E il naufragar m’è dolce nei sapori di Toscana

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E il naufragar m’è dolce nei sapori di Toscana

08 Febbraio 2009

Un posto da carnivori senza se e senza ma. D’altra parte, non potrebbe essere diversamente per un ristorante di schietta e orgogliosamente proclamata tradizione toscana, o, più puntualmente, casentina. Un locale, quindi, che fa specifico riferimento a un nobile territorio di incantevoli bellezze naturali ( qui vi sono anche le fonti dell’Arno ), di tesori storico-artistici ( si pensi a Camaldoli ) e di delizie gastronomiche. Oddio, tra  prosciutti saporosi, fette di profumata finocchiona e succulente bistecche di chianina, i padroni di casa hanno voluto cercare di salvarsi  l’anima in senso pluralistico, inserendo in carta anche qualche citazione ittica. Si tratta però della tagliata di tonno (cioè del pesce e della preparazione più “da carne” che ci sia ) e del baccalà (pesce sui generis, potremmo dire sublimato, ideologicamente ormai del tutto separato dal mare di origine e, proprio per questo, storicamente presente in tutte le cucine di terra e amatissimo dai veri carnivori ). Intendiamoci: piatti preparati benissimo che, tuttavia,  nulla tolgono al locale della convinta e totalizzante militanza carnivora.

Papà Baccus, minuscolo ristorante romano a due passi da Via Veneto ( e, massimo della coerenza, collocato in Via Toscana ), attese anche le ridottissime dimensioni ( solo in estate, trovando utilizzo la veranda esterna, si aumenta significativamente la disponibilità di tavoli), non si rivolge più di tanto al segmento di mercato rappresentato dal turismo di lusso, tipico frequentatore di questa zona della città, a due passi dall’Ambasciata degli Stati Uniti e a ridosso dei grandi alberghi più blasonati,  bensì, ai cultori della buona tavola legata alla tradizione contadina. Considerata  poi la riservatezza del luogo, vi si incontrano spesso uomini d’affari, desiderosi di celebrare il rito – di per sé, spesso, piuttosto tristanzuolo – della colazione o cena d’affari in un locale almeno capace di gratificare le papille gustative.  Sotto questo profilo,  il posto davvero non delude e c’è da credere abbia non poco favorito la chiusura di qualche buon contratto con controparti straniere, non troppo aduse, nei paesi d’origine, a certe prelibatezze del palato.

Prima di parlare più in dettaglio di piatti, va ancora sottolineato la notevole capacità dimostrata dai titolari nel connotarne l’immagine del ristorante. In effetti, la scelta di utilizzare, come variopintissima insegna  (capace di richiamare lo  sguardo, anche solo frettolosamente passando in auto per Via Toscana) e logo di stoviglie e biglietti da visita un dipinto di Giuseppe Arcimboldo (da identificare nel ritratto dell’ Imperatore Rodolfo II, in veste di Vertunno), se, forse, fa torto ai Della Robbia, che, avendo lasciato molte loro opere nel Casentino, potrebbero  vantare un qualche titolo di comparire con la raffigurazione di una loro terracotta invetriata, risulta, tuttavia, assai indovinata e perfettamente idonea a  rappresentare lo spirito di questo piacevole locale.  Vertunno, nella cosmologia mitologica dell’antica Roma, saggiamente sempre legata alla praticità e alla concretezza, era la divinità che presiedeva all’alternarsi – vertere – delle stagioni, avendo competenza sui verzieri e sulla frutta. Il suo stesso aspetto mutava con l’avvicendarsi delle stagioni, proprio come un ristorante di territorio cambia parte delle proprie proposte in ragione di ciò che la terra stagionalmente offre.

Venendo ai contenuti gastronomici, va da sé che, accanto ai tradizionali crostini toscani, gli antipasti sono dominati da ottimi affettati, tra cui prevale il prosciutto di diversa stagionatura. La più parte dei salumi sono di produzione propria e sono realizzati con le carni suine della nobile razza Cinta Senese, direttamente provenienti dall’allevamento gestito dai titolari nel Casentino. E’ davvero un delizioso recupero di sapori ormai desueti l’accompagnare prosciutto e salumi con le cinque tipologie di pani prodotti dalla cucina del ristorante, utilizzando  farina macinata a pietra, e serviti sempre caldi. I pani, a dire il vero, sono spesso consumati (rectius: divorati) in abbondante misura, ancor prima dell’arrivo degli antipasti, giacché la presenza in tavola di un meraviglioso olio, ovviamente di spremitura a freddo, da qualificare tra i vanti della casa, induce ad iterate scarpettature olearie.  Quanto ai primi piatti, senza far torto alle paste, la minestra di farro, la ribollita e la pappa al pomodoro meritano una citazione particolare, sebbene alla carabaccia (una rustica zuppa di cipolle rosse) vada un encomio solenne. Sui secondi, fermi restando i più tradizionali trattamenti per polli, conigli ed agnelli, ci si può veramente sbizzarrire. Si va dal peposo alla fornacina ( carne di manzo brasata al vino rosso e grani di pepe ), alla scottiglia  (un umido di sette carni in salsa di pomodoro ), dalla semplicissima grigliata mista di maiale ( ma è il maiale di Cinta che qualifica la portata ) ai piatti di carne Chianina. Su questi ultimi non si sbaglia mai, sia che si tratti della monumentale bistecca o della tagliata di controfiletto con olio al rosmarino. A dire il vero vi è in lista anche una tagliata all’aceto balsamico, piatto che chi scrive giudica una caduta del locale, a meno che non mi sia dimostrato che, anziché un indulgere ad una disdicevole moda, auspicabilmente passeggera,  esso si rinvenga nella più schietta tradizione casentina.   

Per quanto concerne i contorni,  i fagioli non possono essere negletti, ma tutti gli ortaggi sono sempre consigliabili, attesa la prima qualità e la verificata provenienza delle materie prime.  Mi piace ancora ricordare i troppo spesso tralasciati formaggi, nelle diverse stagionature, legati agli andamenti stagionali ( Vertunno impera ) e i dolci, tra i quali, tozzetti a parte, torte e crostate non fanno difetto.

Una segnalazione  particolare meritano la gentilezza, l’attenzione unita alla discrezione, e la professionalità del personale.

Per la sola cantina occorrerebbe un ampio discorso, atteso che essa propone tra le 150 e le 200 etichette. Si spazia per  tutto l’ambito nazionale ( e non solo ), ma –  sarebbe, tuttavia, ben  singolare il contrario – è la produzione toscana ad essere più che  riccamente rappresentata, sia pure ( ci parrebbe ) con l’ omissione di qualche produttore di top. Le mancanze sono però ben compensate dalla presenza di  validissimi  vignaioli “di nicchia”, frutto di un’attenta e lodevole ricerca sul territorio. I ricarichi denotano qualche eccessiva spruzzata di pepe. Rimanendo al tema monetario, il ristorante si colloca su una fascia di prezzi medio alta, con un equilibrato rapporto costo/qualità. La scelta di una bottiglia particolarmente pregiata è suscettibile di determinare una non lieve impennata del conto. La ridotta disponibilità di tavoli rende pressoché indispensabile la prenotazione.

Papà Baccus  –  Roma Via Toscana, 36 – telefono  06/42742808  –  Chiuso domenica e sabato a pranzo