Due ministeri non servono ai milanesi e tanto meno alla Moratti
24 Maggio 2011
Evidentemente siamo messi male. Se la scoppola milanese non è riuscita a produrre una reazione migliore della proposta leghista di spostare a Milano la sede centrale di due ministeri, vuol dire che la situazione non è affatto allegra. E non lo è soprattutto perché l’uscita sarà forse buona per far gonfiare il petto dell’orgoglio leghista per qualche giorno ma, certamente, è del tutto inutile per convincere i cittadini milanesi che votare per il sindaco uscente sia la scelta migliore (o la meno peggiore) per la gestione della propria città.
E in effetti abbiamo qualche difficoltà a immaginare frotte di cittadini meneghini contenti alla prospettiva di poter finalmente ospitare in città svariate decine di migliaia di impiegati ministeriali (mediamente fannulloni e, quindi, maggiormente molesti) dovendo dividere con loro case, strade, trasporti pubblici, ospedali e scuole. Me le vedo le giovani mamme milanesi gioire per il fatto che sarà più difficile trovare per il proprio pargolo un posto presso il nido comunale, o i vecchietti esultare di fronte all’allungamento delle liste di attesa per un esame o un ricovero ospedaliero, o i lavoratori accettare con compita rassegnazione le code alla fermata dell’autobus per recarsi tutte le mattine al lavoro pensando (neanche fosse una partita a Risiko): "Però, in compenso, abbiamo due ministeri!".
Ma la proposta, oltre che del tutto inutile sul piano elettorale, è anche stupida sul piano del merito. L’idea che trasferire la sede di un Ministero possa recare un significativo giovamento al territorio che la accoglie è inspiegabile. Forse se ne potrebbero giovare i gestori di fast food o dei punti ristoro utilizzati dai travet durante la pausa pranzo (i quali, peraltro, non se la passano male neanche oggi). Ma per tutti gli altri? Se il Ministero dello Sviluppo economico fosse a Milano le imprese lombarde ne trarrebbero qualche vantaggio tangibile? Se il Ministero dell’Istruzione traslocasse da viale Trastevere a corso Sempione gli studenti milanesi sarebbero più istruiti? Non credo.
Per non parlare poi degli immani problemi che determinerebbe un trasferimento ministeriale: problemi istituzionali, organizzativi, economici, sociali e sindacali. Problemi di complessità tale da risultare certamente ingestibili per un governo democratico (di qualunque colore esso fosse). Forse solo gli autocrati di qualche sistema da dispotismo orientale (la Repubblica popolare cinese, ad esempio) potrebbero essere in grado di avviare e di portare a compimento in tempi ragionevolmente brevi un processo del genere.
Il punto è questo: è del tutto ragionevole che la sede dei ministeri, ovvero delle strutture che danno corpo all’amministrazione centrale dello Stato e che sono guidate dai ministri, i quali compongono il Consiglio dei ministri, ovvero il governo nazionale, sia collocata nella capitale di uno Stato. Non pensiamo affatto (si badi bene) che, in presenza di particolare circostanze, non sia giusto collocare la sede centrale di un’amministrazione statale in una città diversa dalla Capitale. Si pensi al caso della Consob, l’autorità di vigilanza sulla borsa, che andrebbe certamente spostata a Milano, considerato che lì ha sede la Borsa valori. Ma i ministeri no. Spostare i ministeri ai nostri occhi non ha alcun senso.
Ma forse, per risolvere l’empasse e sedare le polemiche interne al Pdl suscitate dalla proposta di Bossi, potremmo trovare una soluzione di compromesso. Potremmo riprendere il fulgido esempio del Parlamento europeo che, non essendo in grado di risolvere il conflitto tra Strasburgo e Bruxelles, per non “umiliare” i francesi portando (come sarebbe ovvio) il Parlamento a Bruxelles, sede delle altre istituzioni comunitarie, ha due sedi di lavoro (alla quale se ne aggiunge una terza, Lussemburgo, per gli uffici amministrativi) e si riunisce a mesi alterni nelle due città. Potremmo anche noi avere il mese milanese e quello romano. Peccato che questa (comica) situazione, che pure ha almeno delle ragioni storiche, ci costi molto cara (si è calcolato un spreco di oltre 180 milioni di euro l’anno). Altro che Roma Ladrona e riduzione del numero dei parlamentari!
La verità è che l’uscita leghista, alla quale non credono in fondo nemmeno i leghisti, è solo un modo per alzare la voce ed agitare un tema di immediata presa per un elettorato evidentemente deluso. Attenzione però a seguire troppo la Lega su questa strada, prendendo sul serio proposte che serie non sono. Il rischio è caricare sulla spalle del governo e del Pdl anche il fardello della demagogia leghista e di allontanarlo dalle domande reali dell’elettorato. La proposta non è seria ma è grave. E a prenderla troppo sul serio si rischia solo di peggiorare la situazione, riducendo le possibilità della Moratti di vincere al ballottaggio.