Ecco qual è il sogno azzurro
20 Dicembre 2007
La I Commissione del Senato ha rinviato a dopo
l’Epifania – che tutte le feste si porta via -, il voto sulla fatidica
“bozza Bianco”. Si è così guadagnato un lasso di tempo per cercare di
dissipare equivoci e, se possibile, giungere a una proposta che possa
raccogliere più consensi di quelli che il testo in discussione è riuscito a riunire.
Per questo, però, è necessario giocare a carte scoperte, mettendo da parte furbizie,
retropensieri e tatticismi.
Ogni discorso onesto in tema di riforma elettorale deve
partire dal referendum pendente, che è il vero convitato di pietra di questo
dibattito perché, senza di esso, tutto sarebbe bloccato. Penso sia giunta l’ora
di dire la verità: i cittadini che hanno sottoscritto per la consultazione
popolare, al digiuno di ogni tecnicismo da addetti ai lavori, lo hanno fatto
nella speranza di un sistema più semplice, con meno partiti e con alleanze più
salde. Rispondere a tale iniziativa da parte del Parlamento con un sistema
elettorale puro – sebbene corretto da una soglia di sbarramento del 5% –
significherebbe prendere in giro quei cittadini. Anche se l’effetto giuridico
sarebbe quello di evitare la consultazione.
Ciò significa che il Parlamento si deve fermare? Non
lo crediamo affatto. Anche perché il risultato del referendum darebbe vita a un
bipartitismo rigido con un premio di maggioranza che, in alcuni casi, potrebbe
divenire eccessivo anche per il più convinto maggioritarista. Il Parlamento, invece,
ha gli strumenti per interpretare in maniera più ponderata ed equilibrata quel
che attraverso il referendum si richiede in modo obbligatoriamente radicale, in
quanto la natura solo abrogativa dello strumento impone ai proponenti vincoli
non aggirabili. A tal fine, bisognerebbe muovere verso un sistema che
semplifichi le modalità di votazione (una scheda, un turno, un voto), scoraggi
la nascita di una forza centrista che grazie alla propria rendita di posizione
tolga agli elettori il potere di scegliere il governo, preveda implicitamente
ma con sufficiente chiarezza il formarsi di alleanze basate sulla condivisione
di programmi e posizioni, senza assegnare ad alcuno poteri di veto né
rafforzare logiche ricattatorie.
La “bozza Bianco” va in questa direzione? E’
una soluzione di compromesso che a stento potrà assicurare il risultato che
abbiamo auspicato. A dirlo non siamo noi ma il professor D’Alimonte (Il Sole 24
Ore, 13 dicembre) il quale, innanzitutto a causa delle circoscrizioni troppo
grandi, è convinto che il risultato finale della “bozza Bianco” sarebbe
troppo proporzionale e, quindi, che l’indicazione proveniente dagli elettori
porrebbe un vincolo troppo lasco alle forze politiche.
Se questa è la preoccupazione anche di Fini (lettera a
Bondi e Cicchitto, Libero 18 dicembre) essa, dunque, è condivisibile. Ma
affinché da questa condivisione scaturisca una rinnovata collaborazione dev’essere
chiaro anche il resto: quella legittima preoccupazione non la si supera
introducendo dosi più alte di proporzionalismo come avverrebbe col voto
disgiunto e, ancor di più, con le proposte del collegio unico nazionale e del
quoziente. Per evitare che i dubbi di D’Alimonte divengano certezze bisogna
andare in senso opposto. Oppure, come ci propongono all’unisono Vassallo e
Panebianco (Corriere della Sera, 17 dicembre), cambiare la base della
discussione.
Noi di Forza
Italia a questa ipotesi non siamo contrari ma poniamo due condizioni
pregiudiziali. La prima è che ogni nuova proposta vada chiaramente nel senso
del referendum, invece di contraddirlo apertamente. La seconda è che essa a priori abbia superato i problemi
politici che stanno complicando la discussione in I Commissione. La stima che
abbiamo nei loro confronti ci obbliga di dire chiaramente a Vassallo e
Panebianco che la ragione per la quale la riforma rischia d’arenarsi è l’impossibilità
per il Pd di votare solo con la destra (e in questo caso il problema non si
risolve se al Pdl si aggiungono An o Udc) contro tutti i suoi alleati,
assumendosi così da solo la responsabilità di una eventuale caduta del governo
Prodi. E’ una difficoltà comprensibile ma che va risolta prioritariamente, per
impedire che le proposte si consumino come cerini e, alla fine, siano i più
responsabili a scottarsi le dita.
Vogliamo, infine, far chiarezza su un ultimo aspetto.
Se abbiamo ben interpretato il grido di allarme lanciato dal professor Vassallo
%28Corriere della Sera del 17 dicembre), c’è chi, nell’ombra, sta premendo sulla
Corte Costituzionale affinché i quesiti referendari vengano bocciati. Si
realizzerebbe così la profezia del professor Vaccarella e verrebbe scritta una
delle pagine più nere della storia delle nostre istituzioni. Fino a prova
contraria noi nutriamo fiducia nell’indipendenza dei giudici. Ma sappiamo anche
che politicamente il modo più efficace per contrastare certe pressioni è fare
tutto il possibile, e fino in fondo, affinché il Parlamento recepisca con una
propria riforma gli stimoli che il referendum ha voluto fornire.
© Libero