

Una famiglia politica che tanto ha dato alla storia anche recente del nostro Paese rischierebbe così di essere cancellata.

 

Signor presidente, noi abbiamo sempre distinto i piani. Il ricatto di cui siamo stati accusati non ci appartiene. Le riforme non sono in discussione. Ma, un minuto dopo, questo dibattito sulle riforme ne genererà un altro, che investirà sia i rapporti interni a una coalizione di governo che la legge pone fuori-legge, sia la collocazione politica. E’ un problema che personalmente mi riguarderà. E credo riguarderà quanti hanno fin qui contribuito al cammino delle riforme ma non intendono consentire l’estinzione della propria cultura politica.

 

In un tempo in cui tutto sembra esaurirsi nella comunicazione, nella leadership e nella contingenza, un discorso del genere potrà apparire fuori dal tempo. Ma personalmente mi ostino a credere che al fondo delle scelte politiche vi siano categorie che vengono prima e che sono nate con la politica stessa. Cultura. Princìpi. Identità. Forse questo è un discorso vecchio, ma a volte l’unico modo per restare giovani è rimanere fedeli a se stessi. Grazie.