Ecco perché gli esami di riparazione ci piacciono
13 Ottobre 2007
Chiunque abbia avuto modo di ascoltare le dichiarazioni rilasciate ai telegiornali ed ai quotidiani dagli studenti che si oppongono alla reintroduzione degli esami di riparazione ha avuto modo di rendersi conto sia del carattere farneticante delle motivazioni della protesta, sia, indirettamente, dello stato di profonda prostrazione in cui è, ormai da decenni, piombata la nostra scuola media. L’abolizione degli esami di riparazione è stato uno dei provvedimenti più infelici del primo governo Berlusconi, e sarebbe interessante conoscere i nomi di quei pedagoghi ed esperti che l’hanno suggerito. L’aspetto negativo di quegli esami era indubbiamente il suo dar vita ad una sorta di mercato nero della preparazione scolastica tramite il quale gli insegnanti avevano modo di integrare i loro magri stipendi. Ma quegli esami avevano anche degli aspetti positivi che andavano al di là della possibilità di colmare lacune di preparazione.
Essere rimandati significava infatti rovinare le ferie estive della famiglia sia perché sottraeva risorse alle medesime, sia perché costringeva i genitori a far dei salti mortali per poter contemporaneamente andare in vacanza e consentire al pigro studente di seguire le lezioni private nella sede di residenza. La conseguenza era che i genitori, spinti da questi due incombenti calamità, prestavano maggiore attenzione al rendimento scolastico del proprio figliolo e, anche per motivi di bieco interesse, erano più attenti alla sua attività scolastica.
E questo senza dimenticare che l’eventualità di essere rimandato, se non altro per evitare noie familiari, spingeva l’indolente studente –sovente distratto da attività ed interessi ben più appaganti del seguire con attenzione le lezioni di matematica, filosofia, latino, o estimo– ad essere più attento a scuola e maggiormente rispettoso dei propri insegnanti.
Facile, a questo punto, immaginare la pacchia generata dall’abolizione dei temuti esami di riparazione. Che motivo c’era di impegnarsi se tanto si poteva colmare con calma e al termine delle vacanze il deficit formativo? E perché esser rispettosi di un insegnante che comunque non poteva turbare le vacanze estive? Perché studiare quando il mondo moderno offre tante e più allettanti possibilità di svago?
È pressoché evidente che motivare alla serietà ed al rigore degli studi adolescenti che molto spesso hanno per la testa obiettivi diversi dall’acquisire una preparazione utile per la vita è impresa difficile se non disperata. È vero che diversamente da quanto avveniva nel passato la scuola non era più l’unico luogo in cui acquisire cultura. Ma è anche ipotizzabile che lo studente disattento o svogliato a scuola difficilmente avrebbe colmato le proprie lacune culturali attingendo a libri e ad internet. E comunque, per non restare degli eterni autodidatti dilettanti, una preparazione di base è comunque necessaria.
Il risultato fu la trasformazione della scuola in una perdita di tempo o in un luogo di svago, mortificante tanto per i docenti, quanto per quegli studenti che si impegnavano e che provavano un senso di frustrazione nel vedere alla fine promossi anche quei compagni che non avevano studiato. Perché impegnarsi se tanto la scuola era una buffonata in cui tutti venivano promossi?
Gli esiti di quegli anni di lassismo si misurano oggi nelle dichiarazioni e nelle argomentazioni degli studenti che si oppongono alla reintroduzione degli esami di riparazione. Quelli della mia generazione che si sono affacciati nelle scuole dei propri figli hanno assistito a spettacoli che sarebbero stati inimmaginabili ai tempi in cui andavano a scuola.
Pertanto, e non per la malinconica nostalgia della giovinezza, la reintroduzione degli esami di riparazione non è che il primo passo per riabilitare la scuola secondaria. Aggiungerei di più, anche senza spingermi alla proposta di reintrodurre pene corporali per i neghittosi dato che, per via del buonismo che caratterizza i tempi che corrono, sarebbe difficile trovare volontari disposti ad infliggerle. Darei ad ogni insegnante la possibilità di ‘rimandare’ indipendentemente dalla valutazione del consiglio di classe. Dopo di che, ne son sicuro, se non altro per motivi di edonismo vacanziero, qualche genitore farebbe del volontariato tra le mura domestiche, ed altri seguirebbero con maggiore ed interessata attenzione i progressi scolastici dei propri figlioli ed anche la loro condotta. E questo avrebbe degli effetti benefici anche per gli studenti stimolandoli a comportarsi bene e a studiare. Non si tratta certo di proposte in linea con gli attuali orientamenti pedagogici, ma potrebbero avere il vantaggio di non rovinare le vacanze agli studenti e ai propri familiari.