Egemonia culturale: forse il centrodestra si sveglia
07 Luglio 2008
Metti Repubblica un giorno qualsiasi dell’ultimo weekend. Metti due notizie, lette in rapida successione. La prima è la pubblicazione di un appello di cento studiosi di diritto pubblico in difesa della Costituzione e, perciò, contro i provvedimenti del governo in tema di giustizia. La seconda è un attacco al ministro Bondi, reo di voler allargare il comitato per la celebrazione dei centocinquant’anni dell’unità d’Italia a studiosi di chiara fama.
Metti la disponibilità mentale ad approfondire le notizie. Nel primo caso trovi quantomeno irrituale che il presidente di tutti i costituzionalisti italiani si faccia promotore di un appello che, chiaramente, sostiene una sola parte. E consideri ancor più singolare che lo stesso rilasci interviste nelle quali si sostengono tesi al limite del paradosso contro il tentativo di trovare una soluzione alla crisi dei rapporti tra una parte della magistratura e la politica. Ti sembra poi decisamente strano che argomentazioni giuridiche dall’inequivocabile significato unilaterale, peraltro contenute in un documento tecnico, siano fatte oggetto da Repubblica di una sorta di petizione popolari online: è lo stesso quotidiano ad informarci, infatti, che 45mila cittadini hanno sottoscritto l’appello dei cento Soloni contattando Repubblica online. E poi, passando da una notizia all’altra, comprendi che, in realtà, Bondi non ha fatto altro che aprire le porte di un comitato dal sapore marcatamente radical chic a persone che hanno riflettuto e scritto sulla storia d’Italia, con argomentazioni assai spesso non coincidenti, perseguendo l’illusione che le celebrazioni, piuttosto che essere occasioni attraverso le quali si perpetuano riti e religioni civili, possano divenire lo spunto per confronti critici, in grado di creare un tessuto connettivo più robusto alla nostra Repubblica.
Metti insieme tutto ciò e capisci quanto sia stata pervasiva l’egemonia culturale di una parte nella storia della nostra Repubblica. Se si ha il monopolio della interpretazione storica, delle sue ricorrenze e, infine, persino della legittimità costituzionale, ogni governo che non nasca nel nome e nel solco di quell’egemonia sarà figlio di un dio minore, frutto avvelenato degli istinti più bassi di un popolo che ha tradito i suoi vati. Anche da tutto ciò sono derivate le difficoltà di governo del centrodestra in questi ultimi quattordici anni.
Due notizie discrete giungono infine ad alleviare la pena. La prima: il ministro Bondi andrà avanti nel suo tentativo di perseguire testardamente una strategia inclusiva per la quale la storia d’Italia non conosce cesure né concede privilegi ab aeternum; la stessa strategia in nome della quale Bondi sta cercando caparbiamente aperture a sinistra – il caso Asor Rosa è emblematico – nella convizione che la cultura non ha parte politica. La seconda: oltre quaranta costituzionalisti hanno pronunciato il fatidico “non ci sto!”, e faranno sapere di non essere d’accordo con il proclama di cui sopra e, anche nell’interesse delle massime istituzioni del Paese, ricorderanno ai Soloni che oltre l’etica della convinzione esiste anche quella della responsabilità, e che se le due non fossero state coniugate, probabilmente la Costituzione del ’48 non vi sarebbe stata. Sono piccoli segni, ma forse si sta veramente voltando pagina.