E’ l’8 marzo, parliamo di quote rosa senza retorica

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E’ l’8 marzo, parliamo di quote rosa senza retorica

08 Marzo 2011

L’otto marzo è il giorno delle donne e pertanto propone il tema della parificazione delle donne con gli uomini nella nostra società e, per conseguenza, anche il tema delle quote rosa. Che presenta aspetti molto diversi nel settore di mercato e in quello pubblico, ma anche un argomento comune, vale a dire non quello dell’occupazione femminile, ma quello del ruolo e della carriera delle donne nelle imprese e nel settore pubblico. Infatti, oramai, in Italia la presenza numerica delle donne negli studi universitari è eguale, se non maggiore a quella degli uomini. E dalle statistiche oltreché dalla comune esperienza risulta che generalmente i curricola delle donne sono migliori di quelli degli uomini, dal punto di vista della assiduità ai vari corsi, dei voti negli esami e di quelli nelle lauree. Tuttavia, quando si esaminano le posizioni delle donne laureate, nelle varie carriere (ma il discorso vale anche per le diplomate), si osserva agevolmente che non vi è corrispondenza fra i risultati raggiunti negli studi e quelli conseguiti nelle carriere. Mentre nei curricoli le donne primeggiano, nelle carriere hanno posizioni secondarie.

Prima di procedere oltre bisogna affrontare una questione, che riguarda le generazioni. Si potrebbe obbiettare che i dati sulle grandi presenze delle donne nei corsi universitari e sul loro successo riguardano la attuale generazione, mentre le posizioni minoritarie delle donne nelle carriere private e pubbliche si riferiscono alle donne delle passate generazioni. Ma le cose non stanno così. E’ oramai dagli anni novanta che le donne, nei corsi universitari sono in numero pari o superiore agli uomini e vi escono con esiti pari o migliori. E sono quelle generazioni di donne che ora non hanno i riconoscimenti che loro competerebbero.  

Dunque la questione delle quote rosa si pone adesso. E si potrebbe qui rievocare lo slogan “se non ora quando” se esso non fosse stato male utilizzato nella propaganda contro il premier Silvio Berlusconi, da una particolare categorie di donne, la tricoteuse, la donna che sedeva davanti alla ghigliottina, a Parigi, facendo la maglia, nell’epoca della rivoluzione francese, durante il Terrore per assistere alle esecuzioni capitali degli aristocratici, come Madame Defarge, nel racconto di Dickens “le due città”. Non è a questa donna faziosa che mi voglio riferire, ma alle donne che, negli studi professionali, nelle imprese, nelle pubbliche amministrazioni e negli enti pubblici, si dedicano con preparazione e competenza al proprio lavoro, lo amano ed hanno la giusta ambizione di vedere riconosciuti i propri meriti, con una carriera corrispondente a quella che gli uomini fanno, spesso con una preparazione e una competenza minore. Il pregiudizio per cui le donne sono soprattutto idonee a svolgere il ruolo di “segretarie “ non ruoli superiori è fortemente radicato nella nostra società.

Ricordo, al riguardo, un episodio che mi è capitato, in un interrogatorio presso un pubblico ministero del Tribunale penale di Roma, che mi interrogava per stabilire se doveva procedere o meno in una incriminazione a mio carico, che in effetti non ci fu. Era un magistrato competente e brillante, eppure spulciando il fascicolo vide che il mio staff era composto quasi solo di donne e che le pratiche con i personaggi importanti erano sbrigati da loro. E mi disse stupito: ma lei faceva vagliare queste pratiche alle segretarie? Io dovetti precisarli che le “segretarie” erano dei giovani procuratori delle imposte applicati al ministero, e che esse erano parte integrante del mio staff tecnico, e che il fatto che prendessero anche gli appuntamenti e rispondessero al telefono implicava una maggiore efficienza e rapidità del lavoro, data la riduzione che così si determinava, nei tempi morti, delle trafile burocratiche. Rimase molto colpito e apprezzò la spiegazione. Ma il fatto mi è rimasto impresso, come dimostrazione del fatto che le persone più intelligenti ed evolute di fronte a una donna giovane laureata, che fa parte di una segreteria tecnica, pensano che il termine alluda, in questo caso, alle telefoniste e alle dattilografe.

