Elogio del runner, untore dei tempi moderni

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Elogio del runner, untore dei tempi moderni

Elogio del runner, untore dei tempi moderni

01 Maggio 2020

Sono un runner impenitente e reo confesso. Per me, e per tanti come me, si avvicina un giorno importante. Da lunedì ufficialmente – senza se e senza ma, senza righello per calcolare le distanze e senza autocertificazione nella tasca del calzoncino – possiamo tornare a correre. Resiste indomito e tetragono il solo De Luca (solidarietà agli amici napoletani).

I runner in questa pandemia sono stati nell’immaginario collettivo i più prossimi agli untori di manzoniana memoria. Si è ritenuto che così come i protagonisti della “Storia della colonna infame” andavano ungendo i muri con sostanze pestifere, i runner si divertissero a impregnare l’aria con gocce di sudore cariche di coronavirus: anche quando correvano in solitaria malinconia, anche quando si trovavano a distanze siderali da luoghi popolati da altre presenze umane.

Nei momenti peggiori hanno rischiato l’incolumità. C’è stato chi è stato picchiato. Altri solo multati. Cartelli delle pubbliche istituzioni hanno promesso tarantelle di calci nel caso in cui questa attività – il jogging – non si fosse prolungata oltre la quarantena (letteralmente: “se dopo non continuate a correre, vi prendo a calci in culo, firmato: il sindaco”). Quando un deputato di Forza Italia, sbagliando, il giorno dopo l’ordinanza è stato beccato a Villa Borghese, in una chat ho letto “dite a Berlusconi di cacciarlo dal partito”. Insomma: il Capo monarchico e anarchico (che per fortuna non ha ascoltato le grida) avrebbe dovuto compiere il suo primo tirannicidio nei confronti di un runner!

In quanto runner impenitente e reo confesso sono stato preoccupatissimo di dover smettere di praticare la corsa. Quando un decreto ministeriale dell’Interno (fortunatamente subito smentito) ha fatto subodorare la “soluzione finale”, mi sono attaccato al telefono per scongiurarla, non mi vergogno a dirlo. E non soltanto perché convinto che chi come me è abituato a fare qualche decina di chilometri alla settimana e non ha la possibilità, magari per mere ragioni di spazio, di dotarsi del tapis roulant, avrebbe ricevuto un sicuro nocumento fisico da un’improvvisa interruzione. Ancor di più per problemi connessi alla psicologia o, se preferite, alla psichiatria. Il runner ha infatti una tendenza compulsiva. Fa i conti soprattutto con se stesso, con le proprie forze, con il suo orologio (quello che indica il tempo, la distanza e i battiti cardiaci). Dosa le forze per arrivare al termine della missione. Si dà degli obiettivi di lunga scadenza riferiti innanzi tutto alle proprie possibilità delle quali conosce i limiti. Per lui l’importante non è tanto “arrivare prima” ma “arrivare in fondo”.

La sua propensione a reiterare le abitudini si manifesta anche nel rapporto con gli altri. Non mancano i momenti di vera socialità: quando partecipa a competizioni e maratone. E lì, non si sa perché, la “contaminazione di gregge” lo fa correre molto più veloce di quanto riesca a fare in allenamento. Per chi non svolge questa attività per professionismo, però, tali manifestazioni sono solo episodi. Nella norma il runner dilettante è un solitario: preferisce correre da solo o, quanto meno, mette in conto di doverlo fare. Ha pochi compagni di corsa che non sempre hanno gli stessi tempi e le stesse esigenze. Quando corre con loro procede naturalmente distanziato. Non si parla ma, con gli anni, basta uno sguardo per capirsi. E poi, in una pratica così abitudinaria, accadono nel corso del tempo piccoli fatti in grado di trasformare una consuetudine in amicizia vera. Come quando, durante una maratona, inciampi su un sampietrino e l’amico si ferma per farti rialzare, curarti, spronarti a continuare, rinunziando a fare il miglior tempo della sua vita. O quando, lontano da ogni centro abitato, ti stiri il quadricipite per mettere in salvo una lumaca imprudentemente in mezzo alla strada e l’amico ti porta per qualche chilometro sulle spalle.

Se ci si pensa bene, queste caratteristiche umane e queste abitudini sembrano selezionate apposta per aiutare a sopportare una quarantena della quale non si conoscono i limiti temporali. Per questo io, durante il lockdown, non ho mai smesso di correre pur rispettando le regole. Come ho fatto? Ho accettato, in primis, di trasformarmi in un criceto e di girare intorno al mio palazzo. Poi ho ripreso le nozioni del liceo: ci dicono di non distanziarci più di 200 metri? Bene, ponendo al centro la mia abitazione posso misurare una circonferenza: 2 p greco x r, circa 1200 metri; per prudenza ho ridotto il raggio, ho preso dei punti di riferimento su google map e mi sono disegnato “il circuito del mio scontento”. Per questo, oggi che ai runner è stata restituita la possibilità di correre “senza limiti e confini” (cit. Battisti), sono felice. Ci hanno ridato lo spazio. Prima o poi ci restituiranno anche l’onore.