E se il Tfr servisse per pagare il mutuo?
30 Ottobre 2008
Il trattamento di fine rapporto è servito, per decenni, al duplice obiettivo di costringere “paternalisticamente” i lavoratori ad accantonare parte della propria retribuzione (poco meno di una mensilità) e di finanziare le aziende a tassi inferiori a quelli del mercato del credito. Dal 2007, i lavoratori possono decidere di destinare il Tfr anche a forme di previdenza complementare; in alternativa, possono lasciarlo in azienda, se questa non supera i 50 addetti, o, se dipendenti di aziende più grandi, buttarlo nel calderone dell’Inps, avendone in cambio un interesse annuo garantito e stabilito per legge.
Nonostante le affermazioni trionfanti e irresponsabili della sinistra antagonista e antimercato (“E’ finita la stagione dei fondi pensione!” esulta Cremaschi della Fiom), i fondi pensione stanno dimostrando una rispettabile tenuta rispetto alla crisi finanziaria globale: perdono, ma perdono poco. I loro rendimenti – è vero – sono oggi inferiori a quelli garantiti “dallo Stato” ai lavoratori che hanno lasciato il Tfr in azienda o presso l’Inps, ma l’ orizzonte temporale di un investimento previdenziale va calcolato in decenni, non in trimestri, e nel lungo periodo i rendimenti dei fondi pensione saranno con ogni probabilità superiori a quelli assicurati dalle aziende o dall’Inps.
Ciò detto, un errore compiuto negli anni passati è stato quello di “spacciare” la possibilità di conferire il Tfr ai fondi pensione come il “decollo” della previdenza complementare. In realtà, perché questa possa davvero svilupparsi (e ovviare alle minori prestazioni che la previdenza pubblica potrà in futuro garantire), è opportuno che ad essa venga affidata una quota dell’ammontare complessivo dei contributi obbligatori, consentendo forme di parziale e progressivo opting-out dal sistema previdenziale pubblico.
Da questo punto di vista, il Tfr va visto per ciò che è: un buono strumento previdenziale, non “lo” strumento. E nessuno dovrebbe scandalizzarsi, allora, se si consentisse ai lavoratori di utilizzare il Tfr maturando non solo per la previdenza complementare, ma anche per pagare la rata del mutuo per la prima casa. A ben guardare, già oggi è possibile per i lavoratori richiedere l’anticipazione del 70 per cento dello stock di Tfr accumulato negli anni per l’acquisto della prima casa. Ma l’opzione è esercitabile solo dopo otto anni di lavoro, è soggetta ad un limite massimo di richieste per ciascuna azienda ed è di scarso aiuto per i giovani lavoratori che comprano casa. Molto più utile, pertanto, sarebbe la possibilità di destinare al pagamento del mutuo il Tfr maturando. Come propongono Benedetto Della Vedova e Giuliano Cazzola.
“Negli ultimi mesi – ha spiegato Della Vedova – emerge una crescente fatica a far fronte all’onere del mutuo”. La misura, secondo l’esponente liberale del Pdl, potrebbe essere "un utile strumento per rispondere alle esigenze di una fascia crescente di popolazione italiana. Vi sarebbero effetti significativi per i bilanci delle famiglie, che in media potrebbero coprire con il Tfr un terzo della rata mensile.”
I pignoramenti immobiliari sono in costante crescita anche in Italia: il Sole 24 ore di domenica scorsa riportava dati preoccupanti, aumenti compresi tra il 20 e il 30 per cento nei maggiori centri urbani e una situazione in costante peggioramento in tutto il Paese. In questo quadro, la possibilità di destinare il Tfr al pagamento di un mutuo farebbe la differenza tra il perdere e il conservare un immobile gravato da un’ipoteca. In cambio si avrebbero meno prestazioni previdenziali future? Sì, ma in Italia, più che in altri paesi, l’acquisto della prima casa ha da sempre finalità previdenziali. E non è un reato confidare nella libertà delle persone di scegliere come “proteggere” il proprio futuro.
Per le casse dello Stato, il costo (il minor gettito dovuto alle deduzioni Ires e ai minori oneri sociali da riconoscere alle aziende che perdono il Tfr dei lavoratori) sarebbe modesto: meno di 40 milioni di euro per ogni milione di lavoratori che scegliesse questo nuovo uso del Tfr. Insomma, qualche ora di sprechi nella sanità campana, per far quadrare i bilanci di centinaia di migliaia di famiglie.
Sono molte le vie con cui lo Stato può intervenire in questa crisi per alleviare la difficoltà dei più deboli: alcune criticabili, altre positive. Tra le prime, non si può purtroppo tacere dei 50 milioni di euro stanziati dal ministro Zaia per acquistare e devolvere in beneficienza 200mila forme di parmigiano reggiano e di grana padano (con l’esplicito obiettivo di sussidiarne il prezzo). Un danno per l’erario, senza reali benefici per l’economia. Le seconde sono quelle che meglio consentono agli individui e alle famiglie di affrontare la crisi con le proprie risorse: ad esempio, come suggerisce la proposta di Cazzola e Della Vedova, destinando il Tfr maturando al pagamento del mutuo sulla prima casa. Un utile suggerimento, di cui Tremonti farebbe bene a tener conto.