Ecco perché la previdenza complementare non decolla
19 Giugno 2007
In Italia la previdenza complementare non decolla per ragioni più profonde dell’illusione dei sindacati di far tornare indietro l’orologio, o per la speranza di qualche sindacalista (e non solo) di tentare un po’ di particolarismi.
Alla fine del primo semestre 2005, gli aderenti a fondi pensione o a piani previdenziali individuali erano 2,9 milioni pari al 12% degli occupati e le risorse (uno stock) 42 miliardi di euro pari al 3% del pil (un flusso)-meno dello 0,3-0,2% dello stock di ricchezza degli italiani. Ossia un’inezia . Questa piccola “cagnotte” è frantumata in Italia su 635 fondi, 135 di nuova istituzione (in base alle normative degli ultimi anni) e 500 preesistenti. I fondi negoziali sono 43, interessano ormai tutti i settori dell’economia ma hanno appena 1,1 milioni di iscritti; nel 2004, nonostante gli sforzi per incoraggiarli, gli iscritti sono aumentati appena del 2,7%; pare che ci sia stata addirittura una decelerazione nel primo semestre 2005.
Il fondo Espero, dedicato al vasto comparto scuola, ricerca ed università, ha appena 30.000 aderenti. Se Sparta piange, Atene non ride: l’ottantina di fondi “aperti” avevano meno di 900.000 iscritti il 31 dicembre 2004 (con una crescita del 3% nei 12 mesi precedenti); anche se le adesioni hanno dato segni di vivacità negli ultimi mesi (e ciò ha attizzato la polemica sul decreto tfr/tfs) , è illusorio pensare che arrivino mai ad un alto tasso di copertura.
Pensare che la destinazione del tfr/tfs risolva il problema equivale a credere che l’aspirina risolva malattie oncologiche. Occorre affrontare questi nodi di fondo. Partiamo dal primo: l’alto livello della contribuzione obbligatoria (il 33% in Italia rispetto ad esempio al 7% in Gran Bretagna ed al 18% circa in Francia e Germania) che rende oggettivamente difficile il risparmio a molte fasce di lavoratori (specialmente quelli più giovani e con famiglia). Poi c’è la polverizzazione del settore che ha dato vita ad una miriade di fondi lillipuziani che rischiano di essere fortemente penalizzati alla prima tensione sui mercati finanziari e spazzati via al primo temporale azionario o monetario. A raffronto dei 135 “nuovi” fondi nostrani ed ai 500 preesistenti, quando vennero varati i fondi pensioni cileni (sostitutivi non integrativi della previdenza obbligatoria) , il loro numero venne limitato a sei proprio per assicurare che fossero sufficientemente robusti. Il libro “Workable pension systems”, uscito negli Usa e di cui il sottoscritto è uno dei co-autori, conferma l’esigenza di fondi con una consistenza tale da poter avere una strategia adeguata di diversificazione del rischio.
Ancora: la diffidenza dei lavoratori (che di solito sanno leggere, scrivere e far di conto) nei confronti della capacità delle parti sociali di sapere orientare e vigilare le società di gestione del risparmio. Ad esempio, la mattina del 21 ottobre veniva diffuso su Internet un saggio di Harry M. Kat, Theo P. Kocken, Jan Willem-Engel (il primo della City University of London e gli altri due di Cardano Risk Management) sull’impiego degli hedges di altri derivati per risolvere la crisi dei fondi pensione britannici. Sono i componenti dei consigli di vigilanza in grado di trattare queste materie.
Il consiglio è che, in mercati aperti, chi vuole aderire a fondi pensione complementari guardi con attenzione a quelli internazionali . Tfr/tfr non sono che un palliativo. Che darà un contributo limitato sino a quando non saranno risolti i nodi indicati.