Dire no al nucleare non significa tutelare l’ambiente e l’eolico lo dimostra

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Dire no al nucleare non significa tutelare l’ambiente e l’eolico lo dimostra

23 Maggio 2011

Qualche giorno fa, un titolo rimbalzava a caratteri cubitali sulle pagine di un quotidiano locale. Era accompagnato dalla foto formato gigante di una pala eolica e dalla spiegazione delle mille virtù del loro utilizzo. Una scelta d’avanguardia, si autocelebrava nell’articolo. Un contributo alla produzione di energia “pulita”.

Osservando meglio la foto però, un dubbio, o meglio, la contraddizione è balzata davanti agli occhi in tutta la sua evidenza: un prato verde, alberi da frutto, montagne in lontananza e due bei pali eolici a deturpare il paesaggio. Ne valeva la pena? È davvero giusto pensare che le multinazionali del vento siano meno pericolose e dannose delle centrali nucleari? E ancora. È sicuramente vantaggioso sacrificare, in nome dell’energia verde, altri tipi di “energia” che questi territori potrebbero produrre, quali l’acqua, l’allevamento e il turismo?

Gli esperti ci hanno spiegato che una fonte di energia, per rispondere alle esigenze del futuro e per l’importanza strategica che riveste non può prescindere da alcuni requisiti: la sicurezza, l’affidabilità, l’essere “pulita”, l’economicità. L’eolico e il fotovoltaico per loro natura sono incostanti e non possono soddisfare l’esigenza di affidabilità. Le centrali alimentate da fonti rinnovabili, infatti, hanno una produzione di energia discontinua. Senza considerare che per promuovere le energie rinnovabili non basta costruire centrali solari o eoliche, perché bisogna allo stesso tempo sviluppare sistemi efficaci di immagazzinamento dell’elettricità. E perciò si torna sempre al punto di partenza: vale la pena compromettere per sempre un territorio?

Qui si inserisce l’altro tema, quello ancora più dibattuto: il nucleare. Difficile discuterne serenamente dopo il panico generato dal grave incidente avvenuto in Giappone. Ma è altrettanto vero che non si può permettere che la politica energetica di un intero Paese, anzi di un intero continente, venga condizionata dall’emotività. La prudenza è d’obbligo, ma le tecnologie vanno avanti e se assicurano il rispetto di rigorosi parametri di sicurezza non si possono fermare. Questa sì che è una questione di civiltà. Sarebbe troppo comodo fare come gli struzzi e fingere che sull’altra sponda del Mediterraneo non stia accadendo nulla, ignorando le notizie allarmanti sul rialzo del prezzo del petrolio e l’impatto distruttivo che potrebbe avere sulle nostre vite. In un mondo globalizzato anche il più lontano conflitto può mettere in ginocchio l’economia di un Paese.

La realtà, pericolosa, è che non siamo autosufficienti dal punto di vista energetico. Quindi, da cittadini consapevoli e responsabili, dobbiamo aiutare i nostri governi a trovare le soluzioni migliori, che certo non sono il no a tutti i costi. Il rifiuto di tutto ciò che spaventa anche solo emotivamente. Prima di giudicare bisogna sapere, informarsi, ragionare. L’indicazione che arriva da chi ne sa di più è che il futuro si gioca su un mix più equilibrato di fonti energetiche. Rinnovabili, ma non solo. Nucleare, ma non solo. Turbogas, sempre meno.

Il referendum del 12 e 13 giugno riguarderà anche il nucleare. I comitati per il si (per fermare la presunta minaccia) si stanno mobilitando addirittura con il ricorso a catene umane. Gridano contro la disinformazione, la censura, il silenzio. E chi più ne ha più ne metta. In realtà, più si portano a conoscenza i fatti, più si fa luce sulla situazione energetica del Paese, più si fa informazione – a patto, ovviamente, che sia corretta – più si dovrebbe comprendere come un futuro realmente“sostenibile” sia un futuro soprattutto di sviluppo tecnologico. E lo sviluppo tecnologico comporta anche una nuova cultura energetica, che di certo non chiude in soffitta le centrali nucleare.