Dopo i festeggiamenti per l’Unità d’Italia siamo chiamati al dovere verso il futuro
18 Marzo 2011
D’accordo o no, favorevoli o contrari, i festeggiamenti per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità ci hanno richiamati tutti alla riflessione. Sul nostro modo di essere cittadini, governanti, lavoratori. Insomma, sul nostro modo di essere italiani.
Si è discusso prima sull’opportunità di ricordare il 17 marzo del 1861 con una festa nazionale. Si discute oggi su come questa ricorrenza sia stata interpretata.
Credo che aver trovato un’occasione “unificante” proprio in questo momento storico, caratterizzato da un acceso dibattito sul federalismo, abbia avuto un significato importante. Perché ci ha dato l’opportunità di diventare cittadini più consapevoli. Lo saremo se dopo queste celebrazioni nei nostri animi si saranno rinnovate le ragioni profonde che ci hanno reso nazione, se avremo riscoperto quegli ideali e quei principi che ci hanno tenuti uniti.
Il nostro Paese, le nostre regioni, le nostre comunità sono molto differenti tra loro. Ognuno ha la sua storia, le sue tradizioni e la sua cultura, che è giusto custodire gelosamente. Ma proprio per rafforzare, e non certo tradire, questo bagaglio culturale dobbiamo avere la capacità essere aperti e saper cogliere le opportunità della diversità, che è ciò che ci ha reso speciali quando siamo diventati nazione. Solo così ogni difficoltà nello stare insieme potrà essere superata, in nome di un’unità d’intenti che guarda oltre e si chiama futuro.
E la festa sarà tale se sarà riuscita a guardare al futuro. E futuro significa aver acceso una scintilla nei cuori dei giovani. Una scintilla che stimoli la voglia di capire, di conoscere e di difendere, ripartendo dalla storia, il valore dello stato, della sua unità ideale. Se sarà chiaro questo valore, allora anche il federalismo, lungi dal dividere gli animi prima ancora che il Paese, potrà essere accolto per quello che rappresenta davvero: una grande opportunità e non certo un rischio. Soprattutto lì dove è più temuto, cioè nel meridione.
Perché difendere l’unità nazionale non può certo significare continuare a elargire, senza controllo, somme di denaro pubblico. Difendere l’unità nazionale significa invece stimolare nelle classi dirigenti la coscienza civica, il senso di responsabilità, la verifica del loro operato di fronte ai cittadini. Questo è il senso profondo del federalismo e in questo non c’è alcuna minaccia all’unità nazionale.
Ovviamente ciò potrà accadere a patto che vengano rispettate alcune condizioni, prima fra tutte la competitività. Il federalismo deve essere competitivo, perché la solidarietà può funzionare se rimane entro i giusti limiti. Poi bisogna corciarsi le maniche e farcela da soli. E tutto questo dobbiamo spiegarlo senza retorica ai nostri giovani. Le celebrazioni per l’unità d’Italia possono rappresentare una scommessa per il loro futuro. Il Paese ha bisogno di riforme, e ne hanno bisogno anche le nuove generazioni. L’università, il lavoro, l’intera società che non offre opportunità e che non è meritocratica: tutte sfide da portare a termine.
Guardiamo al passato e lavoriamo per il futuro. Così come hanno fatto centocinquanta anni fa tanti ragazzi che hanno sacrificato la vita per un ideale, per costruire la loro nazione, anche oggi spetta ai giovani costruire il proprio futuro. Mameli ha scritto l’inno d’italia a 19 anni e un anno dopo al suo sogno di patria ha sacrificato la vita. E anche oggi, le rivoluzioni del Nordafrica ci raccontano di giovani che muoiono per la libertà.
E i nostri giovani? Sono più fortunati, perché non sono più necessari sogni per i quali morire. Ma allora costruiscano sogni per i quali vivere. Per farlo, però, bisogna imparare il senso dello Stato, il suo valore e il suo significato.
Archiviati festeggiamenti, diamo ora un senso alle bandiere sventolanti e alla suggestione dell’inno nazionale. Diamoci da fare per ricostruire il nostro tessuto civile, per ridurre le distanze, per rafforzare l’etica pubblica. E facciamolo individuando ed attuando con coraggio nuove sintesi. Il passato ci ha richiamato. Al nostro dovere verso l’Italia e verso il futuro.