Dopo la bufera alla melamina, Pechino rimette le mani sulla sanità

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Dopo la bufera alla melamina, Pechino rimette le mani sulla sanità

26 Gennaio 2009

L’ultimo esempio della distanza tra cultura Occidentale e cinese-comunista-capitalista, anche in un mondo, almeno apparentemente, globalizzato dal punto di vista economico, è stato il piano di riforma del sistema sanitario appena varato dai vertici partitici di Pechino e l’esito del processo agli “avvelenatori” del latte.

La cronaca degli ultimi tempi ci aveva infatti allarmato, portando alla luce uno scandalo per cui in Cina sei bambini erano morti e migliaia erano rimasti intossicati da una sostanza chiamata melamina, aggiunta in modo fraudolento al latte. Di lì le preoccupazioni relative alle importazioni dei prodotti e tutto l’effetto a cascata di un simile problema.

La notizia che Tian Wenhua, ex presidente dell’azienda casearia Sanlu, è stata condannata all’ergastolo e multata per la bellezza di 3,6 milioni di dollari è molto recente. La sua azienda aveva cercato di nascondere la tossicità del proprio prodotto continuando a venderlo per due mesi da quando si era scoperta la pericolosità del latte. Nello stesso processo un produttore e due mediatori sono stati condannati a morte, quali esecutori materiali dell’avvelenamento, ed altri mediatori sono stati condannati all’ergastolo. Nota particolare: uno dei due condannati a morte avrà due anni per dimostrare pentimento e buona condotta, nel qual caso la sua pena si tramuterà in ergastolo. Per un’altra ventina di aziende, coinvolte nella truffa mortale, non è ancora certo come andrà a finire perché sono ancora in attesa di giudizio. E’ stata molto meno dura la pronuncia nei riguardi delle famiglie delle vittime, che in prima battuta non hanno ottenuto i risarcimenti richiesti e hanno visto le loro proteste accolte solo in parte.

Lo scandalo del latte comunque ha attivato un apparato faraonico che solo il Celeste Impero oggi potrebbe così rapidamente decidere e varare: un progetto di riforma in tre anni della sanità pubblica cinese, per migliorare la copertura di base con assicurazioni mediche gratuite volte a garantire almeno i medicinali basilari. Riforme agli ospedali pubblici, una rete più capillare di ambulatori di zona, e investimenti governativi per più di 90 miliardi di euro hanno però una ragione remota che non è difficile individuare. La sanità in Cina è di natura pubblicistica (come quasi tutto, del resto), ma è gestita in modo privatistico con assicurazioni che prevedono polizze sulla salute o pagamenti che i malati devono saldare in contanti. L’effetto di tale impianto porta a una conseguenza peculiare: le fasce meno ricche della popolazione, per il timore di non poter accedere al sistema delle cure, pratica una forma di risparmio ad hoc, che ammonterebbe in alcuni casi fino ad un terzo del reddito familiare. Una "mano morta" sulla circolazione delle risorse finanziarie che non preoccupava il governo di Pechino nel periodo precedente alla grande crisi finanziaria che ha colpito il mondo, ma che ora, nel momento della difficoltà, viene fronteggiata contestualmente al discorso sanitario sull’onda lunga della mobilitazione di opinione pubblica per lo scandalo del latte alla melamina e dei calcoli renali che ha messo a repentaglio la vita di tanti bambini.

Una riflessione che sorge quasi spontanea su un sistema in cui la pianificazione economica non può più essere quella, definitivamente fallita con il crollo dell’URSS, dei regimi pienamente comunisti, riguarda la fulminea capacità di reazione che l’assenza di democrazia rende possibile. Immaginarsi i regolamenti Europei che sarebbero nati in un’analoga situazione, dà l’idea di un farraginoso compromesso tra interessi contrapposti, e a una macchina colossale impacciata e faticosa nel muoversi che di sicuro non sarebbe stata altrettanto efficiente. La pena di morte si ripropone e il diritto cinese fa il suo corso.

D’altra parte non c’è da stupirsi: già nei tempi dell’impero tutto il diritto privato aveva una vita completamente autonoma rispetto al governo dei mandarini. Si parlava di un “fa” (legge dall’alto, amministrativa e pubblicistica, oltre che portatrice di un’autorità praticamente illimitata) contrapposta ad un “li” (forma di filosofia non percepita come giuridica, ma su cui si basavano tutti i commerci, i trasferimenti di proprietà e la vita quotidiana dei cittadini, fondamentale per la struttura della società). Il regime di Mao ha spazzato via tutto l’antico sapere confuciano, cercando di sostituirlo con il potere dei vertici politici: tuttavia il diritto è duro a morire, e le norme spontanee, consuetudinarie e cosiddette mute, piuttosto che lasciarsi sradicare più facilmente si trasformano in crittotipi. Tanto che di spirito prettamente confuciano appare una condanna come quella alla pena di morte convertibile all’ergastolo dopo due anni di pentimento.

Sempre di più i fatti contemporanei del governo pechinese sembrano dimostrare che il paradosso con gli occhi a mandorla è una originalissima fusione di impulsi culturali: confuciani appunto ed imperiali prima, comunisti poi e infine capitalistici (in quella contrapposizione tra capitalismo democratico occidentale, e capitalismo autoritario Russo-Cinese che caratterizza la geopolitica contemporanea).

D’altra parte da prima che l’antica Roma si avvicinasse a unificare l’Europa, già in Cina la vita pubblica dello “Stato” (o proto-stato) si slegava totalmente dalla vita privata dell’economia, creando così quello sdoppiamento che tanto stupisce i nostri contemporanei, ma che è così radicato nella superpotenza orientale. Così, il colosso che sta per mettere i piedi in testa agli Stati Uniti non deve sorprendere nei suoi scatti repentini, e nei suoi cambiamenti di direzione, ma ogni spunto di attualità è un considerevole aiuto al tentativo di comprendere dinamiche tanto lontane dalle nostre e di potersi relazionare con universo di valori di riferimento così alieno a quello cui siamo abituati.