E’ sbagliato opporsi alle politiche pro crescita, tanto più se sono a costo zero

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E’ sbagliato opporsi alle politiche pro crescita, tanto più se sono a costo zero

21 Febbraio 2012

L’Italia è in recessione. Lo ha certificato l’Istat registrando per il 2011 l’andamento negativo dei due ultimi trimestri, con un calo di 0,2 nel prodotto nazionale lordo, nel terzo trimestre, e dello 0,7 nel quarto. Il governatore della Banca di Italia Ignazio Visco stima, per il 2012 una riduzione del Pil dello 1,5% Fra le cause emerge la contrazione a dicembre di 20 miliardi dei prestiti alle imprese. Occorre dunque che il governo agisca per stimolare le banche a ricapitalizzarsi e per indurle, anche con proprie misure, nel credito agevolato, ad evitare l’asfissia del credito. Senza dubbio, accanto alla stretta del credito, che ha investito tutta l’eurozona con l’eccezione della Germania e di pochi altri stati, c’è la caduta della domanda interna, dell’Unione europea, sia nell’area euro, che fuori, dovuta a un complesso di fattori, fra i quali è importante, assieme alla carenza di credito, la politica di riduzione dei deficit, nei bilanci pubblici.

Occorrerebbe, dunque, che a livello europeo, si reagisca a questa situazione, con una politica delle istituzioni comunitarie, rivolte a rilanciare la spesa per infrastrutture. Ma temo che ciò non accada, perché l’Europa è troppo concentrata sulle misure di rigore e sul problema della Grecia, per occuparsi di questa priorità. Una speranza può venire, invece dalla Bce, la Banca centrale europea, che in dicembre ha varato la "Ltro", la Long term refinancing operation, offrendo alle banche, al tasso di interesse dello 1 per cento, prestiti a tre anni in cambio di garanzie consistenti in crediti di vario genere agli stati e alla clientela bancaria. Essa, come preannunciato, si appresta a fare altrettanto alla fine di questo mese, per altri 400-500 miliardi. Sino ad ora le banche hanno utilizzato questa risorsa di politica monetaria non convenzionale soprattutto per comprare titoli del debito pubblico e per accrescere la propria liquidità, con un aumento dei loro depositi presso la Bce, al fine di aumentare i propri margini di sicurezza. Le banche italiane hanno fruito del primi Ltro per circa 50 miliardi. Con la seconda operazione della BCE, le banche non avranno più bisogno di creare nuova liquidità per la propria sicurezza e potranno disporre dei mezzi ottenuti con Ltro sia per comprare titoli pubblici che per dare credito.

Non bisogna però nascondersi che ci sono, a questo riguardo, due ostacoli. Innanzitutto, i parametri patrimoniali delle nostre banche non sono ancora abbastanza ampi per una politica di credito espansiva. Inoltre, pesa sulle banche, l’incognita della solvibilità delle imprese, che si trovano in situazioni difficili. E le politiche tributarie adottate dal governo Monti hanno posto un particolare fardello fiscale sugli immobili, deprimendo il settore edilizio, che è molto importante per la domanda interna.

Le banche si devono ricapitalizzare, ma sarebbe bene che lo facessero anche le imprese. Una misura importante, per la ricapitalizzazione delle società per azioni, può consistere nella riduzione allo 1% dell’imposta di registro per tutti i conferimenti di beni reali, per aumenti di capitale, secondo la regolamentazione che l’Unione europea ha suggerito. L’Italia, con cavilli giuridici, riguardanti l’autonomia dell’imposta di registro sui trasferimenti di immobili, sino ad ora non ha voluto applicare questa aliquota ridotta, assimilando i conferimenti di capitale ai trasferimenti immobiliari. Adottando tale norma europea, per tutti i conferimenti di nuovo capitale, da parte dei soci preesistenti o di nuovi soci, alle società di capitali, che svolgono attività agricola, finanziaria, industriale, commerciale, di servizi, si attua una importante misura pro crescita, che rientra fra le politiche di liberalizzazione. Ciò perché questa regola europea riguarda la libera circolazione dei capitali, ossia la libertà di investimento.

