E’ la famiglia il cuore pulsante della società

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

E’ la famiglia il cuore pulsante della società

24 Agosto 2010

Gli incontri del Melograno promossi dalla Fondazione Magna Carta Puglia hanno contribuito a vivacizzare l’estate pugliese con una serie di appuntamenti di elevato spessore culturale, storico e politico.

L’obiettivo principale perseguito dal ricco programma di incontri, è quello di ricondurre la Politica e la società civile a confrontarsi sui contenuti ed a stimolare il dibattito su temi di vitale importanza per la sopravvivenza della Democrazia e della Società.

Uno dei temi affrontati e quello dell’importanza della Famiglia nella nostra Società, affrontato dall’avv. Bernardini De Pace nell’incontro dal titolo ”L’Amore ai tempi del Divorzio”, essenzialmente incentrato sulle problematiche del divorzio, sui problemi della coppia che, secondo la relatrice (l’Avv. Bernardini De Pace), riguardano prevalentemente la gestione delle risorse economiche e sulla consapevolezza che il matrimonio non è una scelta “per la vita”, bensì un progetto a termine che debba necessariamente fare i conti con un probabile divorzio, indesiderato, ma spesso ineluttabile, addirittura assimilato dalla relatrice alla morte (sic!).

L’animato dibattito che si è sviluppato, pur con tempi contingentati, ha fortunatamente ricondotto la discussione verso il cuore del problema, trascurato dalla relatrice. Il pubblico presente, infatti, ha introdotto il tema della Famiglia, intesa come cellula sana della Società, e dell’Amore, inteso non come semplice sentimento, e come tale caduco, ma come coinvolgimento di tutte le componenti della persona umana (cuore, intelletto e volontà).

E’ evidente che l’introduzione di tali argomenti come punto di partenza della discussione, piuttosto che il divorzio e l’organizzazione materiale della famiglia, cambia completamente la prospettiva con cui guardare ai provvedimenti necessari per la sua tutela: non più norme tese esclusivamente a difendere i soggetti più deboli, ma un quadro più complesso teso a favorire la nascita e la salvaguardia del nucleo familiare nel suo insieme.

Considerare il divorzio come conquista del progresso sociale, piuttosto che come fallimento di un progetto comune essenziale per il bene della Società è un grave errore di prospettiva che indirizza le scelte politiche verso direzioni sbagliate che, trascurando l’equazione famiglia malata uguale società malata, conducono la nostra civiltà alla totale perdita di responsabilità, di valori e di prospettive.

Nessuno ovviamente può negare che esista la possibilità che una famiglia malata possa ricorrere ad un’interruzione del rapporto e che tale interruzione debba essere normata a tutela dei soggetti più deboli, ma è altrettanto necessario che al divorzio si attribuisca il suo significato: una terapia traumatica per risolvere una grave patologia della Famiglia, esattamente come la tecnica medica che prevede l’amputazione di un braccio per evitare che la cancrena possa impadronirsi dell’intero corpo. Si tratta dunque di un evento possibile, ma certamente da scongiurare e che lascia strascichi incancellabili.

A chi contesta che tale visione della Famiglia sia troppo clericale e condizionata dalla religione Cattolica, ricordo che l’idea di Famiglia, intesa come istituzione naturale, precede di molto la venuta di Cristo e che la teorizzazione della famiglia come fondamento della Società si deve a filosofi che con il cristianesimo avevano poco a che fare, a partire da Aristotele.   

La consapevolezza aristotelica che una società sana, capace di perseguire il bene comune, si fonda su comunità intermedie in grado di promuovere i valori e le capacità delle persone, deve indirizzare le politiche per le famiglie, troppo spesso trascurate o, peggio, distorte ad uso e consumo delle tendenze culturali dominanti. Infatti, la prima comunità intermedia dove ogni persona ha diritto di nascere, crescere e morire, è la Famiglia, sulla quale ricade la responsabilità piena di educare i figli, favorendo le condizioni ideali per il massimo sviluppo delle capacità individuali da mettere al servizio della Società.

Le diverse prospettive da cui si guarda la Famiglia, non possono limitarsi ad implicazioni esistenziali di tipo filosofico, ma hanno risvolti concreti cui la Politica non è estranea.

Ad esempio, l’avv. Bernardini De Pace poneva la questione dei “patti prematrimoniali” al centro dell’agenda politica, quasi voler suggellare l’esigenza di un paracadute nel caso di fallimento del matrimonio, per evitare la litigiosità che necessariamente accompagna ogni divorzio.

Al contrario, se lo Stato riconosce l’importanza della Famiglia, costituita sì da singole persone con diritti e doveri, ma essa stessa soggetto giuridico da tutelare, è necessario che al centro del dibattito politico vengano posti provvedimenti sistemici tesi a sconsigliare il salto nel vuoto costituito dal divorzio e, possibilmente, recuperando quella consapevolezza che dovrebbe accompagnare i coniugi nel momento del consenso a costituire una nuova famiglia.

D’altra parte, in modo assai lungimirante, la nostra Costituzione dedica ampio spazio alla Famiglia, riconoscendole rilevanza giuridica e imponendo al legislatore il compito di interventi a suo favore.

