Di Pietro invoca la soluzione finale, ma Berlusconi riuscirà a governare

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Di Pietro invoca la soluzione finale, ma Berlusconi riuscirà a governare

30 Giugno 2008

La lettura domenicale su fronti opposti di Galli della Loggia e di Eugenio Scalfari impone a chi ha responsabilità politiche di dire come la pensa su quello che sta succedendo intorno al conflitto tra politica e magistratura politicizzata. Non è una storia nuova. E’ chiaro che dal 1994 in poi vi è chi ritiene che Berlusconi non sia un soggetto democraticamente legittimato e che per questo non abbia il diritto di governare. Su questa premessa si è giunti a ritenere che la moralità sostanziale della cosa pubblica debba avere il primato anche sull’espressione della sovranità popolare. In tal senso la sentenza di un tribunale non è un fine ma un mezzo per raggiungere questo obbiettivo. 

Anche qui poco di nuovo sotto il sole. In altri momenti della storia europea i nemici della democrazia, giacobini di destra e di sinistra, si sono annusati e si sono ritrovati sotto le stesse bandiere, così come accade oggi quando troviamo nello stesso partito uomini come Di Pietro, prototipo della destra reazionaria, e uomini come Pancho Pardi, che rappresentano invece la sinistra movimentista e giacobina. Quel che è cambiato è la strategia e il posizionamento di queste forze. 

Nel ’94, quando furono sorprese da ciò che ritenevano impossibile, provarono immediatamente l’azione di sfondamento che prese le sembianze dell’avviso di garanzia recapitato in eurovisione. Con l’aiuto e l’incoraggiamento di un vertice istituzionale sembrava fatta e la partita chiusa per sempre, soprattutto dopo che il centrodestra perse le elezioni successive. Ci fu invece la traversata nel deserto e una nuova prova; e qui la strategia divenne in qualche modo più duttile. Non si provò, come la prima volta, ad affondare il colpo, quanto piuttosto a svolgere un’opera di interdizione e logoramento ritenendo che in tal modo si potesse contribuire all’inverarsi della predizione montanelliana: lasciatelo governare, così il Paese si vaccinerà. A questa strategia le contraddizioni interne alla maggioranza diedero un indiretto, involontario, ma importante contributo. 

E’ successo, invece, che il Paese non si sia vaccinato. E’ accaduto inoltre che l’alternativa a Berlusconi abbia dato una prova così nefasta da portare una grande parte di italiani a riconsiderare la sua esperienza di governo e a ridargli fiducia. E’ accaduto, infine, che di fronte alla Caporetto del governo Prodi la stessa sinistra post-comunista abbia dovuto rinnegare la strategia della union sacrée contro il mostro e accennare a considerare il nemico avversario. 

In questa evoluzione sono contenute le ragioni che aiutano a spiegare quanto stia accadendo oggi. La possibilità di condizionare il governo è venuta meno, in parte perché esso è più compatto, in parte perché manca la prospettiva di una alternativa a portata di mano. E poi questa volta, se andasse bene, si radicherebbe definitivamente una forza di centrodestra moderna che ha superato anche la prova del passaggio generazionale. 

Ecco perché chi ritiene che Berlusconi sia un nemico della democrazia, lo sia antropologicamente e indipendentemente dai consensi che riceve, non ha altra scelta che radicalizzare lo scontro ed arrivare alla soluzione finale. Ecco che ritorna la tentazione della sentenza fatale, ecco che si mette a repentaglio ogni elemento di intimità, ecco che il linguaggio e persino le ambientazioni sceniche tornano a somigliare incredibilmente a quelle del fascismo, la cui matrice fu per molti versi simile. 

E’ chiaro che questa sfida è portata al governo e alla sua maggioranza, ma è portata anche alla maggiore forza d’opposizione, messa in mora per la sua moderazione, il suo riformismo, il suo tatticismo. Ci si era illusi che questa sfida potesse stavolta degradare a scaramuccia, come si confà alle democrazie moderne, per l’esistenza di un accordo più solido tra le due grandi forze consacrate dal voto popolare, Pdl e Pd. Si è scoperto invece che Veltroni è ancora più debole di quel che si poteva credere. Rimane in mezzo al guado, inconsapevole e ignaro che è proprio questo l’errore sul quale altri riformismi, nei momenti decisivi della storia, sono stati battuti. 

Per questo oggi si è forse più deboli ma con una responsabilità più forte. Si devono trovare i modi per porre questa volta al centro della nostra azione non già la necessità di difenderci, ma quella di governare il Paese. Lo dobbiamo fare per noi, e anche per i nostri avversari del Pd.