Dietro l’aria grigia di Ahamadinejad c’è la scaltrezza del lupo

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Dietro l’aria grigia di Ahamadinejad c’è la scaltrezza del lupo

16 Agosto 2010

Raramente la biografia di un leader corrisponde in modo così totale e quasi plastico alle caratteristiche della sua base sociale, come nel caso di Mohammed Ahmadinejad. Visto con occhi occidentali, il presidente iraniano appare scialbo e modesto come il suo modo di vestire provincialotto e quando lo si sente parlare, la sua voce pare cadenzare una nenia di noiosissimo stile. Ma non è così.

Ahamadinejad ha dimostrato due doti straordinarie –purtroppo – che fanno di lui uno dei più interessanti – oltre che pericolosi e detestabili – leader dei nostri tempi. Innanzitutto, l’oratoria: Ahmadinejad sa parlare “alla pancia” della grande umma musulmana, sa muovere i sentimenti più basilari e ferini non solo tra gli sciiti iraniani – quelli che lo seguono, e non sono pochi- ma anche tra gli arabi e i sunniti, fenomeno rarissimo, dati gli odi e i pregiudizi millenari che segnano i rapporti tesissimi tra arabi e iraniani e tra sciiti e sunniti.

Chi segue da decenni le vicende iraniane lo comprese con orrore il 20 ottobre del 2006, ad un anno dalla sua elezione, col congresso che lui organizzò “A world without Zionism”, in cui per la prima volta lanciò la parola d’ordine della “scomparsa di Israele dalla faccia della terra”. Quel giorno coincideva con la “giornata di al Qods”, il giorno dedicato a Gerusalemme che l’ayatollah Khomeini aveva indetto sin dal 1979 per ricordare alla umma dei credenti la necessità di eliminare l’occupazione della Città Santa da parte di Israele. Ebbene, per ben 9 anni, sino alla sua morte, il vecchio ayatollah, ogni volta che si celebrava quella ricorrenza, aveva invocato la distruzione di Israele e così aveva fatto, citando le sue parole, anno per anno, per ben 18 anni, il suo successore quale Rahbar, Guida della Rivoluzione, l’ayatollah Ali Khamenei. Ma nessuno se ne era accorto nel mondo.

Quando però quella giornata è stata celebrata per la prima volta da Ahmadinejad, questo ometto scialbo dai vestiti lisi è riuscito a infiammare l’Iran e il mondo musulmano. Alla indignazione, allo scandalo dell’Europa, degli Usa e dell’Occidente per la palese minaccia di una nuova Shoà, all’orrore per la negazione che Ahamdinejad provocatoriamente urlava sulla verità storica della Shoà stessa (“ennesimo trucco degli ebrei per farsi risarcire occupando la terra degli arabi e dei musulmani in Palestina”), ha corrisposto infatti un corale entusiasmo, in Iran e in tutto il mondo musulmano. Ahmadinejad, dunque, padroneggia una oratoria che muove gli animi e ne ha dato prova –di nuovo, purtroppo- anche nell’ultimo anno, quando è riuscito a motivare e mobilitare il “suo” popolo contro l’Onda Verde. Un “popolo”, una sua base sociale di riferimento che non è certo maggioritaria, che non è certo forte dei 24 milioni di voti che, con i brogli, è riuscito ad accreditarsi ufficialmente, ma che sicuramente è forte di ben più di dieci milioni di iraniani.

Ahamdinejad ha poi saputo dimostrare un’altra dote straordinaria, ancora più notevole perché apparentemente estranea al suo personaggio: ha costruito una rete di accordi internazionali e di alleanze quale mai l’Iran khomeinista aveva avuto. Un network formidabile che corrisponde ad una intuizione politica di grande spessore –e per la terza volta dobbiamo dire: purtroppo- basata su una comune piattaforma populista. Raccordandosi innanzitutto con il dittatore venezuelano Hugo Chavez (leader di un paese rilevante per la sua produzione petrolifera) e col suo omologo boliviano Evo Morales, Ahmadinejad ha cpstruito una sorta di “internazionale populista” che lo stesso Chavez ha subito accreditato presso la Cuba di Fidel Castro.

