Dimmi chi mangi e ti dirò chi sei

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Dimmi chi mangi e ti dirò chi sei

Dimmi chi mangi e ti dirò chi sei

17 Febbraio 2008

Peter Singer e Jim
Mason hanno scritto Come mangiamo. Le
conseguenze etiche delle nostre scelte alimentari
(Milano, Il Saggiatore,
2007). Singer è il famoso animalista che, con il celebre Liberazione animale del 1975, ha sollevato e discusso le questioni
centrali che riguardano il comportamento da tenere nei confronti degli esseri
animati non-umani, gli animali. In quest’ultima ricerca però Singer, insieme a
Mason, non insiste tanto su questo punto, che dà ormai per assodato, e che in
effetti si è conquistato tanto spazio nelle scelte di molte persone passate al
vegetarianismo e nella consapevolezza generale: mette l’accento, invece, sui
modi davvero barbari con i quali prepariamo, alleviamo, macelliamo, i capi di
bestiame che poi arrivano sulle nostre tavole.

E’ un vero e
proprio catalogo degli orrori quello che si può leggere: vitelli denutriti per
causare l’anemia che dà il colore chiaro alle loro carni, manzi, mucche, suini
tenuti in recinti così stretti da non dar loro la possibilità di muoversi,
distendersi, girarsi per tutta la vita, galline beccate a morte dalle altre
galline a causa della noia e della mancanza di spazio  senza poter scappare o spostarsi, mangimi
artificiali assurdi (mangimi animali o cereali dati a erbivori), mangimi
contenenti massicce dosi di antibiotici o di ormoni in modo da evitare
infezioni inevitabili in esseri sottoposti a questo regime vitale o da farli
%0Aingrassare velocemente. Insomma, di questi appartenenti al regno della natura
tutto si può dire fuorché che vivano in modo naturale: e il responsabile è
l’essere umano che li alleva per cibarsene.

Possiamo, di fronte
a tutto questo, chiederci come mai. Perché l’uomo si comporta in questo modo?
Perché non solo si nutre di esseri animati secondo un retaggio della caccia e
della pesca che lo tenevano in vita in un passato molto lontanto, ma lo fa
anche in modo così contrario ai principi che normalmente egli applica in ogni
altro settore del suo comportamento? Per coloro che appartengono alla
tradizione cristiana è opportuno ricordare che Dio nei libri sacri fa l’uomo
“signore e padrone” del creato e stabilisce in questo modo una gerarchia fra la
natura e i suoi abitanti da un lato e l’uomo dall’altro, sancendo in questo
modo il suo diritto di vita e di morte sugli animali come su tutto il  creato. L’ideologia del dominio è un’idea
possente che accompagna tutto lo sviluppo della scienza e della tecnica moderne
e che fa definire “faustiano” l’uomo che ne è protagonista: il sogno di
forgiare a seconda dei propri bisogni tutto il creato nasce proprio nelle
origini cristiane della stessa civiltà che ha permesso la nascita della scienza
e della tecnica quali oggi le conosciamo. Una delle interpretazioni più
letterali  dell’antropocentrismo, tanto
criticato da Nietzsche in avanti, risiede in questo atteggiamento nei confronti
del mondo animato e inanimato.

Una volta che ci si
renda conto del modo in cui vengono imposti nelle grandi catene di vendita
prezzi più bassi che altrove, una volta che si sia divenuti consapevoli di ciò
che infliggiamo agli animali (lasciamo a un altro episodio le piante, le acque,
il suolo, l’aria), che cosa possiamo fare? In quanto esseri dotati di libero
arbitrio che tuttavia non possono plasmare a loro piacimento il mercato,
abbiamo un ventaglio non enorme ma variegato di possibilità fra le quali
scegliere. Singer e Mason descrivono tre scelte che corrispondono a tre
alternative di etica animalista e alimentare, e ce le mostrano incarnate in tre
diverse famiglie. La prima è la famiglia che incarna la dieta americana
standard: acquisti nei supermercati meno cari, molta carne, molti grassi di
ogni tipo, molti carboidrati, totale noncuranza per il modo in cui quei cibi
vengono prodotti. La seconda è la famiglia degli “onnivori coscienziosi”:
mangiano tutto ma cercano di acquistare cibi curati provenienti da fonti sicure
e se possibile biologici. Gli autori vanno a vedere che cosa c’è dietro le
etichette: provenienze, risparmi, modi di allevare e uccidere, mangimi. La
conclusione è che non sempre al marchio “bio” corrisponde un’etica animalista,
ma che quasi sempre il costo maggiore corrisponde a una maggiore cura nel far
vivere meglio e nel non far soffrire gli animali. La terza è la famiglia
vegana: i vegani non si nutrono con alcun cibo di derivazione animale. Questa è
l’unica famiglia che compia scelte davvero morali e rispettose. Ma, dal momento
che gli autori non vogliono scoraggiare il lettore, sostengono che la seconda
va già molto bene e che è più importante segnalare non l’adesione al miglior
modo di mangiare ma il distacco dal modo di mangiare industriale.