Come dicevo, il problema delle quote rosa, dunque si pone. Ma reputo che in una libera economia di mercato la soluzione non possano non essere diversa nel settore del mercato e nell’economia pubblica. Una legge che imponga le quote rosa nelle posizioni dirigenziali nelle imprese e nei consigli di amministrazione delle società mi pare inaccettabile. Essa viola i principi del libero mercato. Invece a me pare che sia importante fare sapere se ci sono oppure no delle donne nelle posizioni dirigenziali e nei consigli di amministrazione delle imprese che operano nei settori dei beni di consumo, con particolare riguardo a quelle dei settori della spesa quotidiana. Gran parte di tali acquisti sono fatti dalle donne e una parte sostanziale riguarda beni e servizi che esse stesse debbono utilizzare. Se la ditta di detersivi o di cosmetici è diretta, per la scelta dei prodotti, da donne, forse esse sono maggiormente in grado di conoscere che cosa dal punto di vista della qualità e del prezzo, preferisce l’acquirente, che è una donna. Ma lo stesso può valere per gli alimentari, per l’abbigliamento, per le vacanze familiari e per tanti altri beni e servizi, in cui il giudizio delle donne è particolarmente importante, per decretarne il successo o una valutazione negativa. Le imprese dovrebbero capire che la presenza delle donne nei gradini alti della loro gerarchia aziendali può rappresentare un plus nelle scelte di acquisto dei consumatori.  Il Ministero delle pari opportunità  e quello dei giovani dovrebbero mobilitarsi, per una campagna di persuasione delle imprese e di informazione del pubblico sulle quote rosa nelle società industriali, commerciali, finanziarie.

La problematica del settore pubblico è diversa da quella del settore del mercato. Qui le quote rosa possono essere stabilite da regolamenti pubblici, perché riguardano i soggetti pubblici, non interferiscono con le decisioni altrui. Ci sono settori, come quello universitario e quello sanitario, ove operano meccanismi di selezione, basati su meccanismi di selezione interna in cui la discriminazione negativa verso le donne è particolarmente grave perché spesso, in superficie, non appare. Infatti, spesso, si adducono come esempi del contrario le posizioni importanti occupate da alcune donne. Ma si dimentica di osservare che, in molti casi, si tratta di mogli, di figlie, di sorelle dei personaggi che presiedono ai processi di selezione. E le donne che non hanno questo ruolo familistico risultano doppiamente discriminate. Aggiungo che la discriminazione assume aspetti sottili, in quanto le donne risultano svantaggiate anche dal fatto che i criteri di selezione sono generalmente stabiliti dagli uomini e tendono a favorire le loro abilità specifiche, così come si determinano, a causa dei diversi fattori culturali che sussistono. E nel caso delle selezioni basate sui lavori scientifici, come quelle nei concorsi universitari, bisogna aggiungere un altro fattore di discriminazione che opera sotto traccia: il fatto che gran parte delle riviste scientifiche sono dirette da uomini e che ciò condiziona anche la successiva selezione. Occorre notare che la proposta che io faccio non riguarda l’ingresso iniziale nelle carriere, ma i gradini successivi e quindi non comporta di trascurare i giudizi di merito. Si tratta di assegnare una quota dei posti nei ruoli ulteriori della carriera, al personale femminile, sulla base di quote ad esso riservate, ferma restando la selezione fra le concorrenti in base ai loro titoli.

La giornata della donna viene solo una volta all’anno e, generalmente, dà luogo soprattutto a manifestazioni retoriche, quando non strumentali. Mi auguro che la riflessione che ho fatto sulle quote rosa non abbia un risultato altrettanto effimero.