Ecco le prove dell’asse jihadista tra Saddam e Bin Laden

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Ecco le prove dell’asse jihadista tra Saddam e Bin Laden

21 Marzo 2008

“Nessun legame tra Saddam
Hussein e Al Qaeda”. E invece i legami c’erano eccome. Non stiamo parlando di
due analisi opposte, ma di due pareri tratti dallo stesso studio, commissionato
dal Pentagono all’Institute for Defense Analyses e pubblicato alla fine della
settimana scorsa. L’impatto che il dossier ha avuto sui media statunitensi è
paragonabile a quello provocato lo scorso dicembre dal rapporto delle sedici
agenzie di intelligence statunitensi (il famoso “Nie”) sul programma nucleare
iraniano: un forte senso di disorientamento del pubblico e la convinzione che
George W. Bush abbia mentito o si sia sbagliato, che la sua politica estera sia
dunque basata su gravi errori. Ma proprio il contenuto del nuovo rapporto, così
come allora quello del “Nie”, dimostra che il presidente non aveva mentito, né
che si era sbagliato. Il precedente dossier sul programma nucleare iraniano è
stato letto come un’assoluzione piena dell’Iran, ma non negava affatto
l’esistenza di un programma nucleare a scopo militare, semplicemente giudicava
“poco probabile” la prosecuzione dei lavori per la progettazione e costruzione
di testate nucleari dopo il 2003, dunque uno solo degli aspetti della
proliferazione. Mentre è sotto gli occhi di tutti che in Iran va avanti
l’arricchimento dell’uranio per l’ottenimento di materiale fissile, utile anche
per la costruzione di bombe atomiche. Anche la neutrale Agenzia Internazionale
per l’Energia Atomica (che in alcuni casi si è sbilanciata a favore dell’Iran)
ha ritenuto poco chiaro lo scopo del programma di Teheran, ritenendo possibile
un suo uso militare.

Nel caso del più recente
rapporto sull’Iraq, l’effetto di distorsione mediatica dell’informazione è, se
possibile, ancora più evidente. In quasi cento pagine (con 1600 pagine di
appendice, il riassunto, ricco di estratti e citazioni, di un meticoloso lavoro
di ispezione su una parte dei 600.000 documenti iracheni sequestrati nel 2003)
si legge a chiare lettere come il vecchio regime di Baghdad fosse uno dei
principali sponsor del terrorismo internazionale islamista. Dai documenti, per
esempio, risulta che l’IIS, il servizio segreto del regime baathista,
collaborasse con la Jihad Islamica egiziana di Al Zawahiri, il braccio destro
(e la mente ideologica) dello “sceicco del terrore”, che fosse in contatto
anche con l’Esercito di Maometto del Bahrain, altro movimento che gli stessi
agenti segreti iracheni definivano “sotto l’ala di Bin Laden”. Tra le carte di
Saddam si trova un suo ordine del 1993 per inviare irregolari iracheni in
Somalia, per combattere contro gli americani al fianco di Bin Laden. Un
rapporto dell’IIS al dittatore di Baghdad fornisce i dati di tutti i
combattenti jihadisti accorsi a combattere in difesa del regime nel 1991,%0D
quindi ai tempi della Guerra del Golfo. Il numero dei combattenti stranieri è
costantemente cresciuto nei 12 anni successivi fino all’operazione Iraqi
Freedom del 2003. Nel 1998 Baghdad fornì finanziamenti e supporto ai campi di
guerriglieri nel Nord dell’Iraq, un patto che ebbe molta risonanza e fu
interpretato dai servizi di intelligence occidentali come l’atto di alleanza
tra Bin Laden e Saddam. Si trattava anche di un’alleanza di tipo ideologico e i
documenti lo provano. Il regime di Baghdad fu il più assiduo sostenitore della
causa jihadista, sia quella contro Israele, sia quella contro i regimi arabi
moderati. Nel solo 2002 si tennero in territorio iracheno, con il patrocinio
del Baath, ben 13 conferenze internazionali dei movimenti jihadisti, tutti
gruppi banditi dai paesi di origine. Il servizio segreto di Saddam, inoltre,
confezionò centinaia di passaporti falsi per terroristi internazionali. E i
gruppi per cui il servizio segreto di Saddam raccomanda un contatto sono
valutati in base alla loro capacità e volontà di colpire gli interessi
occidentali. Ad esempio, dell’Organizzazione Rinnovamento e Jihad, un movimento
jihadista clandestino palestinese, si legge che: “(i suoi appartenenti) Credono
nella jihad armata contro l’Occidente e l’America. Sono anche convinti che il
nostro leader, Saddam Hussein, che Dio lo protegga, è il vero leader della
guerra contro gli infedeli. I capi dell’organizzazione vivono in Giordania,
quando hanno visitato l’Iraq due mesi fa, hanno dimostrato la loro volontà a
condurre operazioni contro gli interessi americani in ogni momento”. Del
partito islamista di Hekmatyar, in Afghanistan, si apprezza il fatto che: “Sia
considerato uno dei più estremi movimenti religiosi contro l’Occidente e uno
dei più solidi partiti sunniti in Afghanistan. Questa organizzazione si basa
sul sostegno finanziario iracheno e manteniamo buone relazioni con Hekmatyar
sin dal 1989”.

