E se scrivessimo che la Boschi è cicciottella?
11 Agosto 2016
Adesso anche le gambe della Boschi sono diventate tabù. Contro la vignetta di Mannelli sul Fatto, con la ministra in minigonna, fioccano accuse di sessismo, s’invoca il buon gusto, la sacralità del corpo femminile, qualunque concetto a portata di mano che abbia una vaga attinenza con il tema. E dopo la disgraziata storia delle atlete olimpiche “cicciottelle”, tutto sembra possibile, anche licenziare un professionista su due piedi, nel paese dove non si licenzia qualcuno nemmeno se ha rubato.
Il politicamente corretto ha inquinato e confuso le idee, ha reso lecito invocare la censura per il più innocuo incidente verbale, e ha dato una mano -una bella mano- ai pretoriani del potere, ai tanti indignati a singhiozzo, quelli che vedono sempre la pagliuzza nell’occhio dell’avversario e mai la trave nel proprio. Per capirsi: quelli che sghignazzano se Crozza imitando Brunetta lo fa apparire un nano, ma scatenano la guerra atomica se Virginia Raffaele (che infatti non ha mai più osato ripetere l’exploit) dipinge la bella Maria Elena come una maga seduttrice.
Tutta la mia solidarietà, intanto, al povero Tassi, direttore del QS, rimosso per un titolo nemmeno offensivo (mi ritengo ormai anch’io una “cicciottella”, e se qualcuno lo scrive giuro che non ricorrerò ai tribunali: non l’ho fatto nemmeno di fronte a insulti veri). Un titolo analogo di quattro anni fa, in cui si citava la “pancetta” degli arcieri –maschi- vincitori di medaglia d’oro, passò indenne, e strappò al massimo un sorriso: la pancetta di un uomo vale meno di quella di una donna? Si tratta, fra l’altro, del primo licenziamento prodotto dal web, da un’onda impazzita di commenti tipicamente social, di fronte al quale l’editore è caduto nel panico. Ma i picchi infuocati sulla rete si producono con facilità e con la stessa facilità si spengono, e seguire pedissequamente gli umori del web vorrebbe dire, per un giornale, condannarsi alla volatilità e instabilità permanente della linea editoriale.
Intanto, la strada è stata aperta: ci sono paesi in cui chi infrange il politicamente corretto va in galera e paesi dove si licenzia, come gli Usa: basta ricordare il caso dell’Ad di Mozilla, Brendan Eich, definito dalla stampa americana un genio “mezzo artista e mezzo hacker”, cacciato perché aveva dato un piccolo contributo finanziario alla campagna contro il matrimonio gay. I divieti colpiscono infatti soprattutto i temi caldi della rivoluzione antropologica, e anche da noi l’ordine dei giornalisti aveva proposto un codice che vietava, per esempio, di usare le foto dei gay pride a corredo di articoli concernenti omosessuali, e metteva al bando definizioni di uso corrente come “utero in affitto”: meglio il più asettico “maternità surrogata”.
Insomma, Eich è stato solo la punta dell’iceberg: la censura e l’autocensura sono ormai, nel mondo occidentale, un fenomeno quotidiano, e tanti sono i condizionamenti, le pressioni, i licenziamenti che non finiscono sulle prime pagine. Dopo il caso Tassi anche l’Italia è perfettamente allineata all’Europa e agli Stati Uniti, con in più un tocco di partigianeria furbetta e di servilismo tutto italiano: la Boschi no, “Maria Etruria”, come la chiama Dagospia, non deve essere oggetto di satira. La satira per definizione non può che essere irriverente, e colpire i punti deboli, i difetti anche fisici: basti pensare alle orecchie e alla gobba di Andreotti, a La Malfa dipinto come una tartaruga per via delle rughe, alla statura di Berlusconi, e così via. Ma la Boschi no. Eppure non è stata nemmeno accusata di essere cicciottella.