Dipendenza dallo Stato e dalla politica: ecco il limite degli italiani
26 Novembre 2010
L’Istituto Acton è un think tank cattolico conservatore americano dedicato al grande filosofo e storico liberale John Acton (1834-1902). Sua era la frase “Il potere assoluto corrompe in modo assoluto”. Sua è la difesa di un sistema di libero mercato su basi morali e religiose, più ancora che economiche e politiche. Nel secolo appena concluso, però, sia la religione che la “morale civile” sono andate quasi sempre a braccetto con il collettivismo, contro “l’avidità” del capitalismo. L’Istituto Acton risponde in termini morali. Religiosi e morali, come il suo ispiratore del XIX Secolo. Non opera solo negli Stati Uniti, ma anche nel nostro Paese. A Roma, per essere precisi.
“Roma è un avamposto fondamentale per la nostra opera” – spiega Kishore Jayabalan, direttore dell’Istituto Acton – “Centinaia di giovani da tutto il mondo vengono qui a studiare. Molti di essi sono seminaristi e studenti di teologia, pronti a tornare nei loro Paesi per insegnare a loro volta ad altri seminaristi. E a ricoprire un ruolo di pastori nelle comunità di origine. Il nostro compito è soprattutto quello di far capire loro meglio le dinamiche dell’economia di mercato. Stiamo parlando di persone che, normalmente, studiano filosofia e teologia. Ma con lo scoppio della crisi economica del 2008, l’interesse per l’economia è cresciuto esponenzialmente, se non altro per capire cosa stia succedendo. Se vogliono veramente predicare il Vangelo devono conoscere i problemi che angosciano tutti, in tutto il mondo”.
Eppure c’è gente, come Michael Moore, che ritiene che il capitalismo sia un peccato mortale. E lo dice da cattolico. In Italia sono molti a pensarla così.
Io sono cresciuto nella stessa città di Michael Moore, Flint, nel Michigan. Da giovane, prima ancora di diventare giornalista e poi regista, teneva un programma radiofonico, “Radio Free Flint”. E’ assurdo che faccia un film incentrato su una condanna cristiana del capitalismo. Moore non si è mai interessato alla morale. Ci sono, ovviamente, molti altri religiosi, più seri e sensibili di Moore, che criticano il libero mercato. Sul piano spirituale, attaccano l’avidità e il consumismo, che vedono come una forma estrema del materialismo. Prendono ad esempio le mode passeggere, come l’i-Pad, per dimostrare che il consumismo genera dei nuovi bisogni e ti “impone” di soddisfarli. Ma costoro trascurano i bisogni reali che il mercato soddisfa: nuovi posti di lavoro per i più poveri, per esempio. Quando parla di economia, troppo spesso, come ha sottolineato l’economista Henry Hazlitt nel suo “Economics in One Lesson”, si tende a non vedere l’effetto di lungo periodo e a concentrarsi sull’immediato. L’economia dovrebbe essere uno studio di conseguenze di lungo periodo. E degli effetti benefici prodotti dall’allocazione razionale delle risorse nelle mani delle persone più produttive. I religiosi dovrebbero essere i più adatti a comprendere le conseguenze di lungo termine, se non altro perché sono abituati a pensare a una vita eterna.
Abbiamo visto che le elezioni di Medio Termine in America hanno dato la vittoria al partito più favorevole al libero mercato. Come ha influito la religione?
La religione non era l’argomento principale di queste elezioni. Sicuramente al centro del pensiero degli elettori c’era l’economia. Oltre alla perplessità suscitata da politiche di Obama, come la riforma della sanità e la legislazione ecologista del “cap and trade” (compravendita di quote di emissioni di Co2, ndr). L’opposizione si è consolidata su forti considerazioni morali, come il fatto che lo Stato non possa permettersi di spendere più di quello che ha. Ma soprattutto la paura che sia lo Stato a dirigere la vita privata dei cittadini. Un sentimento che è diventato ancor più forte dopo la riforma sanitaria. La maggioranza degli americani è molto gelosa della relazione personale che instaura con il proprio medico di fiducia. Già risultavano odiose le assicurazioni, perché tendevano a interporsi fra il dottore e il paziente. Lo Stato costituisce un’ingerenza ancora maggiore, ancor più incontenibile. La gente, infine, vede che questo immenso aumento di spesa pubblica non sta affatto creando nuovi posti di lavoro, né permette agli imprenditori di riprendere la crescita. Il governo sta creando sempre più incertezze, perché introduce sempre nuove regole. E per chi opera in economia non c’è peggior nemico dell’incertezza.
In Italia, però, l’opinione pubblica cattolica è entusiasta della riforma della sanità, perché la considera un aiuto ai più deboli…
In America chiunque capisce che una struttura sanitaria privata è il luogo migliore per far incontrare le esigenze di un paziente con la professionalità di un medico. Questo non vuol dire che l’intervento pubblico debba essere completamente eliminato. C’è un vecchio mito, diffuso in Europa, secondo cui, qui negli Usa si lascia morire chi è sprovvisto di un’assicurazione sanitaria. Non è vero. Nelle strutture di pronto soccorso si viene curati comunque. I cittadini meno abbienti usufruiscono di programmi pubblici, come Medicare e Medicaid. Il problema della sanità Usa, che viene sempre ripreso dai media europei, è l’alto numero di non assicurati. Ma se si guarda dentro a questa categoria, vediamo che è principalmente costituita da persone che sono temporaneamente scoperte, perché stanno passando da un lavoro all’altro. Perché le assicurazioni sono fornite dal datore di lavoro, nella maggior parte dei casi. Questo perché, sin dai tempi di Roosevelt (1933-1945) una serie di Congressi a maggioranza democratica ha introdotto regole di controllo dei prezzi. Durante la II Guerra Mondiale si dovevano tenere bassi i prezzi e alti i salari mentre la nazione combatteva. Le aziende hanno dovuto cercare espedienti per compensare le perdite. Uno dei quali era fornire assicurazioni sanitarie (deducibili dalle tasse) ai propri impiegati. Da allora ad oggi, l’assicurazione fornita dal proprio datore di lavoro è diventata una tradizione. I prezzi si alzano perché a pagare sono quasi sempre terze parti, dunque. Ma se vogliamo mantenere gli standard alti della sanità americana, solo la competizione fra privati può continuare a garantirla.
A questo punto vediamo che l’opinione pubblica cristiana negli Usa ha un modo di pensare molto differente da quella italiana. Anche in Italia, secondo lei, può affermarsi un’opinione cattolica favorevole al libero mercato?
E’ difficile, per motivi storici. Negli Usa abbiamo secoli di tradizione recente di diffidenza nei confronti dello Stato. La strategia di Obama per far accettare al pubblico dosi maggiori di statalismo è ricalcata su quella di Roosevelt negli anni ’30: più gente rendi dipendente dal governo, più gente voterà per i politici che promettono ancor più programmi governativi. La maggior parte degli italiani sono dipendenti dallo Stato ed è sempre più difficile vincere la loro resistenza a un cambiamento. Sono scettico sulla possibilità che anche in Italia si affermi quello spirito di indipendenza individuale che invece è così diffuso negli Usa. La mia speranza è che sopravvivano quelle sacche di opinione pubblica che chiedono più autonomia, più decentramento e sussidiarietà. E’ un fenomeno che vedo soprattutto in Lombardia e in Nord Italia. Si deve partire dal decentramento, così che la gente possa vedere che molti servizi possano essere gestiti localmente e non sempre dalla capitale. Questo potrebbe essere un buon inizio.