E la giustizia finì vittima dello zapping

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E la giustizia finì vittima dello zapping

08 Ottobre 2007

Luglio del 1994. Un mattino afoso, qualche giorno prima
del solito grande esodo estivo. Nugoli di cronisti bivaccano ormai da mesi
fuori dal Palazzo di Giustizia (?) di Milano, tra tintinnii di manette ed
avvisi di garanzia. Tre magistrati dalla Procura della Repubblica, tre stelle
ormai del firmamento mediatico, compaiono in televisone ed intimano al
Parlamento di non promulgare il decreto Biondi (che la lungimirante, come
sempre, opinione pubblica chiamava “salvaladri”). E lo sciagurato Parlamento
ubbidì.

Fu il compimento, l’atto finale, il suggello del periodo
più buio della democrazia italiana del dopoguerra, la resa incondizionata della
sovranità popolare al giustizialismo. Un potere giudiziario senza contrappesi
dettò l’agenda al potere legislativo, con il supporto di una piazza forcaiola
ed impazzita, succube di un’opinione pubblica irresponsabile e sapientemente
guidata da chi da quei terribili anni trasse potere e legittimazione.

Erano gli anni nei quali un avviso di garanzia equivaleva
ad una condanna in Cassazione, gli anni in cui le sbarre furono usate per
forzare confessioni e spesso delazioni,  in
cui ci si uccideva per la vergogna o per un sospetto, in cui qualcuno poteva
non sapere mentre qualcun altro non poteva, e fu mandato a morire in esilio.
Erano gli anni in cui la stupidità intrinseca della cosidetta società civile,
dette la sua più grande dimostrazione di inciviltà, in cui i diritti
dell’imputato o peggio dell’indagato venivano continuamente lesi.

Di quasi 20’000 avvisi garanzia risalenti a quel periodo,
le condanne passate in giudicato si contano in poche unità e sono certamente
inferiori al numero dei magistrati allora protagonosti, che nel frattempo hanno
cambiato mestiere a suggello dell’acquisita popolarità. Fiumi di interviste sui
giornali, nelle quali le toghe fornivano patenti di immoralità e questo ed a
quello, per poi cadere in frequenti amnesie funzionali alla classe politica che
avrebbe dovuto prendere il potere.

Poi arrivò qualcuno e ruppe le uova nel paniere, la gioiosa macchina da guerra si inceppò ed
il piano che aveva come scopo di “rivoltare l’Italia come un calzino” sembrò
tentennare. Non restava quindi che far fuori quel parvenu della politica, infiltratosi nella vita pubblica italiana.
E così fu. Centinaia di perquisizioni, pagine e pagine di dossier, fino ad un avviso
di garanzia al Presidente del Consiglio rappresentante l’Italia in un consesso
internazionale, comunicato, prima al Corriere della Sera, poi al Presidente
della Repubblica (quello dell’ “io non ci sto”) e poi all’interessato.

Contemporaneamente nacquero i tribuni, categoria di
comunicatori dal  grande ego e nostalgie
da Termidoro, che dalle colonne dei giornali e dalle televisioni, supportati
dai soliti giullari viscidi e striscianti con spiccate tendenze coprofile,
predicavano la loro morale da tagliagole … e “partigiano portami via .. o bella
ciao, bella ciao, ciao ciao!”.

Tribuni abili ed arruolati in campagna elettorale, che
letteralmente due giorni prima del voto, sbeffeggiano in prima serata tv, uno
dei candidati premier tra il plauso e i supporto dei rappresentanti della parte
avversa.

Poi venne l’editto di Bulgaria (per usare la definizione
della neutrale e super partes grande
stampa), nel quale semplicemente si descrisse ciò che era accaduto, un uso
criminogeno del mezzo pubblico in campagna elettorale. Apriti cielo! Ci fu la
rivolta nel nome della libertà di stampa e di opinione e i tribuni, nel
frattempo diventati martiri, presero altre vie, tra laute liquidazioni, seggi
al Parlamento Europeo e risarcimenti per danni biologici (avete capito bene,
biologici).

Il resto è attualità. I tribuni sono tornati a furor di
popolo, e di opinione pubblica, insieme ad una nuova generazione di magistrati,
più a loro agio davanti alle telecamere che nelle aule di tribunali, forti
degli insegnamenti dei colleghi di mani pulite, smaniosi di comparire, assetati
di protagonismo.

Così la storia si ripete, ineluttabile ed inarrestabile,
con una sola non irrilevante differenza: i mostri creati da quella cultura
antidemocratica e giustizialista di mani pulite si rivoltano contro il loro
padri putativi, contro coloro che nel passato li hanno usati ed accarezzati,
vezzeggiati e difesi, quando erano indifendibili, perché funzionali ai loro
disegni politici.

Ebbene, che si scannino tra loro, ma ci restituiscano la
certezza di una giustizia giusta, equilibrata, sobria, sorda ai rigurgiti della
piazza e dei suoi tribuni, autonoma da tutte le magistrature democratiche, fatta
nelle aule dei tribunali e non sui media. Si riguadagni quella credibilità di
cui un paese veramente democratico ha bisogno, magari iniziando a tenere in
carcere gli ex-brigatisti ora rapinatori ed evitando di accomodare in residence
vista mare, a spese nostre, assasini ubriachi pluriomicidi e senza perder tempo
a giudicare imputati morti. La Legge torni ad essere uguale per tutti.