Il vecchio leader cubano ha naturalmente compreso la grande rilevanza di questo nuovo asse e l’ha subito rafforzato sul piano diplomatico accreditandolo col suo indiscusso prestigio presso il Movimento dei Non Allineati. Una organizzazione che tutti ritenevamo obsoleta dopo la caduta dell’Urss e che invece ha ritrovato nuova lena schierandosi dietro una nuova battaglia contro “l’egemonia dell’imperialismo americano” guidata da un Iran che oltre ad essere una grande potenza petrolifera (decine sono gli accordi di forniture energetiche siglati dall’Iran con i Non Allineati) brilla per il suo avventuristico disegno di dotarsi di una bomba atomica. Grazie a questo nuovo network internazionale, Ahmadinejad è riuscito così non solo a infrangere il tradizionale isolamento internazionale in cui il suo paese si dibatteva dopo il 1979, ma anche a disporre di quasi tutti i 108 voti di cui dispone il Movimento dei Non Allineati in sede Onu

 Naturalmente, queste due doti sono frutto della esperienza che Ahmadinejad ha ricavato da una vita apparentemente sottotraccia, me che l’ha messo in contatto da una parte con la piena realtà della vita e dei problemi dei “mustafazin”, i diseredati, termine iraniano che indica con maggiore proprietà quelli che un tempo in occidente si chiamavano   “proletari”, che costituiscono la sua consistente base popolare di consenso, poi con le sofferenze belliche dei pasdaran e bassiji che combatterono la lunga guerra contro l’Iraq tra il 1980 e il 1988 e infine con le trame internazionali delle attività “coperte” degli stessi pasdaran. Wikipedia ci fornisce un efficace prospetto anagrafico di Ahmadinejād che è nato il 28 ottobre 1956 nel villaggio di Aradan, in provincia di Garmsar, nella regione di Semnan, quartogenito di sette figli. Il suo nome originario era Mahmud Saborjhiān o Mahmud Sabaghiān. Si è trasferito con la famiglia a Teheran quando aveva un anno.

Il padre, di nome Ahmad, era stato barbiere, fruttivendolo e fabbro. Insegnò a Mahmud fin da piccolo il Corano e lo educò alla fede sciita. Il padre cambiò cognome alla famiglia all’atto di trasferirsi dalla campagna a Teheran, per evitare discriminazioni, in quanto tale cognome è tipico del mondo contadino. Il cognome scelto, Ahmadinejād, significa "della stirpe di Ahmad" che è anche uno dei nomi di Maometto. Sua madre, Khanom, godeva del titolo onorifico di "Seyyede", attribuito a coloro che sono ritenuti, in seno allo sciismo, i discendenti di sangue del profeta Maometto.

Nel 1976 Mohammed partecipa al concorso dell’università nazionale dell’Iran: viene classificato 132° su 400.000 partecipanti e, pertanto, viene ammesso alla facoltà di Ingegneria civile dell’Università Iraniana della Scienze e delle Tecniche. Iscritto alla laurea di secondo livello (Master of Science secondo la classificazione anglosassone) nel 1986 presso la sua università, si è iscritto al dottorato in ingegneria civile e pianificazione dei trasporti pubblici nel 1989, che ha conseguito nel 1997. Ha lavorato anche come insegnante d’ingegneria, prima di dedicarsi esclusivamente alla carriera politica. Attualmente è sposato con 3 figli, due maschi e una femmina.

Ma quella che più conta è la sua carriera politica che inizia nel 1979 e che lo vede durante gli anni ’80 intensamente impegnato nelle attività belliche, e soprattutto nelle operazioni di Intelligence e nelle missioni segrete internazionali dei pasdaran. Membro della “Brigata al Qods”, il corpo di èlite che si occupa tuttora delle missioni internazionali (terrorismo incluso), Ahmadinejad ricopre ruoli e svolge attività su cui possediamo solo alcuni indizi (alcuni lo accusano di avere partecipato direttamente a omicidi politici di oppositori); sappiamo. solo con certezza che è stato  ufficiale nella guarnigione di Ramażan, stazionata in prossimità di Kermanshah, che aveva il compito di svolgere “azioni extraterritoriali”.

