E la Cina accettò di inquinare meno

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E la Cina accettò di inquinare meno

22 Settembre 2009

La dichiarazione fatta dal governo cinese ieri a New York durante il vertice sul clima al Palazzo di Vetro è stata un’apertura storica. Il presidente Hu Jintao ha ceduto alle crescenti pressioni della comunità internazionale (e in particolare del presidente americano Barack Obama) e ha accettato di ridurre le emissioni di gas nocivi entro il 2020. La Cina – che è il Paese con le maggiori emanazioni inquinanti al mondo e, insieme agli Usa, contribuisce con il 40 per cento alle emissioni tossiche mondiali – si è quindi impegnata ufficialmente a fare la propria parte per contribuire a contrastare l’emergenza-clima, venendo incontro ai numerosi appelli del Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, e delle organizzazioni ambientaliste.

Un gesto molto apprezzato dal numero uno delle Nazioni Unite che, aprendo il vertice, aveva rimproverato la comunità internazionale per “la lentezza glaciale” dei negoziati di un nuovo trattato internazionale che sostituisca il protocollo di Kyoto. Ban Ki-Moon ha detto: “Abbiamo meno di dieci anni per evitare gli scenari peggiori” causati dal surriscaldamento del pianeta e ha avvertito che “sull’Artico i ghiacci potrebbero sparire entro il 2030 e le conseguenze sarebbero sentite dai popoli di ogni continente”. Il Segretario generale ha quindi ammonito riguardo a un eventuale fallimento dell’incontro sull’ambiente che si terrà a dicembre a Copenhagen, "sarebbe moralmente ingiustificabile, economicamente miope, politicamente avventato: non possiamo seguire questa strada perché la storia potrebbe non offrici un’occasione migliore di questa”.

Un appello subito accolto dal presidente americano Barack Obama che, durante gli otto mesi di governo, ha messo tra le priorità della sua agenda internazionale le politiche contro il riscaldamento globale. "Gli Stati Uniti hanno fatto più negli ultimi otto mesi per promuovere la energia pulita e ridurre l’inquinamento da anidride carbonica che in qualsiasi altro periodo della nostra storia”, ha detto Obama, che ha poi parlato di “minaccia grave, urgente e crescente” che, se non verrà affrontata, rischia “di consegnare alle future generazioni una catastrofe irreversibile”. Per Obama, infatti, “la sicurezza e la stabilità di tutte le nazioni e di tutti i popoli – la nostra prosperità, la nostra salute e la nostra sicurezza – sono a rischio a causa della minaccia climatica”. Richiamando la necessità di un atteggiamento “flessibile e pragmatico” dei diversi Paesi durante il negoziato di Copenhagen, il presidente Usa ha definito “fattibile ma non facile” un nuovo accordo sul clima chiamando in causa, allo stesso tempo, gli sforzi dei Paesi in via di sviluppo.

Pronta la replica del presidente cinese Hu Jintao  e del neoeletto primo ministro giapponese Yukio Hatoyama. Il primo ha replicato: “Bisogna associare agli sforzi messi in atto per contrastare i cambiamenti climatici quelli destinati a promuovere la crescita dei paesi in via di sviluppo”. “La Cina è pronta a dare la mano a tutti i Paesi per costruire un futuro ancora migliore per le generazioni a venire”, ha detto Hu che si è impegnato inoltre a sviluppare vigorosamente le energie rinnovabili e l’energia nucleare, con un aumento del 15 per cento (sempre entro il 2020) della quota di energia non fossile nel totale del consumo energico della Cina.

Dal canto suo, Hatoyama – tra i maggiori ammiratori della linea di Obama – ha invitato la comunità internazionale a varare un “Green New Deal, come quello iniziato dal presidente Obama”. Il premier giapponese ha ricordato le misure che saranno adottate da Tokio e che erano già presenti nel “manifesto elettorale” del suo partito, con il quale ha promesso “la riduzione del 25% delle emissioni di gas serra entro il 2020”. Il primo ministro ha tenuto a precisare che “il Giappone da solo non può fermare il cambiamento climatico e per questo motivo i Paesi sviluppati devono guidare la riduzione delle emissioni”.

Un tema che Obama vuole da subito sul tavolo del G20 di Pittsburgh che si terrà giovedì e venerdì. Sarà proprio a Pittsburgh che, secondo il presidente Usa, le economie più forti dovranno impegnarsi a ridurre le emissioni nocive giudicate responsabili dell’effetto serra, a promuovere lo sviluppo di energie pulite e a sostenere i paesi emergenti a fare fronte all’impatto dei cambiamenti climatici. “Lavorerò con i miei colleghi del G20 per ritirare gradualmente – ha detto Obama – i sussidi sui carburanti fossili in modo da affrontare meglio la nostra sfida contro il riscaldamento climatico”. “Nel mezzo di una recessione globale, la priorità di ogni nazione è rivitalizzare l’economia e risollevare il mercato del lavoro”, anche attraverso “una soluzione di lungo termine alle questioni climatiche”. “Non ci facciamo illusioni la parte più dura del lavoro resta ancora da fare in vista di Copenaghen”, ha concluso Obama. Anche il presidente francese Nicolas Sarkozy sembra convinto che per superare lo scoglio dei negoziati  do Copenaghen serva un incontro preparatorio urgente. Sarkozy ha proposto di organizzare un vertice per il prossimo novembre: “Considerando l’estrema complessità del negoziato è necessario”.

Il vertice dell’Onu sull’ambiente è stato apprezzato anche dal ministro italiano dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo. “Quella di oggi rappresenta una svolta politica: da parte dei ‘grandi della Terra’ c’è stata un’assunzione di responsabilità sugli obiettivi da prendere per fermare il raffreddamento della terra. Ora anche l’Italia deve fare di più”, ha detto il ministro sottolineando inoltre che “come italiani dobbiamo vivere con maggiore consapevolezza l’emergenza climatica”. Per la Prestigiacomo la difesa dell’ambiente, oltre ad essere una grande opportunità per ridurre le emissioni inquinanti, è un’occasione per rendere più competitive le nostre imprese. “Se si abbraccia la green economy, alla fine ci guadagnano anche i cittadini, non solo a livello di aria che si respira ma anche per il costo finale dell’energia al consumatore”, ha concluso il ministro dell’Ambiente.