Dietro i baci e gli abbracci Fini ha ribadito la sua autonomia dal Cav.

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Dietro i baci e gli abbracci Fini ha ribadito la sua autonomia dal Cav.

31 Marzo 2009

L’intervento di Gianfranco Fini al Congresso di fondazione del PdL ha catalizzato l’attenzione dell’opinione pubblica, interessata a capire in che modo si sarebbero assestati i rapporti fra i due principali leader del centro destra ad unificazione avvenuta. L’andamento degli ultimi mesi sollevava qualche legittima preoccupazione circa la possibilità che Fini avesse deciso, mutatis mutandis, di reinterpretare il ruolo di agente guastatore che fu di Pierferdinando Casini nella XIV legislatura. Il discorso pronunciato da Fini alla Nuova Fiera di Roma ha in larga misura rasserenato il clima e il congresso si è concluso con grandi baci ed abbracci. Se però si esamina con attenzione il suo intervento, si nota come Fini abbia cercato di rimarcare con molta lucidità una sua autonomia politica, differenziandosi dal proprio partito e da Berlusconi in particolare su alcuni temi di grande delicatezza.

Il primo nodo di questa strategia è naturalmente il distinguo operato da Fini in materia di testamento biologico, relativamente al quale ha chiaramente enunciato il proprio dissenso dal testo licenziato dal Senato, pur riconoscendo che la sua è una posizione di minoranza all’interno del partito. Posta in questi termini la posizione di Fini non può destare scandalo. Il tema delle dichiarazioni di fine vita è talmente delicato e presenta tali sfaccettature da rendere non solo legittimo ma, entro certi limiti, anche opportuno che in un grande partito come il nascente PdL vi siano sensibilità e punti di vista differenti. Semmai sarebbe stato preferibile che Fini, nell’esprimere il proprio punto di vista, avesse evitato quel riferimento allo Stato etico che appare decisamente fuori luogo. Scagliare anatemi contro chi, nel medesimo partito, la pensa diversamente, non è certamente il miglior modo per favorire quel clima aperto e dialettico che dovrebbe caratterizzare il confronto politico su temi eticamente sensibili.

Il secondo punto sul quale Fini ha tenuto a rimarcare una posizione autonoma è quello dell’immigrazione. In questo caso egli coglie un’esigenza giusta: troppo spesso negli ultimi mesi il PdL sui temi dell’immigrazione è apparso privo di una propria coerente visione. Troppo spesso è sembrato recessivo rispetto alle iniziative un po’ demagogiche dell’alleato leghista (vedi il caso della denuncia medica dei clandestini, dell’accesso al servizio scolastico dei figli degli immigrati, del reato di immigrazione clandestina). Un grande partito liberale e conservatore deve obbligatoriamente dotarsi di una strategia lungimirante in materia di immigrazione, fenomeno che se opportunamente regolato rappresenta non una minaccia ma una risorsa. Anche qui però è sembrato che Fini abbia voluto fare il primo della classe, inserendo nel suo discorso un’espressa rivendicazione al tema dell’acquisto della cittadinanza che a nostro avviso non ha nulla a che vedere con il tema dell’immigrazione. A meno di non voler pensare di risolvere il problema delle centinaia di migliaia di diseredati che approdano in Italia concedendo loro direttamente la cittadinanza. Il problema è semmai quello di ripensare la legge Bossi – Fini (si porta proprio il suo nome) che ha adottato un approccio quantitativo al fenomeno che si è rivelato fallimentare. Occorre superare il sistema delle quote per concentrarsi sui profili qualitativi della presenza degli immigrati sul nostro territorio. Solo in tal modo sarà possibile distinguere veramente fra immigrazione regolare ed immigrazione clandestina e quindi essere molto severi con la seconda.

L’ultimo punto sul quale i distinguo di Fini non ci hanno convinto riguarda la materia istituzionale. In proposito, il Presidente della Camera ha svolto alte ed ampie considerazioni sulla necessità di consentire al calabrone ed alla crisalide italica di trasformarsi finalmente in farfalla. E così ha riproposto il tema della riforma in senso presidenzialista della nostra repubblica. Tutto bene. Senonché Fini incidentalmente ha affrontato la questione dei regolamenti parlamentari, per dire che si tratta solo di un anello del più ampio disegno di riforma e che come tale deve essere affrontato insieme a questo. La tesi, ancorché suggestiva, non regge. Non regge per ragioni sistemiche. I regolamenti parlamentari richiedono un’urgente revisione, che adegui il funzionamento del nostro Parlamento al mutato quadro politico istituzionale a prescindere da una organica riscrittura della Costituzione. E tale revisione è tanto più urgente a Costituzione invariata. Ma non regge anche per ragioni politiche. Legare a doppio filo riforma dei regolamenti e riforma della Costituzione in realtà altro non è se non rimandare sine die qualunque intervento di riforma del sistema. In tal modo si finisce per accettare passivamente il potere di veto della parte più oltranzista dell’opposizione che rifiuta il tema della riforma regolamentare ponendo proprio la pregiudiziale costituzionale.

L’impressione, in tutti e tre i casi, è che Fini più che cercare consenso interno al partito ed all’elettorato di centro destra stia cercando di mandare messaggi all’opposizione. Si tratta solo di labili indizi. Ma – se è vero che tre indizi fanno una prova – sorge spontaneo il dubbio: avranno un qualche fondamento le voci dei maligni che, in un futuro non troppo lontano, davano Fini leader del centro sinistra?