
Draghi esce di scena con stile e detta alla politica la via per crescere

01 Giugno 2011
Un discorso che prima o poi piacerebbe sentir fare a Emma Marcegaglia. Incentrato sul tessuto produttivo e sulle storture della nostra economia. Improntato sulla crescita e non sulla critica politica, perno degli interventi a cui ci ha abituati la leader degli Industriali, sempre pronta a tirare le orecchie al Governo e meno propensa a mettere sul piatto proposte. Così, Mario Draghi lascia Palazzo Koch. Così chiude le sue seste “considerazioni finali”. Con uno slogan che sempre lo ha accompagnato: “Tornare alla crescita”, lo stesso che scelse in apertura di mandato. Draghi lascia via Nazionale per salire alla guida dell’Eurotower e lo fa – lui, uomo tutto d’un pezzo impermeabile alle emozioni – quasi con commozione. Lasciandosi alle spalle cinque anni di moniti, analisi, annunci. Con un filo comune nell’esortazione rivolta all’intero paese a fare di più sul fronte della crescita, del risanamento dei conti pubblici e delle riforme.
E con un’attenzione speciale ai giovani. Lo ha fatto anche ieri, quando ha insinuato nelle menti dei partecipanti una domanda: “Quale paese lasceremo ai nostri figli?”. Domanda ingombrante, il cui eco è risuonato anche nei meandri dei palazzi del potere, perché quel quesito era rivolto a tutti: agli imprenditori, al plotone dei banchieri guidati dal presidente dell’Abi Giuseppe Mussari, agli industriali rappresentati appunto dalla Marcegaglia, ai leader sindacali e ad alcuni politici di primo piano presenti. Tutti in sala. Nel marzo del 2006 Draghi evidenziò come l’economia italiana apparisse insabbiata, con ritardi strutturali che però non andavano intesi quali segni di un declino ineluttabile. Al contrario, spiegò, potevano essere affrontati, dandone conto con chiarezza alla collettività, anche nel momento in cui le soluzioni fossero avverse agli interessi immediati di segmenti della società. E quando ieri Mario Draghi ha esortato a tornare alla crescita sconfiggendo gli interessi corporativi che opprimono il Paese i ricordi sono tornati al discorso di quella primavera di cinque anni fa.
Venti pagine fitte fitte, quelle che il futuro vertice della Bce ha letto alla platea. Nelle quali ha indicato le linee guida da seguire. Serve una manovra “tempestiva", “strutturale", “credibile", “orientata alla crescita". Aggettivi che mettono in evidenza i caratteri dell’urgenza e la prospettiva di medio periodo che devono coesistere nella gestione della finanza pubblica. Parole in linea con le intenzioni del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti: sono infatti "appropriati", secondo Draghi, l’obiettivo di pareggio del bilancio nel 2014 e la scelta di anticipare a giugno la definizione della manovra correttiva per il 2013-14. E se quanto è stato fatto per la tenuta dei conti pubblici durante la crisi consente di guardare con ottimismo agli sforzi da fare, resta prioritario intervenire su altri due fronti: la riduzione delle tasse, per lavoratori e imprese, e il taglio della spesa pubblica. “Grazie alle riforme previdenziali avviate dalla metà degli anni Novanta, a un sistema bancario che non ha richiesto salvataggi pubblici, a una prudente gestione della spesa durante la crisi, lo sforzo che ci è richiesto è minore che in molti altri paesi avanzati», osserva Draghi. Ma, avverte, “la spesa primaria corrente dovrà però ancora contrarsi, di oltre il 5 per cento in termini reali nel triennio 2012-14, tornando, in rapporto al Pil, sul livello dell’inizio dello scorso decennio». Un intervento “che non deve prevedere tagli lineari ma selettivi, mirati, per ridurre la spesa “in modo permanente e credibile».
Un discorso, quello di Draghi, “già da presidente della Bce”, dice a l’Occidentale Alessandro Carpinella, economista, partner Kpmg ed esperto di sistemi finanziari. “Ho apprezzato molto l’intervento e l’enfasi sulla stabilità – continua Carpinella – I temi italiani sono centrali ma lo sono su due grandi pilastri (quelli su cui Draghi ha creato il suo posizionamento a livello europeo): la stabilità come grande elemento architetturale, dominante rispetto ai temi della crescita, e la supervisione internazionale con riferimento alle grandi industrie creditizie”. L’intervento nel suo complesso? “Di altissimo profilo».
La strada indicata. Draghi prevede interventi ad ampio spettro. "Va affrontato alla radice il problema di efficienza della giustizia civile" perché “la perdita annua di prodotto attribuibile ai difetti della nostra giustizia civile potrebbe a un punto percentuale". E, ancora, avanti con la riforma del nostro sistema di istruzione, ha chiesto il Governatore, per il quale vanno innalzati i livelli di apprendimento che sono “tra i più bassi del mondo occidentale anche a parità di spesa per studente". Per non parlare dei divari troppo ampi interni, tra Nord e Sud, tra scuole della stessa area, anche nella scuola dell’obbligo. Serve poi un’iniezione di concorrenza, soprattutto, nel settore dei servizi di pubblica utilità. “Non si auspicano privatizzazioni senza controllo – ha puntualizzato Draghi – ma un sistema di concorrenza regolata, in cui il cliente, il cittadino sia più protetto. La sfida della crescita non può essere affrontata solo dalle imprese e dai lavoratori direttamente esposti alla competizione internazionale, mentre rendite e vantaggi monopolistici in altri settori deprimono l’occupazione e minano la competitività del Paese".
E, soffermandosi proprio sulla sfida della crescita cui sono chiamate le imprese, Draghi ha sottolineato che “la flessibilità tipica delle piccole imprese, che in passato ha contribuito a sostenere con successo la nostra competitività, oggi non basta più". Le imprese devono crescere per accedere rapidamente ed efficacemente sui mercati esteri. Spetterà al Governo e al ministro Tremonti, ora continuare sulla strada indicata. Prima di tutto con la riforma fiscale. I tavoli aperti nei mesi scorsi hanno già prodotto quattro dossier. Manca solo di tirare le somme (salvo anticipazioni la legge delega dovrebbe arrivare in autunno) e presentare al Parlamento la nuova architettura del sistema tributario. Un buon punto di partenza per rimettere in moto la macchina.