Debito pubblico: a che gioco giocano Renzi e Bruxelles
03 Giugno 2017
di Carlo Mascio
“Per far scendere il debito pubblico presenteremo un’iniziativa che consenta ai cittadini di avere forme di rendimento anche attraverso la partecipazione ai beni immobili e mobili che costituiscono il patrimonio dell’Amministrazione centrale e degli Enti Locali”. In un’intervista al Sole 24 Ore, Matteo Renzi è tornato a parlare di debito pubblico, e lo ha fatto lanciando un “progetto” che è “potenzialmente win win, perché riduce i costi del debito e aumenta la credibilità del Paese. Del resto – continua l’ex premier – se tranquillizziamo i mercati sul debito e sulle banche per l’Italia cambia moltissimo”. Peccato però che il segretario Dem, come al solito, non si sia spinto nel delineare termini, modalità e tempi per la realizzazione del suo “progetto”, limitandosi solo a dire che verrà coinvolta la Cassa Depositi e prestiti. Il che fa pensare di essere di fronte all’ennesima proposta in stile renziano: dire tutto e poi non fare nulla.
Era da un po’ che l’ex premier non tornava sul tema del debito pubblico. E guarda caso, l’argomento rispunta fuori proprio quando la campagna elettorale sembra essere sempre più alle porte. Anche perché Renzi ha necessità di mascherare le “bischerate” compiuti dal suo governo in materia di conti pubblici. I dati, in tal senso, parlano chiaro: nei famosi “mille giorni” del suo esecutivo, secondo Bankitalia, il debito pubblico è aumentato di 135 miliardi di euro, passivo che, stando ad alcune stime, è arrivato a gravare quasi 2.617 euro a persona. E per il futuro le cose non si mettono meglio: secondo quanto riportato dalla Commissione Europea, il debito pubblico italiano dovrebbe aumentare ancora passando dal 132,6% del 2016 al 133,1% del 2017 per poi riscendere a 133,2% nel 2018. Trend confermato anche da Unimpresa secondo cui, analizzando l’ultimo Def, quello presentato da Padoan e Gentiloni, la spesa pubblica dovrebbe aumentare di altri 45 miliardi nei prossimi tre anni. Per cui, con questi numeri, è difficile “tranquillizzare i mercati sul debito” come ha auspicato l’ex premier. Tanto più se a presentarsi come “paladino della credibilità” dell’Italia sui conti pubblici è proprio lui, Renzi, dopo i disastri compiuti dal suo esecutivo in questo campo.
Per non parlare delle banche italiane, altro settore che risente dell’enorme debito pubblico. Come ha sottolineato il Financial Times, il nostro sistema bancario, per le condizioni in cui versa, è potenzialmente in grado di mandare all’aria quel minimo di ripresa che inizia timidamente a manifestarsi (un punto percentuale di crescita del Pil, se andrà bene, nel 2017, siamo maglia nera in Europa), dal mercato immobiliare all’export. Il caso delle banche venete (Veneto Banca e Popolare di Vicenza), in tal senso, è emblematico. Tanto più ora che anche Altlante, il fondo privato che avrebbe dovuto garantire liquidità agli istituti per evitare il fallimento, ha deciso di tirarsi fuori dai giochi per il salvataggio, motivando così la scelta: “Le tante incertezze impediscono di fatto una decisione per qualsiasi investitore responsabile”. Tradotto: il settore bancario è tutt’altro che stabile.
Detto ciò, viene da chiedersi: questo “progetto” per la riduzione del debito se, come dice Renzi, è “win win”, non poteva saltare fuori prima, quando lui era al governo, oppure in questi mesi di trattative con l’Ue per cercare di far quadrare i conti italiani? Inoltre, in virtù della sua proposta, l’ex premier ha chiesto per l’ennesima volta all’Europa “margini di flessibilità maggiori” proprio dopo che il commissario Moscovici, in occasione dell’ok alla manovrina italiana, dichiarando che serve “equilibrio tra sostenibilità delle finanze pubbliche e misure per la crescita”, ha fatto capire che la flessibilità è tutt’altro che impossibile. Per cui, non sarà che le promesse renziane siano finalizzate a rabbonire gli alti papaveri di Bruxelles per chiedere l’apertura dei cordoni della borsa – la flessibilità nella logica renziana – in chiave elettorale? Non sarebbe la prima volta.