
Ecco perché si voterà solo nel 2013, nonostante il referendum e Tremonti

05 Ottobre 2011
Dopo il deposito di oltre un milione di firme in calce alla richiesta di referendum sulla legge elettorale, nel palazzo e sulla stampa si è aperta la querelle sulla futura data delle elezioni politiche generali.
Qualcuno ricorderà che il segretario del Pd Pierluigi Bersani decise di sostenere la raccolta di firme sul referendum elettorale che ha come obbiettivo il ritorno al mattarellum non perché lo condividesse, ma per il semplice motivo che lo considera un grimaldello per ottenere le elezioni nella primavera del 2012, data nella quale il segretario del Pd potrebbe presentarsi come candidato premier del non vasto accordo di forze siglato a Vasto, ossia Pd, Sel e Idv.
Il ragionamento di Bersani è semplice. Solo con l’attuale legge elettorale il centrodestra è in grado di tenere insieme l’alleanza tra Pdl e Lega Nord. Infatti il porcellum consente all’elettore di votare la propria lista indipendentemente dalle alleanze, mentre con l’uninominale accade di frequente che l’elettore sia costretto a votare per il candidato di un’altra forza dell’alleanza, cosa che agli elettori leghisti appare talvolta ostico.
Per questa ragione, secondo Bersani, il centrodestra tenterà la carta disperata delle elezioni anticipate, pur di non rischiare di dividersi già nel voto.
Un ragionamento analogo viene oggi anche da molti esponenti del Pdl, specie di quelli che appartengono alle élite del partito e al governo. Essi sanno che grazie alle liste bloccate potranno entrare quasi certamente in Parlamento, anche in caso di sconfitta, per potere poi essere tra coloro che contribuiranno alla costruzione di un nuovo schieramento di centrodestra. Tra questi il ministro Tremonti che a margine dell’Ecofin ha evocato elezioni anticipate in Italia commentando la diminuzione dello spread in Spagna.
Peccato che sia il ragionamento di Bersani che quello di chi pensa al si salvi chi può vadano ad infrangersi contro tre scogli pressoché insormontabili.
Il primo è rappresentato dai cosiddetti “responsabili”. Essi sono entrati a far parte della maggioranza parlamentare per evitare una crisi di governo e possibili elezioni anticipate la scorsa primavera. Essi sanno inoltre che la loro probabilità di rientrare in Parlamento dipende da una affermazione netta del centrodestra, cosa che non è alle porte e che potrebbe invece profilarsi alla scadenza naturale della legislatura. In ogni caso, per molti di loro prevale la convenienza a rimanere in carica un anno di più, e non solo per la maturazione del diritto al vitalizio. I “responsabili” dunque potrebbero rimanere responsabili anche in caso di una eventuale crisi di governo, sostenendo un governo diverso da quello attuale.
Il secondo ostacolo è la spinta referendaria. Se il quesito sarà dichiarato ammissibile (con una sentenza che dovrebbe ribaltare l’orientamento precedente della Consulta), la resistenza al voto sarebbe letale per chiunque provasse ad esercitarla. Il cambio di sistema elettorale sembra essere oggi agli occhi dell’opinione pubblica preliminare al rinnovo del Parlamento. In altre parole il famigerato porcellum sconta più colpe di quante ne abbia, anche a causa dell’uso improprio da parte dei maggiori partiti.
L’ostacolo più rilevante per l’anticipo delle elezioni è però il Capo dello Stato, l’uomo che oggi – volenti o nolenti, Costituzione o meno – determina l’indirizzo politico della Nazione.
Giorgio Napolitano ha già sciolto una volta le Camere nel corso del suo mandato e il secondo scioglimento anticipato sarebbe più difficile. Infatti, se si votasse nella primavera del 2012, lo scenario più probabile sarebbe quello di una competizione a tre poli, sinistra, centro e centrodestra. E se alla Camera una maggioranza dovrebbe comunque determinarsi (con la frammentazione delle opposizioni), al Senato la diversa distribuzione territoriale tra centrodestra e centrosinistra, in presenza di un terzo polo, potrebbe dare luogo ad un risultato di grande incertezza.
Se anche una maggioranza si determinasse (alle elezioni o dopo di esse), si tratterebbe di una maggioranza fragile, esposta a più di un rischio di caduta anticipata. E che si troverebbe ad agire durante il semestre bianco del Capo dello Stato, quello in cui non è consentito lo scioglimento anticipato. Inoltre sarebbe proprio il parlamento eletto nel 2012, con l’attuale legge elettorale, a scegliere il nuovo Capo dello Stato.
Siamo di fronte dunque a uno scenario carico di incertezze, che spingerebbe Napolitano a trovare una qualunque soluzione parlamentare. E, come successe quando cadde il governo Prodi, il mandato potrebbe essere affidato al Presidente del Senato, con il compito di comporre una maggioranza per celebrare il referendum, modificare la legge elettorale secondo la volontà degli elettori e quindi accompagnare il Paese al voto nel 2013, affidando al futuro Parlamento il compito di eleggere il successore di Napolitano. Il quale si confermerebbe così un “regnante” illuminato, che avrebbe consentito all’Italia di attraversare senza rischi una delle più difficili crisi politiche del dopoguerra, senza che questa sfoci in crisi istituzionale.
Per questo il tragitto più probabile prevede l’attesa della decisione della Corte, un modesto tentativo di cambiare la legge tra gennaio e giugno, il voto referendario a giugno e la nuova legge elettorale nei mesi successivi all’estate, per sciogliere le Camere con la fine dell’anno e votare nel marzo 2013. Con quali schieramenti non è dato sapere.