Quello che è certo sul piano politico è che Ahmadinejad incarna oggi in pieno, sotto tutti i profili, i progetti, le aspirazioni, le idee di quella intera generazione di iraniani che si impegnarono allo spasimo tra il 1982 e il 1988 nel tentativo di concretizzare la consegna di Khomeini: “Esportare la rivoluzione iraniana in tutta la umma musulmana passando per Baghdad”. Oggi pochi lo ricordano, ma nel 1982, l’Iran era riuscito – incredibilmente – a vincere sul terreno il tentativo di invasione di Saddam Hussein che –vista la mala parata- era più che disposto a firmare un cessate il fuoco – già approntato e discusso con l’Onu – che ripristinava lo status quo territoriale del 1979.

Ma Khomeini rifiutò la prospettiva di pace e decise che tutti gli sforzi dovevano essere impiegati per continuare una guerra che da difensiva si trasformò in offensiva, con lo scopo dichiarato di abbattere il regime di Saddam Hussein e esportare nell’Iraq maggioritariamente sciita la sua rivoluzione. In quello sforzo immane morirono inutilmente centinaia di migliaia di iraniani (e di iracheni) e solo alla fine della sua vita, Khomeini dovette prendere atto del fallimento del tentativo, chiudendo la guerra “con la morte nel cuore”, come disse e accettando quella stessa pace che aveva rifiutato nel 1982.

Bene, Ahmadinejad, con le sue doti, con la sua biografia, è riuscito nel 2005 a diventare il rappresentante pieno –e capace- di quella generazione di iraniani. E’ infatti il portavoce, il punto di riferimento dei pasdaran e dei bassiji, è il leader che garantisce loro la gestione del governo secondo la loro ideologia, che è quella khomeinista del martirio (Ahmadinejad sostiene che “il martirio è il nostro riferimento anche per risolvere i problemi economici”) per riproporre –questa volta armati della deterrenza della bomba atomica- esattamente la stessa strategia di allora: esportare la rivoluzione islamica.

La sua doppia elezione, la forza del suo blocco di potere costituito dall’alleanza tra pasdaran e “clero combattente” (non con gli ayatollah, soprattutto con i Grandi ayatollah, che mal lo sopportano, si badi bene, ma con i religiosi “militanti” e oltranzisti), fatte le debite proporzioni, per dare un idea, hanno lo stesso significato che avrebbe avuto la vittoria della Banda dei Quattro e delle Guardie Rosse in Cina alla morte di Mao nel 1976, o quella di Leon Trotsky e della sua Armata Rossa su Stalin alla morte di Lenin nell’Unione Sovietica. Il tutto, lo ripetiamo, con la forza di chi non solo rappresenta un blocco di potere potente e temibile come quello dell’alleanza tra pasdaran e “clero combattente”, ma che anche mantiene un ampio, anche se minoritario, consenso popolare.

 

Questo è il personaggio, questa la sua forza che ci presentano oggi, nel 2010, un problema non dissimile da quello che si presentò nel 1933 e negli anni successivi in Germania, quando il nazismo riuscì ad imporsi non solo con la forza e il terrore, ma anche con la capacità di un altri piccolo uomo, apparentemente scialbo, che sapeva infiammare le masse e carpirne il consenso, anche per le azioni più efferate. Soprattutto perché siamo costretti oggi a prendere atto che nonostante la grande forza d’urto dell’opposizione dell’Onda Verde, il regime che Ahmadinejad rappresenta continua a tenere, riuscendo per di più ad armare l’una contro l’altro i due blocchi sociali contrapposti dei riformatori e dei rivoluzionari.