E’ ora di tornare a discutere e investire in politica energetica

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E’ ora di tornare a discutere e investire in politica energetica

20 Settembre 2010

Mercoledì prossimo la commissione industria sarà chiamata a pronunciarsi sulla proposta di un’indagine conoscitiva sulla strategia energetica nazionale. Già un decreto legge approvato nell’estate del 2008 prevedeva l’adozione da parte del governo di un documento programmatico che indicasse le linee di politica energetica per il medio e lungo periodo entro la fine del medesimo anno.

Alla mancata predisposizione della strategia energetica è seguita la decisione, con il decreto nucleare del febbraio 2010, di incaricare l’esecutivo dell’approvazione della strategia nucleare entro lo scorso giugno. Un documento programmatico che non sostituisce il primo, ma anzi dovrebbe coordinarsi con la strategia energetica nazionale ed approfondire le linee da seguire nel settore nucleare.

Nelle more dell’esecutivo, il Parlamento intende quindi porre nuovamente al centro del dibattito la questione energetica, per raccogliere i dati utili a disegnare, grossomodo, i possibili scenari futuri. Si candida ad essere naturale centro gravitazionale del dibattito il nucleare, tema che ha occupato le prime righe dell’agenda del governo per qualche tempo, per poi essere trascurato proprio nel momento in cui è stato eretto l’impianto normativo per il ritorno dell’atomo ed erano state con esso fissate le tappe per l’attuazione della nuova politica nucleare.

Eppure, se nel 2008 l’impennata dei prezzi del petrolio aveva dato impulso all’emergere della questione nucleare, altrettanto forte dovrebbe essere la spinta data dalla crisi, che non è solo finanziaria, ma anche crisi dell’economia reale. Pare esser questo l’avviso del ministro Tremonti, che sabato scorso a Venezia ha evidenziato l’handicap di competitività di cui soffre l’economia italiana a causa degli elevati costi dell’energia, dovuti in buona parte all’inesistenza di centrali nucleari in Italia.

Ma in che termini è quantificabile il contributo che il nucleare può dare al paese? Quale collocazione può trovare l’atomo nel mix energetico nazionale? Questi i punti che la strategia nucleare e la strategia energetica nazionale dovranno approfondire, senza tuttavia la pretesa di poter fissare per decreto obiettivi che dovranno piuttosto adeguarsi a variabili che sfuggono alla preveggenza e ancor più al controllo della politica, quali i prezzi delle fonti energetiche concorrenti e le future tecnologie di estrazione, lavorazione e sfruttamento delle risorse naturali.

Di sicuro una strategia energetica realistica dovrà tener conto di alcune considerazioni. La prima è che il nucleare comporta costi fissi elevatissimi e costi variabili estremamente ridotti. L’energia prodotta dall’atomo costa mediamente il 30% in meno dell’energia prodotta dalle centrali termoelettriche. Ne consegue, però, che le centrali nucleari saranno capaci di abbattere i costi dell’energia se saranno mantenute in esercizio in modo costante e a pieno regime. Interrompere l’attività di una centrale un’operazione lunga e costosa, quindi l’energia nucleare non potrà essere utilizzata per coprire il fabbisogno di punta (peakload), ma solo la domanda costante. Il consumo di energia elettrica oscilla tra i 20-25 mila MW per toccare i 50 mila MW nei giorni lavorativi d’estate.

Il calo di consumi dovuto alla crisi ha interrotto il normale trend in aumento dei consumi elettrici. Ad ogni modo è evidente come la produzione di energia nucleare possa sostituire quella ricavata dalle centrali a gas nel soddisfare la domanda costante, oggi pari a circa 20-25 mila MW. Verrebbe così raddrizzato un mix energetico oggi sbilanciato sul lato della generazione di energia elettrica da gas (66,6% della produzione interna). In questo segmento di mercato il nucleare potrà allora competere e sostituire anche il carbone, da cui oggi si genera il 16,6% della produzione interna.

Occorrerà però tener conto del fatto che anche le fonti rinnovabili, ad esclusione del solare, contribuiranno in misura crescente a soddisfare la domanda elettrica. Già oggi l’idroelettrico copre circa il 15% del fabbisogno energetico. L’eolico non raggiunge ancora simili cifre ma è in forte crescita (+34,6% nel 2009). Il problema è che si tratta di una produzione non programmabile, per cui se non c’è vento occorre servirsi delle centrali termoelettriche capaci di modulare la produzione con più facilità e a costi contenuti.

Di qui un’ulteriore considerazione: proprio dalle centrali a gas non si potrà realisticamente che dipendere per compensare la non programmabilità delle fonti rinnovabili che oggi crescono in modo più sostenuto (eolico e fotovoltaico).

Posti gli obiettivi di un’energia più economica e più verde, il nucleare dà una risposta ad entrambi le esigenze, ritagliandosi un segmento di mercato oggi dominato dal settore termoelettrico. Lo sviluppo delle fonti rinnovabili potrà contribuire al perseguimento del secondo obiettivo, ma resta indispensabile il ricorso alle fonti tradizionali, capaci di fornire energia a costi superiori rispetto al nucleare, ma significativamente inferiori a quelli delle rinnovabili. In particolare gli idrocarburi, per quanto sia auspicata una minor dipendenza da esse, saranno pur sempre necessarie a compensare la non programmabilità delle rinnovabili in forte crescita e a coprire in buona misura la componente variabile della domanda.