 La morale del libro
è semplice ma onerosa per ognuno di noi: le grandi scelte dipendono dalle
nostre piccole scelte. E mutando atteggiamento si compie non qualcosa di
eticamente buono che ci fa apparire migliori a noi stessi, ma si contribuisce a
cambiamenti talvolta enormi. Mi sono sempre chiesta le ragioni per le quali un
atteggiamento di questo genere è pressoché sconosciuto nel nostro Paese, e
credo che una parte di rilievo la svolga la concezione del bene pubblico che ci
appartiene, senza trascurare la parte svolta dal protestantesimo nella
responsabilizzazione del singolo.

Sarebbe bello se di
problemi come questi si riuscisse a parlare senza fondamentalismi e senza
preclusioni. Ad esempio, sarebbe interessante che qualche economista o qualche
agronomo confermasse ciò che il libro sostiene: che sarebbe molto più
produttiva la coltivazione di tutte quelle terre attualmente utilizzate come
pascolo, e che tale riconversione sarebbe tale da risolvere (più o meno) il
problema della fame nel mondo diminuendo al contempo molte malattie da opulenza
nonché (in parte) il riscaldamento del pianeta.

Sì, sarebbe bello
che sui maggiori (e minori) problemi gli esperti riuscissero a parlare non dico
senza punti di vista propri ma quantomeno senza pregiudizi. Sappiamo tuttavia
fin troppo bene che, quando le questioni sono importanti, a nulla vale
appellarsi a esperti al di sopra delle parti. Resta da capire che cosa può fare
la politica di fronte a tutto questo e che cosa possono fare i
cittadini-consumatori, una volta riconosciute le loro possibilità ma anche i
loro limiti e dunque la reponsabilità che risiede in loro. Intanto, sarebbe
auspicabile che chi discute di questi temi non demonizzasse il mercato come se
tutto ciò che entra in contatto con esso divenisse corrotto. Attualmente non
siamo in grado di scegliere se utilizzare o meno il mercato (e infatti Singer e
Mason non pongono l’alternativa fra mercato e non-mercato): piuttosto si può –
questo sì – operare delle scelte fra ciò che esso offre oppure, in mancanza di
scelte opportune, porre delle richieste. E’ questo l’atteggiamento della
famiglia 2 e 3, e una frase che un membro di una delle due dice esprime bene il
circolo virtuoso che in questo modo si può creare: “Le cose miglioreranno. E’
una sorta di circolo. Se i consumatori diventano coscienti, la domanda cresce e
si creano nuovi mercati. In questo modo l’interesse dell’azienda aumenta così
come il desiderio di investire in prodotti alternativi, e ai consumatori si
danno maggiori possibilità di scelta. E sempre più società investono e saltano
sul carro. Piano piano la scelta consapevole degli alimenti cresce e i prezzi
scendono.” Allo stesso modo, è necessario riconoscere che chi produce biologico
non è affatto un benefattore dell’umanità: è pur sempre un produttore che deve
ricavare un profitto pena il fallimento, un produttore la cui unica possibilità
di scambio – a meno di non resuscitare il baratto o di passare al dono – è il
mercato.

Sul tema
dell’atteggiamento verso gli animali come su altri, il mercato evoca
automaticamente il male, con svantaggio – possiamo dirlo – universale.