“Diaz” ha tutti i requisiti per essere un insuccesso cinematografico
15 Aprile 2012
Nelle due settimane di programmazione il film di Marco Tullio Giordana “Romanzo di una strage” ha realizzato incassi abbastanza deludenti. Incassi inversamente proporzionali alle attenzioni mediatiche suscitate, notevolissime. Eppure il clamore giornalistico e televisivo al botteghino non ha funzionato (circa un milione e mezzo di euro ad oggi). Lo stesso destino toccherà a “Diaz – Non pulire questo sangue” di Daniele Vicari? Anche in questo caso il rullo dei tamburi pre-uscita è stato poderoso.
In linea di principio dovrebbe andare anche peggio di “Romanzo di una strage”. Per due ragioni. La prima: è un film di modesta fattura, mentre quello di Giordana ha ben altro spessore estetico. La seconda: gli attori non riescono a dare autentica credibilità alla drammaticità del racconto.
La storia è sin troppo nota. Lo scenario è il luglio 2001. Nella città di Genova si scatena l’inferno, in occasione del G8. Un ragazzo, Carlo Giuliani, muore, ucciso da un carabiniere (il processo accerterà che si è trattato di legittima difesa). La confusione è totale. Nella scuola Diaz la polizia fa irruzione e su coloro che si trovano lì compie violenze gratuite quanto non tollerabili. Come è altrettanto noto, a questi fatti sono seguiti processi che hanno portato a condanne in primo e secondo grado. Chi giudica i fatti, senza nessun tipo di pregiudizio sul piano storico, questo registra. Non c’è eccesso di manifestazione che possa giustificare comportamenti delle forze di polizia non conformi alla legge.
Il film di Vicari racconta cosa accadde la notte del luglio del 2001 alla Diaz. Pagina inquietante della nostra storia recente. Ma da qui a parlare di «macelleria» e di «polizia messicana» ce ne corre. Come dovrebbero essere soppesati certi giudizi definitivi di Amnesty International.
Quando il cinema si assegna il compito di denunciare le storture della realtà, deve essere sempre salutato con favore. Ma c’è un difetto gravissimo, che limita la denuncia di “Diaz – Non pulire questo sangue”. Si dimentica il contesto genovese. All’inizio del film vengono mostrati alcuni “black block” all’opera. Poi tutto si chiude nella caserma, in una sorta di teatro brechtiano del bene che viene selvaggiamente calpestato dal male. Estrapolare i fatti della Diaz dai fatti di Genova è a dir poco superficiale. Come non è tollerabile, in un sistema democratico, che la polizia vada oltre i propri limiti, non può essere tollerato che una città venga messa a ferro e fuoco.
Purtroppo il G8 di Genova fu un disastro da ogni punto di vista. Sarebbe stato meglio raccontare in “Diaz – Non pulire questo sangue” l’intera storia del disastro. Il film avrebbe avuto più senso. Da ogni punto di vista. E avrebbe certamente avuto un respiro, anche narrativo e drammatico, maggiore.