Doppio attentato, è strage a Istanbul. PKK primo indiziato
28 Luglio 2008
La fotografia della domenica di Istanbul è quella dei sedici cadaveri e dei centocinquantaquattro feriti che rappresentano il macabro conteggio dell’attentato più sanguinario in Turchia negli ultimi cinque anni.
Due esplosioni ravvicinate hanno colpito un affollato centro commerciale. Il primo ordigno era collocato in una cabina telefonica; il secondo in un cestino dell’immondizia a poche decine di metri di distanza. La duplice detonazione è avvenuta in rapidissima sequenza. La prima esplosione è stata di debole intensità. Il suo scopo era quello di attirare una folla di curiosi e di soccorritori che, appena dieci minuti più tardi, è stata travolta dalla seconda esplosione, così forte da essere avvertita a miglia di distanza. Un doppio colpo per moltiplicare il numero delle vittime.
Il movente dell’attentato supera l’intimidazione per mostrare l’evidente obiettivo di compiere una strage di civili. A poche ore di distanza la voce più autorevole è quella del governatore di Istanbul, Muammer Guler. La sua tesi non ammette dubbi: è un attentato terroristico. L’individuazione del teatro d’azione esprime l’obiettivo della strage: il distretto commerciale di Gungoren è un tradizionale luogo di incontro pubblico fino a tarda notte. Data la struttura urbanistica del centro commerciale, la duplice esplosione è stata letale perché ha trasformato le numerose vetrine in un’ondata di schegge impazzite che hanno trafitto i corpi delle vittime. Così anche i feriti sono parsi subito gravissimi.
La tecnica del terrorismo sfrutta ogni variabile in gioco. Al momento attuale sulla sbarra degli imputati sono saliti tutti. I sospetti delle autorità sembrano puntare sul terrorismo curdo. Proprio domenica la Turchia ha ripreso i bombardamenti delle postazioni curde nel Kurdistan iracheno dopo le massicce incursioni nello scorso febbraio. Il ritorno alle armi è la risposta ad un attentato nell’enclave curda di Diyarbakir, nella Turchia sudorientale, dove erano morti due bambini turchi. Era lo stesso luogo dove nel maggio dell’anno scorso sei cittadini turchi morirono in un attentato esplosivo all’ingresso di un centro commerciale – sembra lo stesso copione della strage di domenica.
Con la Turchia che riprende gli attacchi in Iraq, la strage di Istanbul assume i contorni della rappresaglia curda. Ma le catene di sangue sono numerose e conducono ad una pluralità di potenziali colpevoli. Oltre ai curdi, si è parlato di estremisti di sinistra e della presunta associazione segreta ultranazionalista Ergenekon, ma potrebbe anche esserci il sigillo di al-Qaeda. All’inizio di luglio un commando ha aperto il fuoco davanti all’ingresso del consolato americano. Erano tre ragazzi poco più che ventenni, semianalfabeti, provenienti dai quartieri più popolari di Istanbul ma inquadrati nella rete di al-Qaeda.
Questa è una fase convulsa per la Turchia, in stallo per il conflitto tra secolaristi e islamisti, e la strage di Istanbul può acquistare anche un significato politico. L’attentato infatti ha avuto luogo il giorno prima della riunione della corte costituzionale che formulerà la sentenza sulla richiesta di sciogliere l’attuale partito di governo per attività filo-islamiche e bandire la sua classe dirigente da cariche istituzionali per cinque anni. La mente che ha architettato la strage ha scelto una fase di particolare tensione, che tende ad amplificare la crisi in atto. Ma potrebbe anche inviare un messaggio ai giudici: il terrorismo è un’emergenza assoluta che richiede coesione e stabilità politica, cioè il contrario della realtà attuale. Questo attentato potrebbe rivelarsi un tentativo di contaminare il conflitto istituzionale usando il terrorismo curdo come emergenza nazionale che richiede una tregua e, soprattutto, un governo forte come quello dell’AKP – anche se finora la strategia di Erdogan per domare i ribelli curdi è stata fallimentare. La strage di Istanbul ha toccato molti nervi scoperti della Turchia di oggi.