E’ errato opporsi alle politiche attive pro crescita con l’argomento che non ci sono soldi per il rilancio economico. Infatti misure come quella appena accennata, non comportano una perdita di gettito, forse addirittura ne generano un incremento, perché le alte aliquote del tributo di registro bloccano i conferimenti di immobili, in conto aumento di captale.

Un altro provvedimento pro crescita che ha costo zero consiste nella riforma dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, con riguardo ai licenziamenti per comportamenti dei lavoratori che violano il rapporto di lealtà contrattuale, come quelli per ripetuti, ingiustificati assenteismi, per indisciplina e condotte estremamente negligenti, per reati che minano il rapporto di fiducia fra azienda e lavoratore. Questa modifica può risolvere problemi di efficienza e competitività. C’è, invero, una confusione con riguardo ai problemi dell’articolo 18: da un lato ci sono quelli, appena indicati, di efficienza aziendale. Essi interessano soprattutto le imprese minori, con meno di 15 addetti, che vorrebbero crescere, ma temono di dover sottostare al divieto di licenziare il personale che non si comporta in modo adeguato e di perdere l’efficienza. Ma essi interessano anche alle medie e grandi imprese, come attestano i contratti aziendali di Fiat auto.

Dall’altro lato ci sono i problemi dei licenziamenti per necessità di riduzione della mano d’opera riguardanti una tematica particolarmente delicata in una fase di recessione, come quella attuale. Per la soluzione di questo secondo tipo di problemi, è necessario di disporre di nuovi ammortizzatori sociali, sotto forma di sussidi di disoccupazione. Ma in questo periodo, data la carenza di mezzi della finanza pubblica, il solo modo per trovare la loro fonte di finanziamento consterebbe nello smantellamento della cassa di integrazione straordinaria o in un suo drastico smagrimento. Ma queste soluzioni sono improponibili, perché è proprio in una epoca come questa, in cui occorre effettuare ampie ristrutturazioni, che la cassa di integrazione straordinaria appare utile. In linea generale, la cassa di integrazione straordinaria è uno strumento utile, che va mantenuto, ma ridimensionato, per evitare che serva puramente per accompagnare all’età di pensionamento i lavoratori di imprese che non hanno prospettive di ristrutturazione. Se dal punto di vista puramente finanziario congiunturale attuale, ai fini della revisione dell’articolo 18, la cassa di integrazione straordinaria e i sussidi di disoccupazione per licenziamento, per riduzione di manodopera, sono alternativi, essi invece sono complementari. dal punto di vista strutturale.

Dunque l’articolo 18, a livello nazionale, va affrontato in due tempi. Nella prima fase, quella attuale, occorre rivederlo per consentire i licenziamenti riguardanti violazioni disciplinari. Nella seconda fase occorre rivederlo, ai fini della flessibilità in uscita, ridimensionando il ruolo della cassa di integrazione straordinaria, in quanto affiancata di sussidi di disoccupazione. E tuttavia, è desiderabile anticipare la tematica della flessibilità in uscita, recuperando i contenuti dell’articolo 8 del decreto finanziario di agosto, riguardante la contrattazione di secondo livello. Aggiungo che, comunque, la contrattazione aziendale va posta al centro dell’attenzione, ai fini della competitività della nostra economia, anche per differenziare le retribuzioni del Mezzogiorno rispetto a quelle del Nord e per collegare maggiormente le retribuzione alla produttività.

La politica di liberalizzazione non ha come priorità i medici, i notai, i farmacisti, gli avvocati. Ha tre priorità, la liberalizzazione delle reti, su cui ho altre volte insistito, la liberalizzazione dei conferimenti di capitale alle imprese, secondo le direttive dell’Unione europea e la liberalizzazione del mercato del lavoro, sia a livello di legislazione nazionale, sia a livello di contrattazione periferica. Nei periodi di crisi non bisogna lavorare di meno, ma di più. Sarebbe un errore immaginare che il problema fondamentale della riforma del mercato del lavoro sia quello dei licenziamenti per riduzione di manodopera. Il problema fondamentale del mercato del lavoro è quello della efficienza aziendale e della diversificazione retributiva in rapporto alla produttività.