E’ bene tagliare i costi della politica ma senza punire la democrazia rappresentativa
28 Giugno 2011
E’ di scena la riduzione dei costi della politica. Si tratta di una battaglia dotata di molte buone ragioni, che viene però svolta da parecchi ambienti con metodi tendenziosi e finalità , spesso, ben poco nobili. Innanzi tutto essa si focalizza soprattutto sul parlamento e sul governo. Invece ci sono anche i costi delle amministrazioni regionali, provinciali, comunali e i costi dei big della finanza, che fra stipendi, bonus e liquidazioni arrivano a cifre prive di riscontro nella vita normale. E non credo che le campagne di stampa sui costi della politica siano fatte tutte con pensieri innocenti.
Infatti uno degli intenti di queste campagne è di screditare il sistema politico su base parlamentare per sostituirlo con un andazzo in cui i governanti non sono scelti fra i politici, ma fra i tecnocrati e, comunque, non emergono dal confronto politico ma dalle indicazioni dei gruppi di interesse che controllano i media, cosidetti indipendenti. Inoltre, giova ripeterlo, mentre si discutono i costi della politica, come questione etica, passano sotto silenzio i costi e i privilegi di un’altra casta, quella dei manager e dei dirigenti degli enti pubblici e quella dei manager e dei dirigenti delle banche e degli altri operatori finanziari. Consideriamo il tema delle auto di rappresentanza. Le “auto blu” dei politici vanno sicuramente ridotte al minimo indispensabile, ma forse per minimizzarle ci potrebbe essere un sistema migliore che quello della loro eliminazione solo per i membri che ne fruiscono nel governo e nel parlamento.
Si potrebbe stabilire che chi fruisce di tali servizi viene tassato sui benefici che ne ricava, come reddito imponibile, calcolato in base al loro costo, al netto di un plafond minimo di costi necessari di servizio. Ciò fermo restando che dalla tassazione saranno esonerate le auto di servizio che vengono impiegate per la sicurezza personale dei loro utilizzatori. La regola di includere questi benefici nel reddito imponibile personale dei fruitori dovrebbe essere estesa anche ad altri “benefit”, come l’uso gratuito di telefoni cellulari, di carte di credito, intestate all’ente di cui l’utente fa parte, di biglietti di viaggi gratuiti ferroviari, aerei, marittimi e su mezzi pubblici locali e di pasti in ristorante e soggiorni in alberghi , senza una stretta logica di servizio. Anche in questo caso, il beneficio, da calcolare sulla base delle somme spese, dovrebbe essere considerato reddito tassabile delle persone interessate, oltre certi plafond minimi.
Il vantaggio di questa regola è che essa può essere applicata a tutti i fruitori di tali servizi , siano essi persone appartenenti al corpo politico dello stato , delle regioni, degli enti locali, o ai vertici delle pubbliche amministrazioni statali o di dei “corpi separati”: dalle università, agli enti previdenziali,alle autorità di controllo e vigilanza statali , parastatali, regionali e locali; alle persone ai vertici delle imprese e degli enti pubblici autonomi dello stato dei comuni, delle province, delle regioni e dei loro consorzi. E inoltre la regola della tassazione si applicherebbe automaticamente anche alle strutture manageriali e dirigenziali delle banche, delle assicurazioni, delle imprese industriali e commerciali , e ai dirigenti degli ordini professionali, degli organismi sindacali, delle fondazioni e delle coop.
Immagino che a questa regola fiscale si possano avanzare delle obbiezioni. Vi sarà chi sostiene che occorre non già tassare, ma vietare direttamente questi “sprechi”. In tale caso, però, occorrerà adottare una diversa procedura per il settore pubblico e per quello di mercato. Infatti mentre si può vietare che lo Stato, le Regioni, gli enti locali attribuiscano “auto blu” e altri benefit gratuiti agli assessori e ai consiglieri dotati di particolari incarichi e ai dirigenti delle pubbliche burocrazie, non si può vietare che ne fruiscano i manager delle imprese, le quali non possono essere assoggettate a divieti riguardanti le loro spese . In questa seconda ipotesi deve valere la regola per cui , oltre un certo minimo, questi benefici sono reddito tassabile.
Non pare però ragionevole che la riduzione dei costi della politica debba consistere solo nella riduzione dei benefici collaterali dei membri della classe politica e delle alte gerarchie amministrative e tecnocratiche. La principale operazione, che occorre fare, per ragioni etiche ed economiche è un’altra. E consiste nella riduzione dei membri della classe politica, mediante tre tipi di interventi di sfoltimento. Il primo è la riduzione del numero dei deputati, dei senatori, dei consiglieri regionali e comunali e dei membri dell’apparato della Presidenza della Repubblica, che comporta una riduzione di costi che riguarda non solo il personale politico, ma anche quello di supporto e le spese per i locali e i beni e servizi ove esso è sistemato. Fermo restando che certe sedi sono, comunque, anche ora di dimensione eccessiva, senza tali tagli di personale. Così lo è quella della Presidenza della Repubblica, i cui locali potrebbero essere quanto meno ridotti alla metà, trasformando gli altri in un Museo in cui collocare una parte dei dipinti e dei reperti archeologici che ora stazionano nelle cantine.
Il secondo tipo di intervento di sfoltimento consiste nella abolizione delle province, come organo elettivo locale. Esse possono rimanere come consorzi dei comuni, mentre le loro competenze possono passare in parte ai comuni come tali e ai loro consorzi e in parte alle Regioni, con una riduzione di personale e di locali ed una riduzione di costi elettorali. Va notato che, comunque, la provincia come circoscrizione amministrativa dello stato rimane. Ciò che occorre eliminare è il doppione politico, con la sua burocrazia, la sua fiscalità i suoi dirigismi,le sue clientele. Il terzo tipo di intervento di sfoltimento consiste nella privatizzazione di enti pubblici, nella abrogazione di enti inutili, nell’accorpamento di enti che svolgono funzioni affini. Non deve far meraviglia che la questione della abrogazione di enti inutili e dell’accorpamento di doppioni continui a riproporsi. Infatti la burocrazia è come l’erba sui bordi delle strade: continua a germogliare, a proliferare, a crescere. E bisogna di continuo tosarla , per evitare che invada le strade, ostacolando il traffico.
Queste operazioni di sfoltimento hanno un doppio effetto vantaggioso: riducono i costi e aumentano l’efficienza dei processi decisionali del settore pubblico. Infatti un parlamento con meno deputati e senatori è più snello, ha meno persone che debbono discutere, deliberare, intervenire nei dibattiti , accordarsi fra loro , nella maggioranza e all’opposizione. E’ più efficiente. Un sistema con meno soggetti di governo del territorio ha meno vincoli e sportelli a cui chiedere le autorizzazioni. I tempi delle decisioni diventano meno lunghi. Dunque, è bene tagliare i costi della politica (e della sua burocrazia) perché ciò la migliora e la rende più amica del cittadino. Ma guai a concepire la democrazia rappresentativa come un peso morto, un bubbone da incidere. Si tolgano le auto blu, ma non si pronunci la frase “questa aula sorda e grigia”.