Dietro gli attacchi di Wsj e Faz c’è una guerra finanziaria del dollaro all’euro

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Dietro gli attacchi di Wsj e Faz c’è una guerra finanziaria del dollaro all’euro

30 Novembre 2010

Qualche giorno fa il Frankfurter Allgemeine Zeitung ha dedicato un lungo articolo al rischio del debito pubblico italiano, sostenendo che la eventuale crisi del governo Berlusconi a seguito del voto di fiducia del 14 dicembre e le conseguenti incertezze politiche successive potrebbero mettere in dubbio il riequilibrio dei nostri conti pubblici ottenuto con la manovra di finanza pubblica contenuta nella legge di stabilità (in corso di approvazione al Senato).

Dopo avere sostenuto che comunque Berlusconi non è un leader efficace, la FAZ ha anche aggiunto che l’opposizione non è in grado di fornire prospettive valide. Il 29 di novembre il Wall Street Journal ha pubblicato un analogo articolo, con la variante che ha aggiunto che gli industriali italiani ritengono che, comunque, anche se Berlusconi otterrà la fiducia (si fa capire che ciò avverrebbe con un modesto margine), esso non sarà in grado di risolvere i problemi aperti dell’Itali. Problemi individuati nella spazzatura di Napoli controllata dalla camorra, nel crollo di tesori artistici (ci si continua a riferire all’edificio di secondaria importanza rifatto nel novecento, crollato a Pompei, che fa parte del complesso pompeiano e quindi andava salvaguardato, ma non è certo un tesoro artistico o archeologico) e nelle riforme strutturali.

Il Wall Street Journal, citando il governatore della Banca di Italia Mario Draghi, sottolinea come lo scarso sviluppo della produttività nell’ultimo decennio abbia generato una difficoltà nella crescita della nostra economia e come il basso tasso di crescita renda difficile la riduzione del rapporto debito Pil. Aggiunge che la bassa crescita può influire negativamente sulle pubbliche entrate e rendere più difficile la riduzione del deficit. Poi si dilunga a spiegare che l’Italia ha una industria manifatturiera costituita soprattutto di piccole e medie imprese specializzate nella produzione di beni di consumo di qualità, le quali subiscono la concorrenza cinese e cita gli orafi di Valenza e le imprese di vetro di Murano.

E’ facile notare come queste diagnosi siano un miscuglio di cose vere, di cose palesemente false e di luoghi comuni sull’Italia. Non è vero che questo governo è inefficace contro la camorra e non è vero che i mucchi di spazzatura di Napoli siano responsabilità del governo italiano, anziché del comune di Napoli e degli altri enti locali, nonché della disastrosa gestione della Regione da parte della giunta Bssolino. Ci sono dei ritardi nella realizzazione dei nuovi termovalorizzatori, che debbono servire alla gestione dei rifiuti. Ma il governo nazionale sta di nuovo intervenendo, con la collaborazione di regioni disposte ad accogliere i rifiuti che la Campania non riesce a smaltire a causa di queste disfunzioni imputabili ai suoi enti e non al governo centrale.

Un decreto legge ora affida alla gestione commissariale del presidente della Regione Campania, dotato di poteri speciali, il compito di attuare il piano su cui si era perso tempo nel conflitto e nel groviglio di competenze locali. Il problema sarà, dunque, risolto, proprio da questo governo che, secondo il Wall Street Journal – che cita non identificati industriali – non è in grado di farlo.

Il crollo di un edificio mal restaurato a Pompei non è colpa del governo (piove governo ladro) e non è imputabile alla mancanza di fondi, ma alla scarsa competenza tecnologica della gestione a cura della Sovrintendenza. Sarebbe logico affidare la conservazione degli edifici a società private di edilizia tecnologica, lasciando alla Sovrintendenza la parte culturale della gestione. Ma è ovvio che una proposta di questo genere in Italia non passerà mai perché vi si oppone l’establishment culturale di cui la sinistra ex comunista ha avuto ed ha il monopolio. Comunque, per quanto importanti questi due problemi non hanno a che fare con il rischio del  debito pubblico italiano, le cui aste si sono concluse felicemente anche ieri, con un lieve aumento dei tassi, ma anche con un eccesso della domanda che era di 9 miliardi sull’offerta di 7.  

