Dopo l’intervento di Tremonti, serve la mano coraggiosa di Sacconi
05 Dicembre 2008
Ad oggi, i liberisti non pentiti possono essere soddisfatti di come il Governo sta reagendo alla crisi.
Quel che è stato fatto – una piccola iniezione di liquidità nel sistema per via fiscale (l’IVA all’incasso, le riduzioni degli acconti Irap e Ires) e qualche intervento di sostegno ai redditi (il bonus, la carta acquisti, una limitata estensione dei sussidi di disoccupazione ai co.co.pro.) – ha un costo molto limitato, appena lo 0,3 per cento del Pil, soprattutto se paragonato a ciò che per fortuna non è stato fatto, vale a dire lasciarsi prendere dal desiderio di intervenire pesantemente nell’economia, di imitare altri paesi europei nello sfruttare gli inediti spazi concessi dall’Europa su Maastricht e di riproporre vecchie ricette di politica industriale.
Certo, il coraggioso rigore finanziario di Giulio Tremonti e gli utili avvertimenti di Maurizio Sacconi sul debito pubblico non hanno che un’origine: le scelte scellerate degli anni Ottanta, quando in un decennio si lasciò il debito pubblico aumentare dal 62 al 97 per cento del Pil. Una sorta di partita intertemporale tra socialisti di ieri e socialisti dell’oggi, verrebbe da dire. Non ci è dato sapere se, senza il pesantissimo fardello che ci ritroviamo, il ministro dell’Economia avrebbe compiuto scelte simili o avrebbe invece avuto un approccio diverso alla crisi, magari più in linea con le cose che andava dicendo fino a qualche settimana fa (quando consigliava a tutti di scendere in cantina e rispolverare i vecchi trattati keynesiani).
In assenza di controprove, che in politica e in economia non si hanno quasi mai, non ci resta che applaudire le scelte di Tremonti, il quale ha saputo tenere a bada gli istinti di spesa della maggioranza e le obiezioni esterofile dell’opposizione.
Avere conti pubblici in ordine è il miglior contributo che il Governo può dare alla futura ripresa economica, soprattutto se si crede – come scriveva ieri Ernesto Felli su Il Foglio – che le fluttuazioni dipendano da choc strutturali e che esse non vadano contrastate perché questo è il meccanismo attraverso il quale il sistema economico si auto-corregge. Ma se il Tremonti ministro ha fatto bene la sua parte, nonostante il Tremonti scrittore e pensatore, è bene che ora sia l’altro socialista a dare un contributo determinante alla capacità dell’Italia di uscire indenne dalla crisi economica e di agganciare in pieno la futura crescita economica: il ministro del Welfare Sacconi. Per i mesi e gli anni a venire, sarà senza dubbio il suo Ministero a determinare il successo o l’insuccesso del Governo Berlusconi.
Terminata la fase emergenziale (sperando che il prossimo futuro non riservi all’Italia sorprese nuove, magari nascoste nella pancia di qualche banca), occorrerà mettere mano alle famose “riforme strutturali”. La priorità, è una profonda riforma del modello di welfare, a partire dal sistema pensionistico, dal sistema degli ammortizzatori sociali e dalle regole del mercato del lavoro. A Sacconi – colui che da sempre chiede, a torto o a ragione, il superamento del Sessantotto come paradigma sociale – spetterà il compito di disinnescare la silenziosa frattura generazionale tra giovani (senza protezione e, in prospettiva, senza una pensione dignitosa) e “adulti” (protetti e dalla pensione generosa). La partita passa dall’aumento dell’età per la pensione di anzianità e dall’equiparazione tra uomini e donne dell’età per la pensione di vecchiaia. Le obiezioni che oggi il ministro pare avanzare sembrano dettate, più che dalla convinzione, dal timore di affrontare, in piena crisi, una stagione di forte tensione con le opposizioni e con i sindacati. Insomma, non vorremmo che i socialisti di oggi facciano come i socialisti di ieri, traslando irresponsabilmente nel futuro le conseguenze delle loro scelte.
Accanto alla partita del welfare, si riapriranno a breve le due questioni “storiche”: le tasse e le liberalizzazioni. Passata la bufera, torneremo a dirci che l’Italia ha una pressione fiscale insostenibile, sia sulle imprese sia sugli individui, che il sistema fiscale va semplificato, che il Mezzogiorno ha bisogno di un robusto choc fiscale che permetta di trasformarlo in un’area attraente per gli investimenti. Passata la bufera, torneremo anche a dirci che l’Italia ha bisogno di una iniezione di mercato e di concorrenza in tutti i settori economici, a partire dai servizi. Superata la difficile prova – anzitutto emotiva e politica, viste le pressioni interne ed internazionali – della manovra anti-crisi, è bene che il Governo non rinunci alle riforme profonde e davvero necessarie di cui l’Italia ha bisogno da anni, crisi o non crisi.