Dialogo e nessuna rottura con Mosca. Ma la Georgia non si tocca

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Dialogo e nessuna rottura con Mosca. Ma la Georgia non si tocca

02 Settembre 2008

Era un vicolo stretto quello che si è trovata a percorrere l’Unione europea nel vertice straordinario sulla questione russo-georgiana del primo settembre 2008. Da un lato, infatti, alto era il rischio di chiudere la partita con un nulla di fatto, che avrebbe portato a parlare di irrilevanza europea ed incapacità di incidere nelle crisi che ne minacciano i confini. Dall’altro lato poi, più che concreta era la possibilità che in sede di Consiglio europeo si arrivasse alla rottura o che perlomeno i malumori e le ansie, in gran parte giustificate, dei Paesi dell’est si tramutassero in bellicosi distinguo e clamorose prese di posizione in realtà senza ricadute concrete.

La dichiarazione finale in dodici punti, pur nel linguaggio paludato tipico della diplomazia di Bruxelles, riesce a scongiurare questi due rischi, quello dell’irrilevanza e quello della rottura. L’Unione europea batte un colpo e lo fa mostrandosi il più possibile unita. Sembra insomma essere in grado di mescolare realismo e principi ideali. Non è improvvisamente apparso all’orizzonte un nuovo attore di politica internazionale e comunque la fermezza del primo settembre andrà valutata nelle scelte delle prossime settimane. Ma in questa fase di profondo vuoto diplomatico occidentale, in gran parte imputabile alla lunga e laboriosa campagna elettorale americana, da Bruxelles è giunto qualche segnale confortante.

Sulla rilevanza specifica della risoluzione finale del Consiglio europeo ci soffermeremo tra poco, prima però è indispensabile individuare i protagonisti principali  di questo parziale, ma significativo, successo diplomatico europeo. Senza dubbio decisivo è stato l’operato della coppia Sarkozy-Berlusconi, protagonista di un gioco di squadra sinergico, supportato dal cancelliere tedesco Merkel.

Il premier italiano e il suo ministro degli Esteri Frattini erano stati chiari fin dalla vigilia del vertice. L’Italia sarebbe andata a Bruxelles non, come qualche critico nostrano si era affannato a malignare, per perseguire una politica filo-russa dettata dal timore delle ritorsioni energetiche e dall’amicizia personale che lega Berlusconi all’attuale primo ministro russo. Scopo preciso della nostra diplomazia era quello di fare professione di realismo e ricordare costantemente come allo stato attuale, con le molteplici crisi aperte (dall’Afghanistan all’Iran), l’Occidente euro-atlantico non possa permettersi un ulteriore allontanamento dall’alleato russo.

La professione di realpolitik italiana, ricevuto il via libera dal cancelliere Merkel nel bilaterale che ha preceduto il vertice di Bruxelles, è stata poi controbilanciata dalle parole del presidente di turno Sarkozy. Se le sanzioni non sono per il momento all’ordine del giorno, nel richiamo alla necessità che Mosca prenda atto che lo “spirito di Yalta” non può più essere applicato alle nuove relazioni internazionali, il Presidente di turno Ue mostra di avere ben chiari i timori dei Paesi dell’ex blocco sovietico e di operare affinché trovino la giusta rappresentanza nelle istituzioni comunitarie.

La coppia Sarkozy-Berlusconi, proponendo un mix virtuoso tra realismo ed idealismo, è riuscita a lanciare un monito importante a Mosca, senza giungere alla duplice e pericolosa rottura, interna ai 27 e nei confronti del Cremlino.

Il documento finale dei 27 contiene l’attesa condanna dell’operato di Mosca nella crisi georgiana (compreso il riconoscimento delle due autoproclamate repubbliche di Ossezia ed Abkhazia), la richiesta di ritiro delle forze russe sulle posizioni precedenti allo scoppio del conflitto e la decisione di inviare osservatori europei sul confine osseto-georgiano. Sono poi confermati gli aiuti economico-finanziari alla Georgia ed è anticipato un interessante “partenariato orientale” (denominato anche “sinergia Mar Nero”) che, se applicato, dovrebbe garantire all’Ucraina un ulteriore avvicinamento al blocco occidentale.

Ma il vero punto qualificante è quello conclusivo, il dodicesimo, dove si ricorda a Mosca che il complicato negoziato per il rinnovo del partenariato Ue-Russia, ripartito a giugno al vertice di Khanty-Mansijsk (dopo i fallimenti del 2007 a Samara) è direttamente legato al rispetto degli accordi firmati da Mosca e Tbilisi il 12 agosto scorso. Per il momento gli incontri fissati tra Ue e Russia di Bruxelles (15 settembre) e di Nizza (14 novembre) sono congelati. Per dimostrare che alle parole devono necessariamente seguire i fatti Sarkozy, Barroso e Solana saranno a Mosca e Tbilisi l’8 settembre prossimo.

Dunque improvvisamente l’Europa ha trovato la via per una coerente e volontaristica politica estera comune? Sarebbe troppo ingenuo passare dalle visioni ipercritiche e catastrofiche agli eccessivi entusiasmi. Il vertice di Bruxelles di ieri potrebbe però essere “storico” se osservato dal punto di vista del metodo dispiegato dall’Ue: una sapiente composizione dunque di realismo ed idealismo, una guida salda offerta dalla Presidenza francese, una sponda altrettanto sicura offerta da due Paesi fondatori come l’Italia e la Germania e, da non dimenticare, il gioco di squadra di Londra, comunque decisiva nel sostenere le ragioni dei Paesi della cosiddetta “nuova Europa”.

Non mancano certo le incognite nell’immediato futuro. Come reagirà Mosca all’iniziativa europea? Quanto veramente interessa al Cremlino l’eventuale rottura del negoziato sul partenariato strategico con l’Ue? Davvero a Mosca, dopo il silenzio imbarazzante della Cina sulla questione caucasica, sta cominciando a farsi strada l’impressione che la diplomazia dei carri armati e del gas potrebbe condurre in un vicolo cieco? E ancora, l’Unione europea sarà in grado di non erodere dall’interno l’unità di intenti ottenuta, correndo a dividersi nelle prossime settimane di fronte al potente gigante energetico russo? E soprattutto, per quanto tempo riuscirà ad occupare la scena in attesa che il suo alleato d’oltre Atlantico scelga il suo “comandante in capo”?

Per una volta questi interrogativi possono passare in secondo piano. La vera notizia è che l’Europa ha dato un segnale, confortante, di esistenza. Pretendere di più sarebbe stato davvero troppo. Tra il nulla del passato e il poco del presente non vi è dubbio su quale sia l’opzione migliore.