Dove una volta c’erano le fabbriche ora si mangia con gusto

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Dove una volta c’erano le fabbriche ora si mangia con gusto

13 Giugno 2010

E’ davvero singolare il destino toccato, da una ventina d’anni a questa parte, ai luoghi più evocativi della storia industriale italiana. A Torino, città industriale ed operaia per eccellenza, sempre più il nome Lingotto, anziché richiamare, come un tempo, lo stabilimento Fiat per antonomasia, è sinonimo di sede di un albergo di lusso, con brend internazionale, di spazi espositivi ove si tengono importanti manifestazioni di risonanza nazionale – si pensi al Salone del libro – e internazionale – ad esempio Terra Madre -, di un emporio gastronomico ormai di culto, come Eataly, fantastica realizzazione dello schioppettate Oscar Farinetti. Ho un personale ricordo, risalente ai primi anni ’90, del pianto incontrollato di un vecchio operaio della Fiat, espressamente rientrato in un’ala dell’enorme ex stabilimento in occasione di una raffinata rassegna antiquariale, allorquando tra quadri, argenti e cassettoni, riuscì ad individuare e toccare nuovamente l’esclusivo obiettivo della sua visita: il pilastrone a lato del quale, dismessa la divisa militare prima e il successivo fazzoletto da partigiano, mi raccontò aver iniziato a lavorare in fabbrica nell’immediato secondo dopoguerra. Veramente mille anni fa.

A maggior ragione il discorso vale per la milanese Bicocca, sì territorio di antiche memorie storiche e sede di un’importante battaglia – ove si distinse l’ancor vivissimo Monsieur De La Palisse – agli albori del ‘500, ma soprattutto polo dell’industria meneghina per definizione, teatro di drammatiche lotte operaie nella cupa Milano degli ultimi mesi della Repubblica di Salò. Ebbene, ora la Bicocca è sinonimo di insediamento universitario d’eccellenza, di centro di ricerca, di centro direzionale, di spazio teatrale di fama – giustamente intitolato agli Arcimboldi, antichi signori di questi luoghi – ed anche, per quanto d’interesse di questa futile rubrica, di non pochi locali di piacere enogastronomico. Uno, tuttavia, merita appieno la qualifica di ottimo, la Trattoria Arlati, che, tra l’altro, può essere assurta a momento di congiunzione “profetico” tra l’antico mondo della fabbrica e la moderna realtà della Bicocca. L’esercizio, infatti, fu aperto, agli inizi degli anni ‘30, da Luigi – Luisin – e Modesta Arlati, nonni dell’attuale proprietario, i quali, con molto coraggio ed intraprendenza, decisero di lasciare il posto in fabbrica e di trasformarsi da operai in osti, scegliendo, quindi, un lavoro difficile, rischioso e, probabilmente, ancor più faticoso e di sacrificio del precedente. Il locale, vera e propria osteria popolare di stretto rito ambrosiano, sopravvisse alla tempesta bellica, nel 1947 fu rilocalizzato nella sede che tuttora occupa e, mercè gli interessi artistici di Mario, il più giovane dei figli del fondatore, alla fine degli anni ’60 cominciò a divenire punto di ritrovo della comunità degli artisti e degli intellettuali della città. Dagli anni ’70 – e la tradizione perdura – qui si fa musica dal vivo e non si contano i grandi nomi, Lucio Battisti per primo, che hanno allietato e reso mitiche le serate degli avventori.

Il locale è minuscolo, invaso di cose che vanno dal bric à brac divertente alle opere  – talora anche assai ingombranti – di artisti contemporanei, ma si connota per essere comunque caldo ed accogliente, caratteristica che viene enfatizzata dalla signorile  cordialità e dalla garbata simpatia dei titolari, a cui si giustappone felicemente un servizio improntato a gentilezza e ad efficienza professionale.

Venendo al merito gastronomico, va detto subito che il ristorante si pone in perfetta sintonia con la linea “filosofica” di questa dilettantesca rubrica, posto che utilizza – fedele alle buone pratiche di nonna Modesta, la già evocata fondatrice – materie prime di eccellenza, manipolandole il meno possibile, così da consentire di assaporarle al meglio. I piatti offerti si iscrivono nell’originario filone lombardo, coltivato con attenzione filologica, senza tuttavia disattendere qualche sapiente innovazione e taluni calibrati recuperi di elaborazioni appartenenti ad altre culture. Tra gli antipasti va assaggiata la bresaola di punta d’anca con caprini, da richiedere  – mi raccomando! – senza la deprecabile innaffiata di aceto balsamico, unica vera caduta modaiola di una pur così eccellente cucina. Tra i primi, il risotto al salto è un capolavoro, ma non si possono disattendere i tagliolini al ragù di verdure e gamberi e i tortelloni di magro al gorgonzola. Nella lista dei secondi piatti la cotoletta alla milanese è un’indiscussa regina, peraltro ben accompagnata da una degna corte rappresentata dall’insalata di coniglio, dalla splendida insalata di merluzzo alla taggiasca (è  l’antipasto del mio “percorso”), dal localmente classico ossobuco alla milanese e dall’ancor più meneghino rostin negàa (nodino di vitello arrosto felicemente annegato in sugo di cottura). Ottima anche la tartare di manzo e il vitel tonnè (altri antipasti del mio personalissimo approccio un po’ pantagruelico). Per gli appassionati i dolci della casa non vanno tralasciati.

La cantina è ben calibrata, con valide etichette e ricarichi assai onesti. Nel complesso il locale si colloca in una fascia di costo poco più che media, con un ottimo rapporto qualità/prezzo.

TRATTORIA  ARLATI – Via Alberto Nota, 47 – Milano – telefono 02/6433327 – chiuso domenica e sabato a pranzo