Di cena in cena, tra materassi, fagotti e controfagotti

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Di cena in cena, tra materassi, fagotti e controfagotti

Di cena in cena, tra materassi, fagotti e controfagotti

07 Aprile 2008

Dalla
cena campagnola alla cena marittima. Così potrei riassumere le ultime
ventiquattro ore di campagna elettorale, nel corso delle quali la
stanchezza accumulata si fa sentire imponendo alcune scelte di fondo,
che fino a quando le energie ti assistono si possono invece evitare.

Avevo
lasciato il diario a Terranuova Bracciolini, località del Valdarno che
trasuda aria di campagna. E la cena elettorale amplifica quest’afflato.
Si svolge in un grande stanzone arredato con tavoli rustici, sedie
stanche e invecchiate che a stento sopportano il peso ma non mollano,
stoviglie che sottolineano l’essenzialità del cibo non concedendo nulla
al decoro. Le facce dei circa duecento commensali fanno pendant, quasi
fossero state pensate per completare l’effetto. Visi che riflettono
lavoro, onestà e sostanza, scavati ma non contorti come gli ulivi di
queste zone. Il menù, infine, s’inserisce a perfezione nella sinfonia:
salumi e crostini di ottima fattura, tagliatelle fatte in casa e penne
con sugo la cui apparenza slavata tradisce ben altra sostanza, arrosto
di quello serio. Persino il vino partecipa di tutta questa
essenzialità. Per quanto perfettamente imbottigliato ed etichettato, si
chiama “Giovanni”: un omaggio dell’agricoltore che lo produce a suo
padre e, insieme, uno schiaffo in faccia a tutti i modaioli.

I
discorsi si succedono sin dall’antipasto. Parlo dopo Stefano Mugnai e
Paolo Amato, il collega senatore che nel corso della scorsa legislatura
si è fatto amico. E poiché dagli amici, com’è noto, non ci si guarda
delegando il compito al Principale, in quell’ambiente Paolo fa un
elogio sperticato di me nominandomi sul campo “il Suslov del gruppo”.
Dice anche della nostra sinergia politica: lui lavorerebbe sulle
gradinate, io in tribuna ma con lo stesso obbiettivo di portare la
squadra alla vittoria.

Debbo lavare l’onta. Quando prendo
la parola lo smentisco. Mi ribello all’accusa d’essere un intellettuale
e, soprattutto, concedo una traduzione autentica della parabola “sulla
gradinata e sulla tribuna”: “Paolo vorrebbe insinuare che mentre lui
lavora duramente sul campo, io mi faccio le pippe mentali. Ma non è
vero”. Alla parola “pippe” l’applauso scoppia incontenibile. Nessuna
analisi della situazione politica aveva sortito quell’effetto. Un vero
successo. Alla fine del discorso, il sanguigno capogruppo di A.N. alla
regione Maurizio Bianconi, che mi è seduto accanto mi dice: “a me gli
intellettuali mi sono sempre stati sullo stomaco (nella versione
autentica, invero, anche un poco più in basso). Delle due l’una: o tu
non sei un intellettuale o io mi sto rimbambendo!”. Lo rassicuro e,
ovviamente, lo ringrazio.

E’ a questo punto che si pone la
prima scelta di fondo del candidato. E’ passata mezzanotte e Roma dista
più di due ore: ci si ferma o si raggiunge casa? Il candidato giunto
all’ultima settimana, se può, raggiunge casa. Per sentirsi per qualche
ora un po’ meno un mendicante di fiducia; per l’illusione delle proprie
abitudini; per cogliere qualche graffito d’affetto. Ma, soprattutto,
per il materasso. Solo quando la stanchezza si fa seria, si capisce
quanto è duro lo dormir nell’altrui letto. Anche se del migliore
albergo.

Gianni Clemente, che mi accompagna, non la pensa
come me. Vinco in ogni caso la prima battaglia, e la domenica mattina
trascorriamo tutti e due qualche ora in famiglia. Non è facile. Il
candidato, infatti, ritiene che la propria fatica debba essere
partecipata, tende a auto commiserarsi e vorrebbe che il proprio mondo
girasse intorno a lui. Come è giusto che sia, il proprio mondo va
invece avanti con i suoi ritmi. E solo l’intelligenza, se riesci ad
attivarla, evita che tra la pretesa psicologica e la realtà si
determini quello iato dal quale, di solito, si generano i litigi.
Questa volta, comunque, non si fa in tempo a litigare. Perché appena
avverto l’adrenalina depositarsi già si deve ripartire, destinazione
Orbetello e poi Follonica.

Avendo vinto “la battaglia del
materasso” cedo a Clemente che andrebbe in treno, se potesse, persino
alla toilette. Sulla seconda scelta di fondo prevale lui: prendiamo un
regionale – l’accelerato del tempo che fu – dal binario 28, che
rispetto alla stazione Termini non a caso si trova in fondo a destra:
roba che per raggiungerlo ci si mette un quarto d’ora.

Orbetello
è il paese di cui è sindaco Altero Matteoli: un generale della lunga
“battaglia del Senato” contro il governo Prodi. Soprattutto è un
simbolo di buona amministrazione del centro-destra. Lo frequentavo
vent’anni fa, quando Capalbio non era ancora diventata l’Atene del
Tirreno, capitale dell’intellighenzia di sinistra. La ritrovo
trasformata: la laguna prima fetida ora è uno specchio d’acqua che
riposa lo sguardo manco si fosse ad Ascona, gli edifici sono stati
ripresi; strade e viuzze pittorescamente puntellate da negozietti e
bar. Altero svolge con gentilezza e stile il ruolo di padrone di casa.
La sua sicurezza non ostentata del risultato incute tranquillità. Il
tempo di un rapido brindisi con gli elettori, che lui d’altro canto
incontra tutti i fine settimana, e si parte per Follonica dove ci
attende Monica Faenzi, il sindaco di Castiglion della Pescaia candidata
alla Camera bella e brava.

Se è possibile – ed è possibile
– ci si avvicina ancor più al mare e si avverte nell’aria. Così come la
prossimità con Bolgari la si intuisce al tramonto quando, come avrebbe
voluto Carducci, il dì cadente ci saluta con un ghigno pio, andando a
brillare roseo nel verde cupo dei cipressi e nel riflesso dell’onda
sulla battigia. E già: la cena marittima si svolge proprio in riva al
mare. Cambia la scena: i toscani della costa sono un’altra cosa. Cambia
il menù: al posto dei salumi spuma di spigole, in luogo delle
tagliatelle, trofiette con vongole e bottarga. Sembra, insomma, un
altro mondo. Forse meno tetragono nelle proprie convinzioni ma anche
più consapevole della forza della propria diversità rispetto
all’egemonia di questa regione. Negli occhi dei commensali insomma, qui
più che in Valdarno, si coglie la percezione che il tunnel potrebbe
finire prima di quanto si possa credere. Glielo dico e, forse, rafforzo
un po’ convinzioni e speranze.

E’ di nuovo mezzanotte.
Bisogna andare. Ci aspettano altre due ore di automobile per arrivare a
Roma. Forse è l’ultima volta che si può fare: da domani si tira fino
alla fine. Gianni crolla per primo e attacca col fagotto. Tra breve
crollerò anch’io rispondendo con un controfagotto, mentre sogno
l’approssimarsi del mio materasso.

Diario di un candidato