Dopo averlo visto non ci sono dubbi, “Inception” è proprio il film dell’anno
29 Settembre 2010
Dom Cobb (Leonardo Di Caprio) è il migliore in assoluto nell’arte di catturare i segreti nascosti nella mente degli uomini. È il "Signore del sogno", abile nella manipolazione dei pensieri e nell’insinuarsi dentro gli spazi più profondi della immaterialità esistenziale. Come ogni potere finito nelle mani dell’uomo, può essere utilizzato bene o male. Cobb ha deciso di mettere le proprie capacità non al servizio della scienza, ma a quello più venale dello spionaggio industriale.
Una vita felice, una bella famiglia, tutto ciò che desidera. Cobb vive nell’onnipotenza. È un piccolo uomo fattosi Dio, in grado di costruirsi un universo parallelo di felicità, certo fittizia, ma pur sempre felicità. Poi, inaspettatamente, qualcosa non ha funzionato come doveva, e da dominatore del mondo si è ridotto a vittima braccata, obbligato a nascondersi perennemente, senza poter vedere i due figli piccoli, dopo la morte della moglie. Scherzare con i sogni è pericoloso quanto maneggiare la dinamite. Ma quando tutto sembra perso, ecco presentarsi un’ultima, decisiva possibilità per cancellare ogni colpa del passato, e tornare agli affetti perduti, alla vita vera, dopo l’anestetizzante illusione (e le sofferenze) determinate dalla vita immateriale.
L’ultimo colpo di spionaggio industriale è molto più complesso del solito, dovendo lavorare al contrario. Non deve estrarre, ma inserire (da qui il titolo, appunto "inception") qualcosa nella mente di un altro. Cobb diventa così la guida di una squadra di geni, impegnata nell’impianto di un’idea nella mente del figlio di un potente industriale, che alla morte del padre si appresta a ricevere l’eredità aziendale. In quel momento di passaggio, e di debolezza, Cobb si gioca tutto: il passato, il presente e soprattutto il futuro della propria vita. Se riesce avrà un’identità pulita.
Descritta così, per sommi capi, la trama di “Inception” di Christopher Nolan potrebbe essere scambiata per un racconto di fantascienza (o fanta-inconscio) piuttosto semplice, addirittura banale e scontato. Ma non lo è, poiché l’ovvietà strutturale e simbolica del film, è complicata da un abile montaggio di costanti capovolgimenti, dal nascondimento allo spettatore di alcuni elementi essenziali (rivelati solo verso il finale), da una spettacolarità visiva debordante e dal continuo domandarsi dei protagonisti della storia se quanto stanno vivendo appartiene al sogno o alla realtà.
Che “Inception” sia il film dell’anno non ci sono dubbi. Lo dimostrano gli incassi stratosferici registrati ovunque, ma anche le critiche estremamente favorevoli. E non solo quelle ufficiali della carta stampata. Commenti entusiasti si possono leggere nell’universo ad uso e consumo degli internauti del cinema, che hanno assegnato ad “Inception” indici di gradimento altissimi.
Il film di Nolan, autore di culto di “Batman Begins” (2005) e di un altro notevole puntata cinematografica con protagonista l’uomo pipistrello, “Il cavaliere oscuro” (2008), può essere considerato un affascinante videogioco da godersi in poltrona. Quando il racconto sta per naufragare sugli scogli di una difficoltà imprevista e insormontabile, si può cambiare finestra, e ampliare la vicenda instradandola in un binario parallelo, lasciando in sospeso l’intreccio principale. Nel finale si incastrano ben quattro piani paralleli: un’apoteosi della perfezione narrativa, con il tempo rallentato come il movimento in assenza di gravità.
“Inception” si serve della potenza straordinaria degli effetti speciali, senza bisogno di ricorrere alla carta della tridimensionalità. Ne esce un capolavoro ricco di riferimenti sin troppo diretti al genere di fantascienza contemporaneo, da “2001: Odissea nello spazio” (1968) di Stanley Kubrick a “Blade Runner” (1982) di Ridley Scott a “Matrix” (1999) dei fratelli Andy e Larry Wachowski. Ma l’opera di Nolan è una macchina perfetta per rimanere incollati alla sedia, rapiti dal potere illusorio delle immagini: un sogno ad occhi aperti di due ore e mezza. Poi si può ragionare sulla sovrabbondanza metafisica, sociologica e culturale. Freud, Jung, la psicoanalisi, Alice nel paese delle meraviglie che attraversa gli specchi, la virtualità e quant’altro, che spuntano qua e là, restano un dettaglio.
“Inception” è la perfetta miscela tra un prodotto d’élite e uno popolare, tra sapere alto e sapere basso, tra stile del cinema d’autore e cinema di genere e intrattenimento. Per queste ragioni “Inception” di Christopher Nolan (autore e produttore del film) si segnala come uno fra i più significativi esempi della postmodernità artistica, modalità ripetuta all’infinito – con successo infinito – dal cinema americano.
L’inizio del film sarebbe piaciuto moltissimo ai surrealisti, che negli anni Venti del secolo passato cercavano nelle immagini cinematografiche il riflesso del meraviglioso, dell’illogico, del potere magico e mistico dei sogni che doveva avere la meglio su quello ripetitivo e bolso della realtà. Ma oggi il surrealismo ha ricomposto la propria eccentricità e carica violenta, ed è considerato alla stregua di un genere classico, al più un esempio museale del modernismo. E quindi è possibile ritornare sulle orme di Jean Cocteau e del suo sperimentale “Le sang d’un poète” (1930), rimodellandolo in un prodotto estetico costruito per ottenere il più ampio consenso possibile. L’avanguardia oggi è “Inception” di Christopher Nolan. Con una variante: è avanguardia di massa.