“Dopo un inizio positivo la verità purtroppo non ha trionfato”
14 Maggio 2009
La visita in Medio Oriente di Papa Benedetto XVI sta per concludersi dopo un viaggio di otto giorni che ha toccato i principali luoghi sacri delle tre religioni monoteiste. Dopo i viaggi di Paolo VI nel 1964 e Giovanni Paolo II nel 2000, il viaggio di Ratzinger rappresenta la terza visita di un capo della Chiesa cattolica in Terrasanta. Nonostante l’apprezzamento da parte della maggioranza dei media internazionali, non sono mancate le critiche, specialmente da parte della stampa israeliana che ha parlato di “occasioni perse”. Ne parliamo con Fiamma Nirenstein, deputata del Pdl e vicepresidente della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati, che definisce quelle usate dal Pontefice come “parole che hanno rafforzato ancora di più il rapporto che unisce il popolo ebraico e quello cristiano”.
Onorevole, che opinione si è fatta quindi del viaggio di Benedetto XVI in Medio Oriente fino a ora?
L’impressione è quella di un viaggio all’insegna della buona volontà perché impregnato dal sogno del dialogo fra le tre religioni. Ho apprezzato le sue buone intenzioni, soprattutto quando ha invitato i giovani palestinesi a non farsi affascinare dall’incitamento all’odio e alla violenza o quando ha chiesto ai politici di esplorare ogni possibile via per la pace. Ho giudicato molto positivamente che, durante la visita allo Yad Vashem, il Papa abbia invitato a non dimenticare il passato, affermando che non bisogna permettere che l’orrore della Shoah possa ripetersi. A differenza dei media israeliani, a me non interessava avere delle scuse ufficiali da Ratzinger per l’atteggiamento di Pio XII e della Chiesa cattolica durante l’Olocausto. Devo ammettere però che da un Papa così saggio, così carico di sapienza teologica, mi aspettavo una testimonianza sulla gravità delle minacce di morte che gli ebrei devono ancora sopportare, prima tra tutte quella che proviene dall’Iran.
Ma il Papa ha condannato il negazionismo e l’uso della violenza.
Benedetto XVI ha sicuramente fatto del suo meglio, ha innanzitutto espresso la sua amicizia verso gli ebrei e ha ricordato il legame indissolubile che esiste tra i cristiani e il popolo ebraico. Ma è anche vero che avrebbe potuto cogliere l’opportunità storica di schierarsi apertamente contro quell’Asse del male che parte dall’Iran e che minaccia il mondo col terrore, ma soprattutto la sopravvivenza dello Stato d’Israele. Nonostante le nobili ragioni di Ratzinger, credo che il Papa non si sia accorto che non viviamo più ai tempi di Giovanni Paolo II quando c’era ancora un’atmosfera che permetteva di parlare di dialogo. Oggi dobbiamo fare i conti con un Iran che minaccia continuamente di eliminare lo Stato d’Israele, con un mondo islamico estremista e terribilmente accecato dall’odio che cerca di creare un mondo basato sulla violenza. Non dobbiamo dimenticare che il negazionismo dei nostri tempi è “distruzionista”. Forse denunciando in maniera più netta il negazionismo dell’Iran o condannando il terrorismo con tutte le sue forze, il Papa avrebbe fatto un passo avanti rispetto a quella che era stata la posizione annunciata dalla Chiesa.
Quali sono, dal suo punto di vista, i passaggi salienti di questo viaggio apostolico?
Appunto le dichiarazioni del pontefice contro il negazionismo e la necessità di mantenere viva la memoria della Shoah. Parole che hanno rafforzato ancora di più il rapporto che unisce il popolo ebraico e quello cristiano. A differenza di altre religioni, infatti, esiste un comune denominatore tra ebraismo e cristianesimo che è l’affermazione dei diritti umani, la democrazia, la libertà e l’eguaglianza degli individui. Si tratta di un legame fondamentale tra le due religioni che rende i nostri due popoli fratelli.
Ratzinger ha anche condannato il muro e l’embargo. Che cosa ne pensa?
Innanzitutto me la prendo con la televisione italiana che ha diffuso una gravissima disinformazione sulla situazione reale. Ho sentito parlare dappertutto di Betlemme come una città occupata, ma non è così perché è dal 1995 non lo è più. Io stessa ho assistito lo sgombero delle truppe israeliane e ho visto Arafat che prendeva il possesso della città. Mi dispiace che il Papa non abbia fatto neanche il minimo cenno a come stanno davvero le cose e abbia lasciato ricadere le colpe sugli israeliani. La verità è che, nonostante la città abbia un sindaco cristiano, da allora i cristiani vivono sotto una continua persecuzione e una minaccia che viene dagli estremisti islamici e non da Israele. E’ vero che la libertà di movimento è limitata. Ma è anche vero che proprio da Betlemme è partito il maggior numero di terroristi delle brigate Al Aqsa, per andare a farsi saltare in aria a Gerusalemme durante la seconda Intifada. Certo che c’è un muro, ma non ci sarebbe quel muro se Betlemme non fosse diventata un covo di terroristi suicidi.
Il Papa ha visitato il campo profughi di Aida spendendo parole di solidarietà.
Mi sento di sottolineare un errore passato a mezzo stampa. Sembra che i campi profughi li abbiano voluti gli israeliani. In realtà, sono un’invenzione dell’Onu creata nel 1948 e riproposta nel 1967 quando i profughi sono tornati. Questa gente vive in condizioni misere dal 1948 e, nonostante tutti i soldi che sono stati versati nelle tasche delle Nazioni Unite, non si è mai voluto smantellare i campi. Mi chiedo se non sia un modo per continuare ad accusare e a screditare Israele. Nessuno invece parla dei campi profughi tra l’India e il Pakistan dove vivono almeno 7 milioni di persone, né dei circa 800mila profughi ebrei che sono dovuti scappare dai paesi arabi e ora vivono in Israele.
Benedetto XVI ha appoggiato la nascita di uno Stato palestinese. Secondo lei c’è ancora qualche possibilità di realizzare il progetto “Due popoli/Due Stati?
Questa è una formula che ormai è diventata tipica fra chi vuole mettersi l’anima in pace e stare in linea con il consenso internazionale. Ma è una soluzione che è fallita dal 1948 fino a questo momento. E oggi più che mai sta fallendo per colpa del terrorismo e della continua minaccia che l’Iran rappresenta per il mondo e per la sopravvivenza dello Stato d’Israele. Bisognerebbe trovare invece una soluzione nuova che ancora non esiste.