In quest’ottica si inserisce il sostegno materiale e sociale che il nostro paese (ed ogni Stato Civile) deve alle Famiglie. L’attuale quadro legislativo riconosce una serie di tutele (ferie per maternità, tutele in caso di malattia, assegni familiari, incentivi alla natalità, ecc.) che, pur riconoscendo gli obblighi della Società nei confronti delle famiglie, risultano ancora inadeguati. Essi infatti vengono concepiti come concessioni, a volte estemporanee, dello Stato alla Famiglia e non come diritto della Famiglia ad essere riconosciuta come soggetto giuridico essenziale per la sopravvivenza della Società.

Ad esempio, l’introduzione del quoziente familiare (di cui ciclicamente si discute), andrebbe nella giusta direzione: non più (o non solo) concessioni economiche ai lavoratori per i familiari a carico, ma l’idea che il reddito venga prodotto dall’intera famiglia e quindi suddiviso, ai fini fiscali, fra tutti i suoi componenti.

Quello del riconoscimento della famiglia come soggetto fiscale, è un tema delicato e di grande importanza, anche in relazione al problema del divorzio. E’ infatti innegabile che l’attuale quadro normativo produca vantaggi fiscali per le famiglie divorziate, negati alle famiglie regolari, sovvertendo così il principio che la Società ha interesse a mantenere le famiglie unite. Più volte ho pensato ad una forma di disobbedienza civile che veda nel divorzio una forma di risparmio fiscale.

Il riconoscimento del reddito familiare sarebbe un’innegabile conquista sociale, a rimedio di una evidente ingiustizia per la quale, a parità di reddito, un single sia da considerarsi molto più ricco di un padre di famiglia (magari numerosa), costretto a provvedere ai bisogni della famiglia ed a contribuire in modo molto più oneroso al mantenimento dei servizi primari per la Società (acqua, luce, ecc.).

La promozione delle famiglie, ovviamente, non passa solo attraverso sostegni materiali, ma deve tener presenti i compiti essenziali dei genitori, fra i quali l’educazione dei figli è il più rilevante ai fini sociali.

Ciò implica una rivisitazione profonda del sistema scolastico (primo supporto alle famiglie nell’educazione dei figli), troppo spesso staccato dal contesto familiare e, pertanto, incapace di promuovere una crescita armonica delle persone. La scuola non può muoversi su un binario parallelo alle famiglie, ma deve sviluppare sinergie con esse, al fine di promuovere un’educazione personalizzata per i ragazzi, rispettosa dei diversi tempi di crescita e dei diversi talenti di cui ciascuno è dotato. Le scuole pertanto devono definire un progetto educativo condiviso con le famiglie e sviluppare maggiormente il tutoraggio che, attraverso una triangolazione con le famiglie, sia in grado di verificare il raggiungimento degli obiettivi prefissati ed al contempo di definire gli strumenti educativi più idonei in perfetta simbiosi con le famiglie.

La recente riforma della scuola ben si inquadra in quest’ottica, e se è vero che la scuola italiana ha avviato un processo di profonda trasformazione, è anche vero che ancora troppo spesso è negata la libertà di scelta della scuola alle famiglie. Ciò è legato principalmente al timore di affrontare in modo deciso la problematica delle scuole non statali, maggiormente se promosse dalle famiglie, verso le quali si nutre, nel migliore dei casi, una notevole indifferenza, se non un vero e proprio ostracismo che si rifà al pensiero del socialismo reale (ed in genere di tutti i regimi totalitari) per il quale lo Stato è elemento centrale nell’educazione dei giovani.

Anche in questo caso, lo Stato interviene con aiuti alle scuole non statali che, oltre ad essere discutibili sul piano costituzionale, non centrano il cuore del problema: l’importanza della scuola come sostegno educativo alle famiglie.

Ecco perché, pur essendo fermamente convinto dell’importanza delle scuole non statali, non condivido la concessione di contributi diretti alle scuole, bensì aiuti diretti alle famiglie (p. es. buono scuola spendibile in qualsiasi scuola, statale e non), che le rendano effettivamente libere di scegliere il progetto formativo più idoneo per i propri figli, nel rispetto di standard ed obiettivi minimi comuni a tutte le scuole.

Si potrebbe continuare ad elencare provvedimenti tesi a sostenere le famiglie nel loro importante ruolo di motore della Società e l’elenco delle cose possibili da fare sarebbe lungo, ma si ritiene che gli esempi su citati siano sufficienti a dimostrare come lo Stato possa intervenire senza violare l’intimità delle Famiglie e al contempo svolgendo una funzione di stimolo per scelte responsabili e libere.

È triste pensare che i nostri giuristi siano impegnati a definire situazioni border line o a ricercare esclusivamente norme di tutela per decretare la fine delle famiglie e siano scarsamente attenti a tutelare le famiglie sane. Occorre ribaltare questa tendenza, senza nessuna  discriminazione per famiglie malate e figli dei divorziati, ma con la consapevolezza che la verità non vada mai nascosta a nessuno, nemmeno per un mal interpretato senso di comprensione, rispetto o delicatezza: se è vero che il divorzio è una terapia per curare una patologia della famiglia, allora è necessario che i pazienti ovvero tutti i componenti della famiglia ne siano pienamente consapevoli. Il medico non può e non deve nascondere le malattie al paziente, tentando di rimuovere quel senso di colpa che innegabilmente affiora nella coscienza di ciascuna persona per il fallimento di un progetto.

Di contro, è necessario che lo Stato, in tutte le sue articolazioni,  facciano sentire alle famiglie sane tutta la comprensione e la vicinanza per un compito così gravoso come è quello dell’educazione dei figli, che, se non assolto al meglio delle proprie possibilità, decreta la morte della Società civile ed il trionfo della barbarie.