Non solo il regime di Saddam
sosteneva finanziariamente e ideologicamente i gruppi stranieri, ma usava esso
stesso metodi terroristici. Ad esempio, nel capitolo “Terrorismo come strumento
del potere statale” si leggono rapporti dettagliati sui programmi dei servizi
di Saddam avviati nel corso degli anni ’90: reclutamento e addestramento di
“martiri”, costruzione di autobombe, studio di tecniche di guerriglia urbana,
preparazione degli ordigni da strada (gli stessi che stanno decimando da cinque
anni i veicoli della Coalizione), costituzione di campi per l’addestramento
alla guerriglia, invii massicci di armi e mezzi ai gruppi di guerriglieri. Lo
studio del Pentagono rivela prove sulla preparazione di attentati anche in
paesi occidentali, con tanto di invio clandestino di commando ed esplosivi.

Insomma, da questo rapporto
emergono prove a sufficienza per dimostrare che, ben prima del 2003, il regime
iracheno fosse uno sponsor attivissimo del terrorismo islamista. E dunque il
suo rovesciamento, specie all’indomani dell’11 settembre, era più che
giustificato.

Come è stato possibile
rovesciare questo messaggio chiaro? Lo stesso linguaggio usato dai redattori
del rapporto si presta a interpretazioni sbagliate: “Siccome il servizio di
sicurezza di Saddam e il network di Osama Bin Laden operavano per il
raggiungimento di obiettivi simili (almeno nel breve periodo), era inevitabile
una notevole sovrapposizione nel monitorare, contattare, finanziare e
addestrare gli stessi gruppi stranieri. Questo ha creato sia l’apparenza (corsivo nostro, ndr) sia un legame di fatto
tra le due organizzazioni. In alcuni casi, queste entità volevano operare
assieme per il raggiungimento di obiettivi comuni, ma hanno sempre mantenuto la loro autonomia e indipendenza per la loro
innata prudenza e mutua sfiducia. Sebbene l’esecuzione dei piani terroristici
iracheni non abbia sempre avuto successo, le prove mostrano che l’uso del
terrorismo da parte di Saddam e il suo sostegno ai gruppi terroristici rimase
forte fino al collasso del regime”. In un altro sommario si legge che “Benché
non vi sia la dimostrazione dell’esistenza di una ‘pistola fumante’ (il
coordinamento tra Al Qaeda e il regime di Saddam), le prove mostrano che…”. Si
tratta di un linguaggio molto prudente, inevitabile quando si parla di soggetto
impalpabile come Al Qaeda, un’organizzazione che tuttora si stenta a capire e
che è strutturata come una rete di legami informali, dunque priva di una sua
gerarchia e impossibilitata, per sua stessa natura, a stipulare patti o
trattati formali con altri soggetti esterni. Se si cercano contratti o trattati
segreti tra il signor Osama Bin Laden e il signor Saddam Hussein, non si
troverà mai nulla. Se si cercano le complicità, le collusioni e la cooperazione
tra i due, il rapporto del Pentagono fornisce prove a sufficienza.

Oltre a quel che si legge,
conta anche quello che si vuole leggere. Un linguaggio ambiguo, come quello del
rapporto, offre una magnifica opportunità alla stampa liberal per attaccare
Bush e il candidato repubblicano John McCain, che fonda tutto il suo credito
sulla promessa della vittoria in Iraq. La notizia è stata diffusa per la prima
volta dal McClatchy News Service, noto per essere contrario all’amministrazione
Bush, prima della pubblicazione sul web del rapporto. Un’altra anticipazione è
stata data dall’emittente di tendenza liberal ABC, poi ripresa dai due maggiori
quotidiani di area dichiaratamente democratica: il Washington Post e il New
York Times. Tutti hanno aperto con la stessa notizia: il Pentagono smentisce
Bush, perché non c’erano legami tra Al Qaeda e Saddam. Stephen Hayes,
editorialista di Weekly Standard, rivista vicina all’amministrazione Bush,
riferisce del disappunto dei funzionari del Pentagono nel leggere le prime
notizie sul loro rapporto: “Due funzionari si sono detti preoccupati per la
cattiva informazione riguardo al contenuto del rapporto. Uno di essi ha
dichiarato in un’intervista di considerare ‘sconcertante’ la copertura mediatica
del suo studio. Un altro, James Lacey, ha espresso la sua preoccupazione a Karen
Finn, dell’ufficio stampa del Pentagono, che stava gestendo la pubblicazione
dello studio. Martedì, il giorno prima della prevista pubblicazione, Lacey ha
scritto: ‘Questa storia sta trapelando. La ABC trasmetterà questa sera un
servizio basato sul riassunto del rapporto. Il Washington Post sta redigendo un
articolo basato sul servizio della ABC. Il documento è stato mal interpretato.
Io chiedo che venga immediatamente pubblicato su Internet”. La lentezza
burocratica ha fatto sì che passasse e si diffondesse la versione male
interpretata dei media liberal prima della versione ufficiale del rapporto
commentata dai funzionari del Pentagono che lo avevano commissionato. Ora tutti
coloro che vogliono contestare la guerra in Iraq, hanno un’arma in più. Possono
affermare che si tratta di una guerra sbagliata, perché: “lo dice anche il
Pentagono”. Non è vero, ma a tanti piace pensare che sia così.