Ebrei perseguitati a Parigi (e siamo nel Duemila!)
24 Gennaio 2018
Essere ebreo a Parigi nel Duemila. “Every year in France Jewish storefronts are vandalized, including arson in kosher supermarkets this past week”. Alexander Aciman sul New York Times del 16 gennaio spiega come in Francia ogni anno botteghe di ebrei siano devastate: e nelle scorse settimane sia stato incendiato un supermarket kosher. “Many of my fellow Jews in France are feeling today those early warning tremors of disaster felt by French Jews in the early 1900s and the 1930s”, molti dei miei amici ebrei in Francia si sentono come negli anni ’30 o all’inizio del Novecento, dice ancora Aciman. Quelli che se la prendono per le parole poco opportune di Attilio Fontana dovrebbero riflettere su quale sia oggi il principale pericolo per una pacifica convivenza tra convinzioni religiose differenti. D’altra parte basta ragionare sul fatto che il più clamoroso processo di persecuzione in atto (anche perché gli ebrei sono stati espulsi precedentemente) è quello in Medio Oriente contro i cristiani. Certo c’è anche una risposta musulmana a questa tendenza di fanatismo islamista in corso (che oggi, dopo la sconfitta dell’Isis, ha il suo cuore a Teheran), ed è importante che questa linea di moderazione sia decollata a Riad. Però l’iniziativa islamista a partire da Parigi stessa – come ricorda quell’ottimo scrittore che è Aciman- è oggi il principale problema europeo. Altro che quei quattro idioti di Casa Pound. E Giorgio Gori chiedendo “più moschee per tutti” non è proprio all’altezza del momento.
Dopo il Mattarellum, dopo il Porcellum anche il Rosatellum fa acqua da tutte le parti. “Far eleggere ogni parlamentare in un collegio di non più di 80-100mila elettori dove si può presentare un solo candidato per lista” così Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera del 23 gennaio. Ecco una proposta di soluzione della crisi del rapporto tra cittadini e rappresentanza politica che condivido totalmente. E’ evidente come la morte dei partiti ideologici novecenteschi, richieda un sistema per collegare elettori ed eletti che non può essere artificiale come tutte le soluzioni proposte nella stagione della cosiddetta Seconda repubblica. Abbiamo bisogno di un governo e di un’opposizione, di un vasto movimento liberal-conservatore e di un solido schieramento democratico-sociale. Le paure per l’elitismo dei collegi uninominali dell’Ottocento sono superate dai fatti: il piccolo establishment italiano è solo una succursale di influenze internazionali. Lo spettro del populismo che si agitava contro Giovanni Giolitti che voleva portare nello Stato i neri di Luigi Sturzo e i rossi di Filippo Turati, regge solo nella testa di traffichini (e dei loro ispiratori che vogliono poteri democraticamente irresponsabili) che rifuggono la partecipazione democratica. Le scelte politiche da Guerra civile europea, cioè innanzi tutto il comunismo/anticomunismo e il fascismo/antifascismo, non sono più attuali dopo la fine dell’Unione sovietica. Scegliamo dunque la via che meglio funziona come dimostrano largamente l’efficienza delle democrazie di Gran Bretagna e Stati Uniti. Certo il percorso è complicato. Qualche apertura c’è: l’idea di un’assemblea costituente, di referendum indicativi, la proposta di Giovanni Toti di una forza di centrodestra che vada dalla lega a Forza Italia. Anche a sinistra finita l’ubriacatura renzista e il morbo grillino forse c’è la speranza che si riprenda a ragionare secondo una logica nazionale e non solo di potere. D’altra parte, però, c’è il peso di una disgregazione assai estesa e di un sistema di influenze internazionali possente che l’alimenta.
Mentre abbaiavano contro i russi, si facevano infiltrare dai cinesi. “Face to face with a former C.I.A. officer in 2013, federal agents took a calculated risk. They did not confront him about the classified information they had found in his luggage. And they did not ask what they most wanted to know: whether he was a spy for China” Matt Apuzzo e Adam Goldman scrivono sul New York Times del 17 gennaio dell’enorme pasticcio combinato dalle varie agenzie per la sicurezza e dall’amministrazione Obma dal 2010 al 2016. Mentre si predicava che il pericolo venisse dalla Russia, i cinesi hanno infiltrato la Cia riuscendo così a far fucilare decine di collaboratori dell’intelligence americana residenti a Hong Kong e nel resto del celeste impero.
Maroni, Bannon, Paese che vai, vicende inimmaginabili che trovi. “Envisioning Breitbart without Mr. Bannon — or Mr. Bannon without Breitbart — was almost inconceivable a month ago” Immaginarsi Breitbart senza Steve Bannon –o Bannon senza Breitbart- un mese fa era inconcepibile scrive Jeremy W. Peter sul New York Times del 9 gennaio. Un po’ come immaginare un mese fa Roberto Maroni senza la Lombardia o la Lombardia senza Maroni. E’ la stagione della caduta dei fanti di picche quando la briscola è a fiori. A proposito del presidente uscente della Lombardia leggiamo per la penna di Franco Vannisulla Repubblica del 12 gennaio, cronaca di Milano: “Il presidente in carica della Lombardia è chiamato a rispondere di due distinti capi di accusa”. E’ ragionevole pensare che se un politico non si ripresentasse alle elezioni per un incarico cui quasi certamente sarebbe stato riconfermato e fosse insieme in attesa di un processo pericoloso per la sua carriera, tutti farebbero associazioni e pettegolezzi tra i due fatti. Tranne nel caso che, naturalmente, questo politico non fosse un utile strumento per attaccare quel “mostro” di Matteo Salvini.