Dopo D’Alema anche Carter cade nella trappola di Hamas
24 Aprile 2008
Jimmy Carter ha fatto un brutto scherzo a Massimo D’Alema.
Nonostante il netto parere contrario di George W. Bush e di Condoleezza Rice ha
deciso di condurre una trattativa diretta con Hamas per risolvere la crisi
israelo-palestinese. Ha fatto cioè esattamente quanto da due anni auspicano si
faccia sia Massimo D’Alema che Romano Prodi (e anche Piero Fassino). Il suo
disegno era semplice e in piena sintonia con le strategie dei Democratici di
qua e di là dell’Oceano. Approfittando di una intensa fase di trattative
sottotraccia per una tregua a Gaza condotte dall’Egitto con i dirigenti di
Hamas, viste di buon occhio peraltro da Ehud Olmert, e anche di discretissime
trattative tra il governo di Gerusalemme e quello di Damasco, volte a
disinnescare la tensione bellica di nuovo minacciosa ai confini tra il Libano e
Israele, ha voluto dimostrare al mondo che Hamas, in fondo, può essere un
interlocutore affidabile. Il tutto basato sullo stesso tragico errore
concettuale e d’analisi che contraddistingue anche Barack Obama, Hillary Clinton
e Massimo D’Alema con il Pd italiano: considerare Hamas un movimento nazionalista, più feroce di altri, ma
legato a una logica di “pace contro terra” e non un movimento del più acceso
fondamentalismo islamico, che rifiuta la pace con Israele, perché non può
tollerare – Corano alla mano – che la terra di Palestina (Israele inclusa) sia
governata da ebrei.
L’esito della missione è stato in piena continuità con i
precedenti del presidente Carter: disastroso e tragicomico. Uscito dal colloquio
con Khaleed Meshal a Damasco e dopo aver incontrato Ismayl Hanyeh a Gaza,
Carter ha annunciato trionfale al mondo che Hamas era pronto a riconoscere
l’esistenza di Israele se si fosse ritirato dentro i confini del 1967. Missione
compiuta dunque, obiettivo “impossibile” raggiunto. Ma non era così,
ovviamente. Passati pochi minuti dal comunicato trionfale di “mister
nocciolina”, Khaleed Meshal, palesemente irritato, l’ha subito seccamente
smentito con un comunicato in cui affermava che Carter non aveva capito nulla,
che la posizione di Hamas è quella di sempre. Nessun riconoscimento, mai e poi
mai, del diritto all’esistenza di Israele “perché proibito dal Corano”. Al
massimo Hamas è disposta a sottoporre a referendum – a cui dovrebbero votare
tutti e 4 i milioni di palestinesi, compresi quelli della diaspora – un
eventuale piano di ritiro di Israele dai territori e, in caso di approvazione,
a concedere a Israele 10 anni di hudna, una tregua islamica. Al solito una
posizione provocatoria. Far partecipare al referendum tutti i palestinesi della
diaspora significa volere una bocciatura sonora garantita e la hudna non è
affatto una tregua nel senso occidentale, di cessate il fuoco, ma ha il senso
coranico di pausa dei combattimenti per potere alla fine condurre una guerra
vittoriosa contro il nemico, esattamente come fece Maometto nel 630, con gli
abitanti della Mecca, poi conquistata.
Per una strana eterogenesi dei fini,
dunque, l’improvvido Carter ha ottenuto – come suo solito – un risultato opposto
a quello che si prefiggeva: ha dimostrato che hanno perfettamente ragione
Olmert, Bush e Abu Mazen quando si rifiutano di trattare direttamente con
Hamas, e che il futuro dello Stato palestinese passa per una sconfitta radicale
di quest’ultima, disposta a tutto pur di ottenere il suo risultato strategico,
che non è affatto l’esistenza di due Stati, ma la distruzione di Israele.
E’ ora che D’Alema,
Obama e
ne prendano tardivamente atto.