Ecco perché la legge delega sul nucleare non tradisce la nostra Carta

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Ecco perché la legge delega sul nucleare non tradisce la nostra Carta

26 Luglio 2010

La Corte Costituzionale ha reso note le motivazioni della sentenza con cui ha respinto i ricorsi delle regioni contro la legge delega sul nucleare (legge 99/09). Secondo la Consulta, la delega conferita al Governo per disciplinare il processo che porta alla realizzazione di nuove centrali nucleari è conforme alla Costituzione perché non lede direttamente la sfera di competenze delle amministrazioni regionali. Queste lamentavano il loro insufficiente coinvolgimento sia nel procedimento normativo (ove si prevede il solo parere della Conferenza di servizi per l’adozione dei decreti d’attuazione) che in quello amministrativo di autorizzazione degli impianti.

Quanto al primo aspetto, la sentenza ricorda che “le procedure di cooperazione o di concertazione possono rilevare ai fini dello scrutinio di legittimità di atti legislativi, solo in quanto l’osservanza delle stesse sia imposta, direttamente o indirettamente, dalla Costituzione, il che nella specie non si verifica”.
Per chiarire il secondo punto, il giudice delle leggi fa un richiamo al “fondamentale canone dell’interpretazione costituzionalmente conforme (sentenza n. 292 del 2000), la cui osservanza si impone allo stesso Governo, sicché a radicare l’interesse regionale al ricorso non sarà sufficiente che essa si presti ad una lettura lesiva dell’autonomia regionale, ma occorrerà che tale lettura sia l’unica possibile, pur impegnando ogni strumento interpretativo utile”. Insomma, una delega legislativa è conforme alla costituzione se può esser interpretata in modo ad essa coerente. Nella fattispecie, la delega in materia nucleare detta criteri direttivi e principi non in contrasto con la Costituzione; piuttosto, manca di dire qualcosa già previsto dalla Costituzione.

Le regioni lamentavano la mancata previsione di strumenti di leale collaborazione, ovvero l’intesa regionale, cui deve essere subordinata la chiamata in sussidiarietà per l’esercizio accentrato delle funzioni amministrative da parte dello Stato in una materia di competenza legislativa concorrente come quella relativa alla produzione di energia. È tuttavia da rimarcare che l’intesa regionale, se non è espressamente prevista dalla delega, non è nemmeno preclusa dalla stessa.

Ricorda la Consulta che “non determinano illegittimità costituzionale della delega eventuali omissioni, da parte del legislatore delegante, nella configurazione dei princìpi e dei criteri direttivi, pur in sé suscettibili di evolvere in un vulnus costituzionale, ove le carenze di idonei riferimenti ai princìpi costituzionali non siano colmate dalla successiva attività di “coerente sviluppo e, se del caso, di completamento”. Pertanto, è scontato che il Governo debba sempre rispettare la Costituzione, oltre che i criteri fissati nella delega al parlamento; non è quindi necessario che nella delega siano ripetuti principi e limiti che si evincono dal dettato costituzionale. Quello che conta, allora, è il modo in cui la delega è esercitata, ossia quanto previsto dal decreto legislativo 31/10, con cui il Governo ha dettato la disciplina del procedimento di autorizzazione degli impianti nucleari.

L’obbiettivo si sposta quindi sulle norme d’attuazione. La delega e la scelta di fondo operata con quest’ultima, ossia il ritorno al nucleare, non è in discussione. Pezzi della nuova disciplina rimangono però in bilico. Il citato decreto è, infatti, oggetto di un ulteriore ricorso da parte delle Regioni, su cui la Corte costituzionale dovrà prossimamente pronunciarsi. Va comunque detto che nel testo del decreto sono previste sia forme di intesa con le regioni, che con le altre amministrazioni coinvolte. Nemmeno se riferite al decreto attuativo, sembrano quindi fondate le predette censure delle regioni.

Fatta salva la delega e la struttura portante della normativa in materia di energia nucleare, l’unico elemento che rischia di cedere sotto il peso di una futura pronuncia della Consulta riguarda il potere sostitutivo del Governo in caso di mancata intesa regionale. La delega ha previsto la possibilità per lo Stato di ricorrervi in caso di mancata intesa degli enti locali. Le Regioni vi si oppongono nella misura in cui il potere sostitutivo può essere esercitato anche nei confronti dell’intesa regionale.

Secondo la Corte, l’argomentazione “si basa sull’erroneo presupposto interpretativo, per il quale la disposizione impugnata si applicherebbe alle intese con le Regioni: infatti, nel vigente assetto istituzionale della Repubblica, la Regione gode di una particolare posizione di autonomia, costituzionalmente protetta, che la distingue dagli enti locali (art. 114 Cost.), sicché si deve escludere che il legislatore delegato abbia potuto includere le Regioni nella espressione censurata (sentenza n. 20 del 2010)”.

Sulle modalità di superamento della mancata intesa regionale previste dal decreto legislativo 31/10 si scontreranno quindi le tesi delle regioni ricorrenti e quelle difese dall’avvocatura dello Stato. Per la localizzazione degli impianti, in caso di mancato rilascio dell’intesa, si prevede la costituzione di un comitato interistituzionale e, se i lavori di questo non si concludono con un accordo, si procede con una delibera del Consiglio dei Ministri in composizione allargata al presidente della Regione. La localizzazione di tutti gli impianti viene poi ratificata dall’intesa della Conferenza unificata.

Nel successivo iter di autorizzazione dell’impianto (momento separato dalla sua localizzazione), il potere sostitutivo del Governo è, invece, previsto solo per la mancata intesa di un ente locale. Su queste disposizioni si attende ora il giudizio della Corte Costituzionale, che dovrà dire se sono sufficienti o meno le garanzie di autonomia così riconosciute alla regioni. Ma la sentenza depositata la scorsa settimana dà indicazioni sull’orientamento della Corte Costituzionale in materia di energia nucleare utili per pronosticare l’esito degli altri ricorsi che vedranno le regioni sul banco degli imputati, anziché lo stato. Nelle motivazioni, infatti, la Corte afferma che non può essere in discussione “la scelta operata dal legislatore nazionale di rilancio della fonte nucleare, la quale esprime con ogni evidenza un princìpio fondamentale della produzione dell’energia”.

Per quanto sia quasi lapalissiana l’appartenenza delle norme che consentono la produzione di energia nucleare al rango dei principi fondamentali che lo Stato è chiamato a fissare nell’ambito delle materie a competenza concorrente, è significativo che la Corte si esprima al riguardo, quando si attende un suo giudizio sulle interdizioni poste per legge da alcune regioni alla realizzazione di centrali nel proprio territorio. Insomma, un’anticipazione del probabile esito dei ricorsi presentati contro le leggi regionali che, di fatto, si pongono in contrasto con quello che ora possiamo chiamare senza tema un principio fissato dallo Stato in una materia concorrente, ossia la libera produzione di energia da fonte nucleare.