Tuttavia rimane la terza questione, quella del basso tasso di crescita dell’economia italiana. Come attesta anche il rapporto della Commissione europea, l’economia italiana è trainata dalla domanda estera. Le imprese italiane sono competitive nell’export sui mercati internazionali. Ciò significa che il dato sulla bassa crescita della produttività è una media fra diverse realtà e che il processo di ristrutturazione della nostra economia è in atto dopo gli anni difficili immediatamente susseguenti all’entrata nell’euro zona. Ma questo non basta. La produttività media è inadeguata. Occorre però osservare che una parte rilevante del problema si riferisce alla produttività del lavoro. E a questo riguardo è fondamentale la contrattazione del lavoro a livello aziendale basata sulla produttività, con la deroga ai contratti nazionali. Vi si  oppone la CGIL mentre questo governo la incentiva con la riduzione fiscale per il salario di produttività. Questa politica, però, non basta, per la sfida della crescita del Pil.

Occorrono anche la riduzione delle imposte sui profitti delle imprese, il rilancio delle infrastrutture, iniziative di elevato sviluppo tecnologico come la banda larga, il programma nucleare, lo sviluppo ulteriore delle imprese di grandi e medio grandi dimensioni tramite una politica di commesse di medio e lungo termine nazionali e internazionali. Ma per fare ciò occorre la continuità dell’azione di governo. E non si può certo affidare la soluzione a governi di emergenza o tecnici o con altre formule confuse. Frattanto rimane vero che una crisi politica al buio innescherebbe una situazione pericolosa per il debito pubblico.

I segnali costituiti dai due articoli del FAZ e del WSJ sono eloquenti. Né si può liquidare il secondo argomentando che il WSJ è di proprietà di Murdoch che con SKY è rivale di Mediaset ed ha bisogno di appoggi politici che gli potrebbero servire per un ampliamento degli accordi con la Rai. Infatti mettendo insieme questi articoli e le fughe di notizie di Wikileaks che riguardano l’immagine internazionale dell’Italia, con le intense campagne mediatiche rivolte a sostenere che c’è un pericolo per il debito pubblico spagnolo, ci si rende conto che ciò che è in atto è qualcosa di più vasto. Si tratta di una guerra finanziaria del dollaro all’euro tramite la crisi del debito di paesi membri di grandi dimensioni come la Spagna e poi l’Italia.

E’ estremamente improbabile che l’obbiettivo sia quello di far crollare l’euro e di far tornare gli stati membri dell’Unione monetaria europea alle loro valute nazionali, perché ciò darebbe luogo a una crisi bancaria sistemica che travolgerebbe anche i soggetti finanziari che stanno facendo con una azione concertata, queste operazioni su valute. Lo scopo è quello di mantenere la predominanza del dollaro, come moneta di riserva, nonostante che la Federal Reserve stia stampando due o trecento miliardi di dollari che immette sul mercato in cambio di debito pubblico del governo federale. Il tasso sui prestiti della Fed, ma anche su quelli della banca del Giappone, la Boj sono così bassi che non è molto costoso effettuare operazioni al ribasso sul debito pubblico di stati membri dell’euro zona, per i quali ci sono possibili avvisaglie di crisi e, così,  provocare anche il ribasso dell’euro in cui questi titoli sono espressi.

Ieri il Commissario per gli Affari economici e monetari, Olli Rehn ha dichiarato che il piano italiano di riduzione del deficit al 2,7 per cento nel 2012 e al 4 nel 2011 è valido nella sua impostazione e nel suo obbiettivo, ma che secondo le stime della Commissione europea in realtà le misure prese potrebbero portare  nel 2012 a un deficit del 3,5%, non del 2,7%. La differenza di 0,8  punti dipenderebbe per metà dalla rettifica del tasso di crescita del Pil dallo 1,3 allo 1,1 nel 2010, e da un analogo ritocco per il 2011 e per metà da dubbi sulla entità dei recuperi di evasione, che paiono basarsi su un programma molto ambizioso.

Si può dunque rendere necessaria una manovra correttiva di 0,8  punti da attuare all’inizio del 2011. Rehn ha aggiunto che sono in corso le valutazioni per verificare se sia valida la stima pessimistica della Commissione europea o quella del nostro Ministero dell’economia. Ma è chiaro che il nostro governo deve impegnarsi quanto prima ad una manovra aggiuntiva eventuale e che una crisi politica lo impedirebbe.

Ne consegue che non è il momento di fare giochi politici di vecchio parlamentarismo. Chi li farà per ambizione di potere, rischia di fare l’apprendista stregone. E a rimetterci sarebbe soprattutto l’Italia. Già abbiamo cominciato a pagare tramite l’aumento dei tassi sui Bot dovuto alla instabilità della maggioranza di governo…