Difesa liberale di Roberto Lassini e dei suoi (orribili) manifesti
20 Aprile 2011
Roberto Lassini ha mollato. Ha fatto il suo passo indietro e si è ritirato dalla competizione elettorale milanese. Ma il caso dei manifesti di Roberto Lassini su cui, al solito, è montato un gran polverone, vale la pena fare una riflessione. In premessa, sia chiara una cosa: quei manifesti non ci piacciono affatto. Non ci piacciono perché altro non sono che un insulto violento e gratuito. Perché rappresentano l’ennesimo episodio di quel processo di imbarbarimento della politica che da quasi vent’anni avvelena il Paese (naturalmente rimane da stabilire chi abbia avuto la responsabilità storica di avviare il processo). Perché sono abbastanza stupidi. Perché sono del tutto controindicati alla vigilia di una tornata elettorale delicatissima, nella quale proprio dall’esito del voto di Milano dipenderà buona parte della "cifra politica" di queste elezioni. E, da ultimo, non ci piacciono anche perché sono veramente brutti (dal punto di vista estetico).
Ma fatta questa premessa, ci pare che le reazioni abbiano oltrepassato il segno. Passi per il doveroso sdegno del Presidente della Repubblica. Passi per le reazioni di condanna da parte di tutte le forze politiche (PdL compreso). Passi per l’imbarazzo del Sindaco Moratti e financo per la sua perentoria richiesta di rinuncia alla candidatura. Ma, francamente, qui ci pare si stia esagerando. Da ultima ci si è messa anche la Procura della Repubblica di Milano che tempestivamente avviato un procedimento penale a carico di Lassini per l’ipotesi di reato di vilipendio delle Istituzioni, di cui all’articolo 290 del codice penale. E si sta esagerando per la semplice ragione che lo slogan del manifesto di Lassini in realtà altro non è se non la traduzione maldestra e (molto) provocatoria di un ragionamento che ormai da diversi anni viene portato avanti da molti e molto più autorevoli protagonisti del dibattito politico.
Lo slogan “Fuori le BR dalle procure” in realtà vuole essenzialmente significare che attualmente all’interno delle procure vi sono dei gruppi di magistrati che perseguono, attraverso l’utilizzo dei poteri loro conferiti dalla legge, disegni di sovvertimento dell’ordine democratico. Vuol dire che se Berlusconi è l’uomo politico più indagato, più avvisato, più intercettato, più rinviato a giudizio, e meno condannato della storia d’Italia (e forse del mondo), questo è dovuto non alla particolare propensione a delinquere del Cavaliere, ma all’uso strumentale dell’azione giudiziaria e dei poteri inquirenti. E, conclude il Lassini pensiero, questo stato di cose deve cessare.
Beninteso si tratta solo di un’opinione. Un’opinione come un’altra, dalla quale si può a ben diritto dissentire. Ma certo si tratta di un’opinione condivisa non solo da una buona fetta della nostra classe politica (ad occhio e croce poco più della metà) ed da un altrettanto buona fetta dell’elettorato (ad occhio e croce poco più della metà). Ma è allora legittimo imbandire un processo nella pubblica piazza al povero Roberto Lassini che certo, da ex sindaco democristiano del Comune di Turbigno, non sembra certo avere le fisique du role del pericoloso sovversivo? La sua durezza verso una parte della magistratura non è comprensi bile alla luce dei due mesi di carcerazione preventiva scontata in passato per un accusa poi rivelatasi infondata?
La verità è che quello che viene contestato aLassini non è né più né meno che un classico reato di opinione. E la cultura democratica e progressista non ha per decenni richiesto a gran voce l’eliminazione dei reati di opinione ancora presenti nel nostro codice, retaggio dell’opera di Alfredo Rocco, ministro guardasigilli durante il fascismo? E la Procura di Milano non ha pensieri più urgenti cui applicarsi piuttosto che dedicarsi alla goliardata politica di Lassini, al cui procedimento ha financo pensato di applicare tre sostituti di peso come Armando Spataro, Ferdinando Pomarici e Grazia Spatella?
Non c’è bisogno di scomodare Voltaire, ed il motto a lui attribuito “disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo”, né occorre invocare il fondamentale articolo 21 della Costituzione, al quale è stato da ultimo anche intitolata una vivacissima associazione politica della sinistra, sempre in prima linea nel difendere il diritto alla libera manifestazione del pensiero (chiaramente minacciata da Berlusconi). E’ chiaro a tutti che il terreno è scivoloso.
Basti pensare alle recenti e reiterate (da ultimo su Il manifesto di oggi) uscite del brillante maître à penser, Alberto Asor Rosa, che, ormai rassegnato all’impossibilità di battere il nemico Berlusconi per via democratica (anche se, per amore della verità, il Cav. – nonostante il suo regime teocratico-affaristico-plebiscitario – è stato battuto alle elezioni per ben due volte nelle ultime cinque tornate), è arrivato a chiedere a gran voce l’intervento dei Carabinieri e della Polizia di Stato per sospendere la legalità costituzionale per fondare un nuovo ordine democratico.
A voler essere pignoli le dichiarazioni del più noto palindromo vivente integrano la fattispecie di due o tre reati, tutti decisamente più gravi del vilipendio dell’ordine giudiziario: istigazione di militari a disobbedire le leggi (articolo 266 CP, reclusione fino a 5 anni), istigazione a commettere uno dei delitti contro la personalità dello Stato (art 302 CP, reclusione sino a 8 anni), istigazione a delinquere (articolo 414 CP, reclusione fino 5 anni)
Ed allora, se mai un giorno un tribunale della Repubblica dovesse ritenere Lassini colpevole di vilipendio dell’ordine giudiziario e condannarlo al massimo della pena (5000 euro di ammenda), a quanti anni di reclusione dovrà essere condannato il povero Alberto Asor Rosa per aver semplicemente dato libero sfogo alle sue elucubrazioni, notturne e democraticamente corrette? E sia chiaro in quel caso non varrà invocare le attenuanti per il rincoglionimento senile o per il grave stato di turbamento psichico derivante da decenni di frustrazione tardo-marxista!