Ecco perché quella dell’apocalisse amazzonica è una grande fake news

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Ecco perché quella dell’apocalisse amazzonica è una grande fake news

Ecco perché quella dell’apocalisse amazzonica è una grande fake news

26 Agosto 2019

Da almeno trent’anni la minaccia della riduzione, o addirittura del’estinzione, della foresta pluviale amazzonica è un cavallo di battaglia dell’ideologia ambientalista in versione apocalittica, che la addita come causa dell’effetto serra, con annesso fatale riscaldamento globale dell’intero pianeta.

Intendiamoci, il problema esiste ed è serio. Non tanto per le famigerate emissioni di anidride carbonica e per l’impoverimento dell’ossigeno, perché quest’ultimo proviene in prevalenza dagli oceani e il collegamento tra emissioni di CO2 e mutamento climatico è quanto meno molto dubbio; bensì sicuramente perché la riduzione delle foreste vergini danneggia drammaticamente la biodiversità, che è una risorsa essenziale nche all’habitat umano. Ma se si affrontano i problemi ambientali in modo razionale e non ideologico, fondandosi sull’esperienza dei paesi industrializzati più sviluppati, si deve concludere inequivocabilmente che la soluzione ad essi può venire soltanto dall’azione combinata dello sviluppo economico e della tecnologia. Applicando questo criterio al caso specifico della foresta sudamericana, la tendenza delle popolazioni locali ad abbattere selvaggiamente aree di vegetazione pluviale per utilizzare il territorio a scopo imprenditoriale e speculativo potrà essere arginata non mettendo la foresta sotto vetro e trasformandola in un santuario (o in un grande zoo) ma piuttosto modernizzando e tecnologizzando agricoltura e allevamento, in modo da rendere produttivo e ricco il territorio circostante e più affluente la popolazione dei paesi su cui essa sorge, evitando così assalti disordinati alle sue risorse.

Al contrario, l’ambientalismo ideologizzato e anti-sviluppista dà della questione una rappresentazione mitologizzata, fondata sempre sull’assunto per cui la presenza degli insediamenti umani, la crescita economica e quella demografica sono eventi nefasti, dalle conseguenze catastrofiche, e si dovrebbe riportare indietro le lancette dell’orologio, restaurare la “purezza” originaria, limitare le pretese della civilizzazione.

Ma negli ultimi tempi abbiamo assistito ad un’evoluzione ulteriore dell’ecologismo antiumanistico. Grazie al movimento lanciato dalla giovane Greta Thunberg esso si è ormai infatti strutturalmente fuso, anche dal punto di vista simbolico e da quello della militanza (dal punto di vista culturale lo era già sostanzialmente), con le altre forme assunte dal progressismo relativistico occidentale contemporaneo: il multiculturalismo globalista “no border” e il “dirittismo” biopolitico. Il tutto in nome della lotta contro gli “uomini neri”, gli spauracchi più temuti da tutte le élites radical chic in giro per il mondo: i cattivisssimi sovranisti, oggi al potere in alcune grandi democrazie occidentali, dipinti come i perfidi nemici della civiltà contro cui coalizzare tutte le forze del bene.

E così in questi giorni il grande mito della foresta amazzonica è stato richiamato in servizio dalla grande rete dei media e delle organizzazioni politiche progressiste internazionali allo scopo specifico di attaccare uno tra i leader conservatori/sovranisti più odiati dal mainstream, il presidente brasiliano Bolsonaro.

Lancio dopo lancio, notizia dopo notizia, post dopo post, è stata costruita una gigantesca fake news: la foresta amazzonica sta bruciando in un gigantesco incendio senza precedenti, e il colpevole di questo incendio è, manco a dirlo, Bolsonaro. E giù con hashtag addolorati e pii (#prayforthe rainforest), appelli di star dello spettacolo, artisti, intellettuali, prese di posizione preoccupate di leader politici (su tutti il solito furbo Macron) contro il presidente verdeoro che a causa delle “sue politiche” (in sostanza per aver tagliato i finanziamenti alle solite ong che speculavano sulla foresta come da noi sulla tratta degli immigrati), o addirittura per favorire sporchi interessi speculativi di proprietari terrieri e allevatori, avrebbe provocato l’apocalisse.

Poi, approfondendo un minimo la valanga emotiva di preghiere e invettive, emergono subito dati un po’ diversi da quelli che la campagna globale vorrebbe far credere.

Innanzitutto, gli incendi stagionali della foresta amazzonica, secondo tutte le più serie rilevazioni statistiche, non sono affatto finora maggiori rispetto alla media degli ultimi vent’anni. Anzi, il picco dei fuochi si era registrato tra il 2005 e il 2006, quando era presidente il progressista Lula da Silva. Poi i territori interessati, come si vede dalle immagini satellitari, non sono soltanto quelli brasiliani, ma una rilevante percentuale delle aree incendiate si trova in Paraguay, Bolivia, Perù. Quindi, secondo la logica degli attuali indignati bisogna mettere sotto accusa anche i governanti di quei paesi, o loro sono, chissà perché, innocenti? Infine, gran parte delle foto postate sui social e su molti siti di informazione sono false, risalgono ad altri periodi o sono relative ad altri luoghi.

Ma si sa, quando la macchina gigantesca della propaganda politicalcorrettista profondamente incistata nella rete mediatica – digitale e non – pianifica la demonizzazione di un leader politico ad essa sgradito non va troppo per il sottile, e si aspetta che come il cane di Pavlov il gonzo progressista globale abbocchi subito, appena si evoca l’immagine del “mostro”, ed emetta unanimemente in un batter di ciglia la sua condanna. Cosa c’è di più semplice, di meno impegnativo per qualunque personaggio pubblico desideroso di farsi benvolere dal mainstream che versare lacrime di dolore per il destino dei poveri giaguari e pappagalli, puntando il dito fieramente e con indignazione contro il presunto colpevole “a prescindere”?

Per il progressista medio occidentale, infatti, un uomo politico come Jair Bolsonaro non può che essere colpevole a prescindere. Perché è fautore di una politica di ferma repressione contro la droga e il crimine. Perché è a favore del mercato e della crescita, non coprendosi il capo di cenere, come pure l’altrettanto odiato Trump, in nome del totem della “sostenibilità”. E – colpa più grave e imperdonabile di tutte – ovviamente perché è cristiano, è contro l’aborto e difende la famiglia naturale. Un nemico perfetto. Per demolire il quale qualsiasi bugia è permessa.